IL LADRO IN CASA
di Italo Svevo
IV ATTO
SCENA
PRIMA
CATINA
che introduce IGNAZIO LONELLI
CATINA.
Ho da chiamare la signora Carla?
IGNAZIO.
È nella sua stanza?
CATINA.
No, è con la signora Fortunata.
IGNAZIO.
Non avvisarla, allora, Catina. Catina, non è vero ch'io ti trattai
sempre bene? Brava! Mi son dimenticato di darti la strenna a capo d'anno. Ecco
qui. Cinque franchi. Li tenni sempre in questo taschino per darteli
all'occasione. Dunque. Io ti trattai sempre bene e posso fidarmi di te. Tu devi,
fino a nuovo ordine, non avvisare nessuno che io sono qui. All'infuori di mia
moglie è meglio che nessuno lo sappia, e lei devi avvisarla appena sarà sola.
Dove potrei nascondermi?
CATINA
(additando la porta in fondo). In quel camerino, ch'è vuoto.
IGNAZIO.
E non ci viene nessuno?
CATINA.
Nessuno, mai. Ma perché si nasconde?
IGNAZIO.
Dimmi un poco, sinceramente, non sai nulla, tu? (La fissa.)
CATINA.
Nulla? Che cosa nulla?
IGNAZIO.
Dammi la mano. Sei una brava donna. E, dimmi ancora: Sei religiosa? (Catina
lo guarda.) Credi in Dio?
CATINA.
Oh, se ci credo! Farei un buon affare, vecchia come sono, a non crederci.
IGNAZIO.
Ebbene, giurami sulla salute dell'anima tua che dirai solo a Carla di
avermi visto!
CATINA.
Ma perché?
IGNAZIO.
Si tratta di uno scherzo, ma voglio essere sicuro del fatto mio. Eccoti
altri cinque franchi, ma te ne prego, Catina, giura!
CATINA.
Se vi preme tanto, giuro.
IGNAZIO.
Ricordati che per gli spergiuri ci son le pene dell'inferno! E adesso su
questo punto sono tranquillo. (Si sente suonare.) Puoi andare ad aprire.
(Catina via. Si suona una seconda volta con insistenza. Ignazio si ritira
nello stanzino.)
SCENA
SECONDA
CARLO,
MARCO LONELLI, poi CATINA
CARLO
(entrando con Marco). Catina, non senti?
CATINA.
Ero già andata ad aprire, quando il signore suonò per la seconda volta.
MARCO.
Lasciateci soli. (Catina con un complimento, via.) Senta, Almiti.
Le porto delle nuove che poco le potranno piacere. Anzitutto bisogna che sappia
che non sporgo denunzia contro mio nipote.
CARLO.
Io non ho che a lodarla per questa omissione.
MARCO.
L'accusa era già stata fatta dal signor Marchini al quale Ignazio diede
oro falso in cambio di oro buono che gli era stato affidato per il lavoro. Lei
ora può accorgersi qual fior di birbante sia suo cognato. Ma non è per dirle
questo che sono venuto qui. Il piú importante di tutto si è che Ignazio è
preso o quasi.
CARLO.
Ciò significa?
MARCO.
… ch'è stato messo nella impossibilità di sfuggire alla pena
dovutagli. Non ancora, ma quanto prima, perché Ignazio si trova ancora qui, in
questa città.
CARLO.
Come lo sapete?
MARCO.
So che non è partito ed ecco come. Marchini piú svelto di noi due fece
la denunzia in tempo debito. Allorché i carabinieri si presentarono in casa sua
per eseguire l'arresto, il portinaio disse loro quello che non aveva voluto dire
a me, cioè l'indirizzo nuovo d'Ignazio. All'Hotel de la Ville era andato ad
abitare, quell'imbecille! All'hotel si seppe ch'era uscito dieci minuti prima
con un fattorino che gli portava il baule. Alla stazione infine lo si vide
presentarsi al bigoncio per il biglietto, senza prelevarlo, lasciò là cento
franchi. Pare si sia accorto in tempo del tranello. Che le pare?
CARLO.
Penso anch'io che sia ancora in città.
MARCO.
Ma dove? Son ben dodici ore che lo si cerca inutilmente.
CARLO.
Che ne so io? (Con impazienza.)
MARCO.
Devo dirle che non sono venuto qui principalmente per informarla di tutto
ciò, perché in fondo, non mi serve a nulla che lei lo sappia… Dica, non ha
visto Ignazio, quest'oggi?
CARLO.
Lei suppone che io l'abbia nascosto? ch'egli abbia cercato riparo in casa
mia?
MARCO
(esitante). E chi lo sa?
CARLO.
Non è stato qui. Ma, dica un po', se ci fosse, che farebbe lei? (Sorridendo.)
MARCO.
Non capisco! Che farei? Andrei alla polizia, notificherei il soggiorno
del malfattore e non me ne occuperei piú oltre.
CARLO.
Eh, via! Lei tradirebbe un nipote per quella cambialuccia! Non ha da
avere altro da lui?
MARCO.
Non si tratta della cambialuccia, caro il mio signore; si tratta del
modo! Io, vecchio negoziante, venir ingannato in tal modo! Estorcermi in tal
modo gli ultimi denari occorrenti alla fuga! Dopo che per anni ero riuscito a
salvarmi da lui! Un tale atto merita vendetta e me la procurerò. Ancora una
domanda, e poi me ne vado.
SCENA
TERZA
ELENA
e DETTI, poi CARLA
ELENA.
Si può?
CARLO.
Entri, signora. Ieri suo marito mandò a vedere se lei era qui.
ELENA.
Fu un malinteso.
CARLA
(entrando). Oh, Elena (Le getta le braccia al collo e si mette
a piangere.)
CARLO
(a Marco). Si ricordi di non dire nulla a mia sorella di quanto
lei disse or ora!
MARCO.
Come vuole. Ma a sua volta - n'è sicuro? - sua sorella non saprà nulla
di nuovo sul conto del marito? Questa era la domanda che ancora avevo da farle.
CARLO.
Carla è da ieri sera con mia moglie. Non la lasciò un minuto.
MARCO
(dopo un po' di esitazione). Ebbene, mi do per vinto. (Rivolto
a Carla.) Nipote mia, devi darti pace! Sono cose che accadono tutti i
giorni, anche piú volte al giorno…
CARLA.
E non avete sue nuove?
MARCO.
Nessuna. Fu visto alla stazione… (Un movimento di Carlo lo
interrompe.) Fu visto, insomma, partire e poi piú nulla… Sai tu qualche
cosa di piú preciso?
CARLA
(giungendo le mani con gioia). Allora è in salvo!
MARCO
(alzando le spalle). Se ciò ti fa piacere! Buon giorno! (Via.)
CARLO
(a Carla). Adesso spero di vederti piú tranquilla. Come vedi io
sopporto molto bene le mie disgrazie. Fa tu lo stesso. (Avviandosi.) Di'
a Fortunata che a mezzodí sarò a casa. (Ad Elena.) Buon giorno,
signora! (Via.)
ELENA
(a Carla). Oh, finalmente! Carla! Dov'è Ignazio? A me lo puoi
confidare…
CARLA.
A quest'ora in Svizzera. A meno che non gli sia toccato una disgrazia.
ELENA.
Davvero? E non ne sai di piú?
CARLA.
No, assolutamente. Null'altro.
ELENA
(disperandosi). Povera me! Come fare, allora?
CARLA
(allarmata). Che c'entri tu?
ELENA.
Non per lui, non per lui! Ha con sé tutte le mie gioie, oro e pietre
preziose per ventimila franchi…
CARLA.
Di questo né Ignazio né tu mi diceste mai una parola!
ELENA.
Da quando ti sei sposata per i miei gioielli mi servivo da lui…
CARLA.
Ma tutte le tue gioie?
ELENA
(disperata). Oh, sí, tutte. Non mi rimangono che questi orecchini
che non gli diedi, perché volevo tenerli addosso. Come farò? Come farò, mio
Dio? Cosa dirò a mio marito?
CARLA
(calma con sforzo). Ma perché gliele desti?
ELENA.
Non ti dissi ch'era il mio gioielliere?
CARLA.
Ma tutte. Tutte?
ELENA.
Ma sí. Alcune volevo far rilegare, altre soltanto pulire, ad altre
infine occorrevano delle riparazioni.
CARLA.
Tu dirai a tuo marito la verità, ecco tutto. Cosa c'è da disperarsi?
ELENA.
Ma mio marito non sapeva che io le aveva date ad Ignazio.
SCENA
QUARTA
FORTUNATA,
DETTI, poi CATINA
FORTUNATA.
La signora Elena! Ieri sera…
ELENA.
Lo so signora. Fu un malinteso. Mio marito mi aveva compreso male.
FORTUNATA.
Cosí? Me l'ero immaginato.
ELENA.
Le distrazioni di Emilio producono spesso tali malintesi. Adesso l'ho
reso avvertito che mi trovo qui, ma chissà che lui non mandi a cercarmi? È
meglio che scenda un istante; poi ritornerò a fare un po' di compagnia a Carla.
Addio, Carla! (La bacia.) Buon giorno. (Via.)
FORTUNATA.
Ha l'aria di una fuga. Ieri a sera la signora scomparve tutto ad un
tratto senza lasciare notizie di sé, neppure al marito. Poco prima s'era fatto
prestare da me un cofanetto che può servire anche per viaggio. Chissà quale
mistero si cela qui sotto! qualche appuntamento andato a male! Dev'essere stato
proprio un malinteso; ce lo ha detto ella stessa. Intanto ecco una cosa che in
te mi dispiaceva… quest'amica che ci fece tanto del male… Intanto, facendoti
fare quel brutto matrimonio.
CATINA
(in orecchio a Carla). In quello stanzino c'è qualcuno che
l'attende.
CARLA.
Chi mi attende?
CATINA
(strizzando l'occhio verso Fortunata). St! Suo marito.
CARLA
(minaccia di cadere). Mio marito… qui?
FORTUNATA.
Tuo marito?
CARLA.
Ignazio, qui? Ma dunque non è salvo? Ignazio! Ignazio! (Apre la
porta, si vede Ignazio nel mezzo del camerino che beve da una tazza.) Tu,
qui! tu qui! Quale
imprudenza! Se ti prendono! Perché non sei fuggito? Qui ti cercano, sai! Oh, se
ti trovano! Io ne morrei!
IGNAZIO.
Calma, calma, mio tesoruccio! Non sono preso ancora! (Nel sortire vede
Fortunata.) Ma Carla, tu mi tradisci… Io non voleva esser veduto!
FORTUNATA
(ironicamente). E questo desiderio era molto fondato.
IGNAZIO.
Sfido io! Mi si cerca e tanto minor numero di occhi che mi vedono, tanto
minore è il pericolo di venir preso! Non mica ch'io diffidi di lei, signora
cognata, ma una parola imprudente è detta presto!
FORTUNATA.
Potrebbe deporre quella tazza! (Additando la tazza che Ignazio tiene
in mano.)
IGNAZIO.
È vero! (La vuota e la depone sul tavolo.) Scusi, se bevevo il
suo latte senza chiedergliene il permesso. Ma avevo molta fame. Sono piú di
dodici ore che non mangio con calma!
CARLA.
Ma perché, perché non sei fuggito?
IGNAZIO.
Io voleva fuggire, ma… non mi si lasciò. Alla stazione mi accorsi
d'essere sorvegliato, e già sul punto di partire trovai piú prudente rimanere.
FORTUNATA.
Cosí, lei, dopo fatti tutti i preparativi, ha dovuto abbandonare tutto?
IGNAZIO
(con dispiacere). Tutto, sí, tutto.
FORTUNATA
(con intenzione). Tutto? Tutto?
IGNAZIO
(sorpreso). Se glielo dico. Tutto, si, tutto.
FORTUNATA.
E la signora Elena?
CARLA.
Che dici?
IGNAZIO.
La signora Elena non è in casa sua?
FORTUNATA.
Sí, ci è ritornata poco fa. Quasi contemporaneamente a voi. Son cose
che non mi concernono. Sentite! Se volete rimanere nascosto qui, rimanete pure.
Naturalmente quando Carlo verrà a casa, io lo avvertirò che ci siete. Del
resto non abbiate timore; egli non è uomo che si vendichi, che vi accusi. (Via.)
IGNAZIO
(irritato). Vedi, tuttociò è molto noioso. Avrei preferito di
non aver piú a parlare con Carlo.
CARLA
(turbata). Che cosa diceva Fortunata di Elena?
IGNAZIO
(ridendo). Che ne so io? Pare che anche la signora Elena abbia
tentato contemporaneamente a me una specie di fuga e col medesimo esito. Ma noi
adesso tenteremo la fuga insieme, sai, mio tesoruccio; e se ci riesce, potremo
essere ancora felici in lidi piú ospitali. Vedi questa piccola saccoccia?
Contiene la somma di trentamila franchi. È quanto ci basta pei nostri gusti
modesti.
SCENA
QUINTA
ELENA
e DETTI
ELENA
(agitatissima). Catina mi ha detto che eravate qui. Sentite,
Ignazio! Datemi le gioie o io sono una donna perduta.
IGNAZIO.
Ve le darò. Ve le darò. (Sottovoce.) Calma, calma!
ELENA.
Le avete qui, nevvero? Già oggi mio marito si accorse che mancavano. Gli
dissi ch'erano dal gioielliere. Adesso non potrei piú oltre mentire, dirgli che
le ho date a voi, gioielliere, perché sarebbe stato mio dovere avvertimelo
almeno quando siete scomparso. (Carla comprende, si alza, vuole parlare, non
può, esce vacillando e chiude la porta dietro di sé.)
IGNAZIO.
Ma Carla, ove vai? Oh, Elena, Elena! Tu mi rovini. Io dicevo sempre che
le donne mi rovinerebbero. Ecco le tue gioie! Occorreva lasciarti trasportare da
tale passione per quattro miserabili pezzi d'oro? (Le consegna un cofanetto.)
ELENA
(aprendo il cofanetto con vivacità e guardandoci dentro per
verificare). Oh, bravo, bravo! Mi ridonate il respiro! Grazie! (Dopo una
piccola pausa.) E adesso addio. (Va verso la porta.)
IGNAZIO.
Cosí, dunque, Elena, mi abbandoni anche tu? Questo addio significa
proprio una separazione definitiva?
ELENA.
Sí, Ignazio, ho sofferto troppo. Ho capito ch'è meglio annoiarsi e non
aver da temere niente da nessuno. Quando mi sono vista sola con voi in quella
stazione e poi mi avvertiste ch'eravamo perseguitati, fuggii spinta proprio da
vergogna e da paura; poi vissi molte ore in angoscia per queste malaugurate
gioie… Addio! (Via.)
IGNAZIO
(chiamando). Catina!
SCENA
SESTA
CATINA
e IGNAZIO
IGNAZIO.
Bella creanza questa di lasciarmi solo. Favorisci dire alla mia signora
moglie che venga un poco a tenermi compagnia.
CATINA.
Sta appunto salendo le scale il signor Carlo.
IGNAZIO.
Brava! Verrà lui a tenermi compagnia…
SCENA
SETTIMA
IGNAZIO,
CARLO poi CARLA
CARLO.
Voi qui?
IGNAZIO.
Sí, Carlo (stendendogli la mano). Ero in procinto di partire e
non n'ebbi il coraggio pensando a te, allo stato in cui ti lasciavo…
CARLO.
Lo so e ve ne ringrazio, ma a quanto sento i carabinieri vi confermarono
in questo proposito.
CARLA
(entrando improvvisamente). E cosí non credergli, perché mente,
mente sempre.
IGNAZIO.
La signora stava ad origliare?
CARLA.
Sono ritornata appena adesso. Del vostro dialogo con Elena non avevo piú
nulla da udire. Se avevo già compreso tutto… (piangendo al collo di Carlo).
Oh, Carlo! Consegnalo alla polizia. Liberamene!
IGNAZIO.
La signora ha uno speciale affetto per il suo marito legittimo…
CARLA.
Quel riso ironico mi fa male!… Come seppi udirlo tante volte e non
odiarvi, non disprezzarvi come meritate!
IGNAZIO.
Le insolenze sono troppe! Bada a te, Carla!
CARLA.
Mai troppe, a te, miserabile! Perché, sai, Carlo! Ci tradí, ci rovinò
tutti. E me, me trascinò per tali sozzure, per tali infamie che mai, mai piú
saprò quietare la mia coscienza. Sappi che allorché per la prima volta ti
estorse denari io sapeva ch'era già fallito e non dissi una parola. È ben vero
che per un istante, ad onta che sapessi tutto, fui ingannata dal tono d'ingenuità
con cui ti parlava, ma solo per un istante! Eppure tacqui. Io ti tradii già dal
primo giorno in cui lo vidi! Allorché tu, poveretto, chiedesti quella dilazione
che ti occorreva, con due parole egli mi convinse a non concedertela. Che cosa
potevo farci? Mi sembrava di essere una cosa con lui.
IGNAZIO
(a Carlo). E ciò le avrebbe continuato a sembrare, se non mi
avesse scoperto in fallo di lesa fedeltà coniugale! Avrei altrimenti potuto
continuare col suo mezzo chissà per quanto tempo ancora!
CARLA
(piú calma). È vero, è vero. Tutto tutto gli perdonai meno
questo. Ma non è il dolore di venir tradita che mi strappa queste parole.
Tradendo me che gli sacrificai tutto, egli si rivelò anche a me per quello che
era. Io feci sempre ciò che volle, fino all'ultimo, anche quando volle fuggire
a tua insaputa, e mi obbligai alla menzogna, all'ipocrisia che tanto mi doleva,
specialmente ad usarla con te. Ma adesso è finita. Oh, davvero, mi sento lieta
che ciò sia avvenuto! Mi sento libera di agire secondo la mia coscienza e
secondo giustizia. Non piú dissimulazioni, non piú misfatti! Non lasciarlo
fuggire, Carlo! Egli ha con sé trentamila franchi e sono tuoi.
IGNAZIO.
Suoi? Sono in gran parte dello zio e di altri. Se però li vuole, eccoli!
CARLO
(con nausea). Io non accetto denari rubati.
CARLA.
Perché? Se sono rubati a te.
CARLO.
Neppure. Vieni, Carla. Lascia che fugga, che se ne vada dove vuole, e tu
ritorna con noi.
IGNAZIO.
Se voi non mi aiutate, se non mi celate per qualche giorno, la fuga sarà
alquanto difficile. Vedi, Carlo, io lascio a te quindicimila franchi; tengo
soltanto la metà per vivere all'estero, finché trovo una occupazione qualunque
che non mi sarà difficile di trovare con una tua buona raccomandazione.
CARLA.
Va bene va bene! (Vedendo che Carlo esita a prendere i denari offerti,
li prende lei.) Sono tuoi, li prendo io.
CARLO.
Carla!
IGNAZIO.
Ma io li do volentieri. Chi piú contento di me di poter riparare almeno
in parte al mal fatto?
SCENA
OTTAVA
CATINA
e DETTI
CATINA.
Era venuto il signor Marco Lonelli. Io gli dissi che poteva entrare ma
egli se ne andò dicendo che sarebbe ritornato subito.
IGNAZIO
(con spavento). Ho capito.
CARLO.
Temi che tuo zio ti tradisca?
IGNAZIO.
Non temo, ne sono sicuro.
CARLA.
Era qui poco fa, e si lagnava con noi della tua scomparsa. (È
agitatissima.)
IGNAZIO
(osservandola con attenzione). Non capisco perché ti agiti tanto,
tu, all'idea ch'io possa venir preso.
CARLA.
Mi duolerebbe lo scandalo. (Si vede che soffre.)
IGNAZIO
(comprendendo). Oppure ti dispiacerebbe si sappia che partecipasti
agli utili dei miei furti?
CARLA
(indignata). Oh, no. So che ognuno riconoscerebbe il mio, il suo (additando
Carlo) diritto di prendere questi denari. Non temo che lo si sappia. Tu
procura di fuggire. Sei ancora in tempo.
IGNAZIO.
E se non volessi?
CARLA.
Oh, è tanto tanto basso ciò che pensi e ciò che vuoi! Aumenta la mia
vergogna a doverti confessare che… soffrirei sapendoti in carcere.
IGNAZIO
(la guarda esitante, quasi commosso, poi fa le spallucce). Son
cose che si dicono in tali momenti. Parlando d'altro; per la mia fuga io ho già
disposto con un padrone di barca, il quale però parte appena dopodomani. Ma
comprenderete che qualcun altro dovrebbe andare a trattare…
CARLO.
Ci andrò io.
IGNAZIO.
Sta bene! Abbiamo qualche poco di tempo e dovreste approfittarne per
darmi da mangiare. Mi sento molto debole.
SCENA
NONA
CATINA,
ELENA, FORTUNATA e DETTI
CATINA.
Ho visto entrare in casa i carabinieri.
IGNAZIO.
Ahi, ahi!
ELENA.
Sono i carabinieri.
IGNAZIO.
Abbiamo inteso! Ad ogni modo, grazie per la premura.
ELENA.
Non vengo soltanto per avvisarvi; vengo anche a salvarvi. Questa casa è
sorvegliata: Io conosco un mezzo per farvi uscire da una casa qui accanto.
IGNAZIO.
Sentiamo.
ELENA.
Potete entrarvi salendo sul tetto della casa qui a destra.
IGNAZIO
(ironicamente). Se però Carla mi permette di approfittare di un
vostro consiglio. (Le due donne retrocedono spaventate a tanta insolenza.)
Ma, dunque, andiamo! (ad Elena.)
ELENA
(a Catina). Catina, tu conosci quel passaggio in casa Doritti.
Mostraglielo!
IGNAZIO.
Io non vi ho offeso, signora, perché non volete rendermi voi questo
supremo servigio? (Le tende la mano.) Ebbene, se non volete, datemi la
mano in segno almeno, che non l'avete con me!
ELENA.
Eccola! Siate felice!
IGNAZIO
(la guarda fisso). Peccato! (Si volge a Carlo.) E voi,
Carlo, datemi la mano in segno di perdono. Sapete, non volli farvi del male. Mi
vedevo cadere e volli sostenermi. (Carlo dà la mano. Ignazio si volge.)
Ebbene, Carla, che ne dici? È l'ultima volta che ci vediamo. A te non chiedo
perdono. Che cosa ti feci? Puerilità. Ed occorreva una sciocca gelosia per
offenderti! Siamo uomini tutti e tu avevi torto di credermi fedele.
CARLA.
Hai ragione. Ma fuggi, Ignazio, ed io ti sarò riconoscente come se
mettessi in salvo anche me. Fuggi! Il tempo incalza!
IGNAZIO.
Addio, Carla! (La bacia, quantunque ella dimostri ribrezzo.)
Andiamo, Catina, e conducimi bene! Tu sei causa ch'io non ho potuto mangiare in
pace. Addio, tutti! (Via con Catina.)
ELENA
(a Carla). Carla, io non ho voluto mai offenderti!
CARLA.
Adesso non ne parliamo! Ch'egli si salvi ed io non porto rancore a
nessuno. Ho perdonato a lui ch'è il piú colpevole! (Le dà la mano
ch’Elena stringe.)
ELENA.
Grazie.
SCENA
DECIMA
Il
MARESCIALLO dei carabinieri. Poi MARCO, poi CATINA e DETTI
MARESCIALLO.
Il signor Ignazio Lonelli?
CARLA
(nello spavento). Ma se qui non c'è! Manca da casa da ieri
mattina!
MARESCIALLO
(a Carlo). In base a questo mandato mi permetterete di perquisire
questa abitazione?
CARLO.
Faccia pure, signore.
MARCO
(entrando). Signor maresciallo, le annuncio che vidi mio nipote
salire le scale… io dico che vuole fuggire per il tetto.
MARESCIALLO.
Chi è suo nipote? (Carla sta per mancare.)
MARCO.
Il malfattore che lei cerca.
MARESCIALLO.
Ah, grazie. (Esce.)
ELENA.
Pfui! Vergognatevi!
CARLO.
Avete commesso un'azione infame.
MARCO.
Lasciatemi in pace! Non commise Ignazio un'azione piú infame ancora? (Esce.)
CARLO.
Coraggio, Carla, forse riesce ancora a fuggire!
CARLA.
E come? Adesso sanno dove si trova.
CATINA
(entra correndo.) Aiuto! aiuto! Il signor Ignazio è caduto dal
tetto!
CARLA.
Ah! (Cade svenuta).
CARLO.
Come? Caduto dal tetto?
CATINA.
Sí. Io lo vidi tutto ad un tratto scivolare, scivolare, trattenersi con
le mani e i piedi, ma inutilmente. Se ne andava come su ruote. Io gridava: Ma si
tenga, ma si tenga! Non serviva! Poi scomparve.
ELENA.
Carla è svenuta.
FORTUNATA
(che guarda dalla finestra). Ma è là, è là! Lo salveranno
ancora! Si tiene ad una grondaia. Un carabiniere si mostra già sul tetto! (Elena
e Carlo accorrono alla finestra.) La grondaia cede! (Inorridita Elena
fugge dalla finestra.)
CARLO.
È salvo! è salvo, se si tiene! Il carabiniere è giunto ad afferrare la
grondaia. Oh! (Fugge anch'egli.)
ELENA
(fuori di sé). È caduto, è caduto. Aiuto! Aiuto! (Gridando
verso la strada, donde si sente un rumore confuso.)
FORTUNATA.
Signora, signora! Forse è salvo! Chissà! Tante volte si è udito di
cadute simili.
MARCO
(entra). Un bicchiere d'acqua! Dammi un bicchiere d'acqua! Quale
spettacolo!
FORTUNATA.
È morto?
MARCO.
Morto? Non soltanto. Per mettere in bara tutti quei pezzi occorrerà la
scopa.
CALA
LA TELA
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