IL LADRO IN CASA

di Italo Svevo

 

III ATTO

 

SCENA PRIMA

ELENA e OTTAVIO, poi IGNAZIO

 

ELENA.                        Mamma non c'è?

OTTAVIO                     (che scrive al tavolo). Sí, è di là in cucina.

ELENA.                        Vuoi farmi il piacere di andarla a chiamare?

OTTAVIO                     (continuando a scrivere). Subito…

ELENA                        (dopo una piccola pausa, in collera). Capisco. (Esce dalla porta laterale. Segue una piccola pausa durante la quale Ottavio scrive con movimenti della testa e della mano.)

Entra Ignazio che si guarda intorno con cautela.

IGNAZIO.                      Poh! Nessuno.

OTTAVIO                     (alzandosi). Cioè… io.

IGNAZIO                      (ridendo). Tu sei qualcuno?

OTTAVIO.                     Almeno due. Domani compisco dodici anni.

IGNAZIO.                      Mi avverti ch'è il giorno del tuo compleanno?

OTTAVIO.                     Ohibò! Già, doni tu non ne fai.

IGNAZIO.                      Chi te lo dice?

OTTAVIO.                     Ho già avuto dodici compleanni, ho quindi acquistato dell'esperienza.

IGNAZIO                      (piegandosi verso di lui). E che cosa mi daresti tu, se ti facessi un dono, ma superbo, come ne so fare io, da gioielliere?

OTTAVIO.                     Un oriolo, per esempio?

IGNAZIO.                      Precisamente. Ma di oro e con catena.

OTTAVIO.                     Anch'essa di oro?

IGNAZIO.                      Sí, ma domani.

OTTAVIO.                     E che cosa vuoi ch'io ti possa dare in cambio?

IGNAZIO                      (ridendo). Nulla. La tua amicizia, nient'altro che la tua buona amicizia.

OTTAVIO                     (esitante gli offre la mano). Se basta!…

IGNAZIO                      (stringendogliela con forza, ironicamente). Una buona amicizia non è mai pagata abbastanza. Stanno tutti bene? Mamma? Papà? Papà è uscito?

OTTAVIO.                     Sí, esce alle sei.

IGNAZIO.                      Ogni mattina?

OTTAVIO.                     Ogni mattina. Anch'io alle sei. Mi sveglia il babbo.

IGNAZIO.                      Le mie congratulazioni! Siete gente attiva.

OTTAVIO.                     Papà del resto dice che non dorme mai. Dice che ha pensieri. (Con aria d'importanza.)

IGNAZIO.                      Come al solito.

OTTAVIO.                     No, di piú.

IGNAZIO.                      Ah, ah!

OTTAVIO.                     Mi sgrida piú del solito, mangia poco e dice che il cibo è cattivo. È segno che ha pensieri. Vuoi che chiami mamma?

IGNAZIO.                      Non occorre. (Fa per andarsene.)

OTTAVIO.                     È in cucina. Dev'esserci anche la signora Elena.

IGNAZIO                      (si ferma). La signora Elena? Per uscire dalla cucina alla scala c'è altra via di questa?

OTTAVIO.                     Hanno fatto chiudere quella porta.

IGNAZIO                      (siede). Allora va bene.

 

SCENA SECONDA

ELENA e DETTI

 

IGNAZIO.                      Oh, signora, lei qui?

ELENA.                        E lei?

IGNAZIO.                      Io sono venuto in cerca del signor Carlo.

ELENA                        (ironicamente). Per prender congedo?

IGNAZIO                      (spaventato). Che!… Ottavio, avrei da dire qualche cosa alla signora da parte di Carla.

OTTAVIO.                     Me ne vado. (Lo prende da parte.) Ma senti, una parola. Se domani tu mi portassi l'oriolo e la catena, se proprio lo vuoi, rammentati di non dire a papà che domani è il mio compleanno.

IGNAZIO.                      Si capisce, sta tranquillo. (Ottavio raccoglie lentamente dal tavolo la penna, alcuni libri e se ne va.)

IGNAZIO.                      Non posso prender congedo neppure da mio cognato.

ELENA.                        Perché?

IGNAZIO.                      È facile immaginarlo. Ti ho già confessato che lascio dei creditori accaniti che certamente non lascierebbero in pace mio cognato. Vorranno essere pagati da lui, perché per la maggior parte io ebbi sue raccomandazioni. Egli non pagherà. Ma sa che con me viaggia un pochino della sua buona fama. Se sapesse della mia partenza, vorrebbe di certo trattenermi.

ELENA.                        Oggi, dunque, di certo.

IGNAZIO                      (baciandole le mani). Oh, grazie, grazie! Difficile, ma non impossibile! La mia vita non potrà compensare tanto sacrificio.

ELENA                        (con abbandono). Non sacrificio, non sacrificio! Cosa posso fare di meglio per la mia felicità che fuggire con te? La menzogna a me sembra maggior colpa della colpa stessa, quella che gli altri chiamano colpa. Oh, vivremo tanto bene insieme! Il tuo carattere allegro, vivace ti farà dimenticare qualche mio difettuccio. Io te ne sarò grata, tanto da dimenticare i tuoi grandissimi.

IGNAZIO.                      Ne ho tanti?

ELENA.                        Non so. Intanto l'ingratitudine. Quella povera Carla!

IGNAZIO                      (seriamente). Ho fatto male a sposarla. Non era donna per me.

ELENA.                        Ne parli troppo seriamente. Temo tu abbia tutt'altro difetto che l'ingratitudine. Uno maggiore!

IGNAZIO                      (ridendo). Insomma per ambidue è stato meglio che ci sieno i nostri difettucci. Oh, tanto tanto meglio! (L'abbraccia.)

ELENA.                        Alle dieci in punto!

IGNAZIO.                      Precisamente! Io durerò fatica a distogliere Carla dall'accompagnarmi, ma ci riuscirò. (Hanno appena tempo di lasciarsi.)

 

SCENA TERZA

FORTUNATA e DETTI

 

FORTUNATA                 (che non ha veduto nulla). Oh, la signora Elena! Ancora qui?

ELENA                        (esitante e confusa). Attendevo il cofanetto che mi ha promesso.

FORTUNATA.                Glielo manderò giú come promesso fra una mezz'ora.

ELENA.                        Volevo chiederglielo ancora una volta, per essere certa che me lo manderebbe… Temevo di non aver ben compreso.

FORTUNATA.                Eh, non abbia timore, glielo invio appena posso! Se vuole però averlo subito, attenda un istante che glielo faccio avere subito.

ELENA.                        No, no non occorre! La ringrazio nuovamente e di cuore. Buon giorno, signora! (Fa per andarsene.)

FORTUNATA.                Buon giorno. E Ottavio?

IGNAZIO.                      È di là.

FORTUNATA                 (aprendo la porta). Ottavio!

OTTAVIO                     (da fuori). Sono qui!

FORTUNATA.                Perché non sei rimasto a studiare?

ELENA                        (ritornando con cautela ad Ignazio). Non ha visto nulla lei?

IGNAZIO                      (calmo, guardando altrove, a bassa voce). No. (Fortunata rientra e resta sorpresa al vedere Elena tanto accosto ad Ignazio; poi si ricompone e risponde al saluto dell'amica.)

FORTUNATA                 (dopo una piccola pausa con voce un po' tremante). Che cosa diceva?

IGNAZIO.                      Chi?

FORTUNATA.                La signora Elena.

IGNAZIO                      (calmo). Mi ha detto, mi pare, qualche cosa, prima di andarsene… Ah, sí. Di raggiungerla…

FORTUNATA                 (fermandolo). No. No. Credo vi abbia salutato. Volete parlare a Carlo?

IGNAZIO.                      Sí, ero venuto per questo, ma poiché non c'è potrà lei riferirgli qualche cosa.

FORTUNATA.                Ben volentieri.

IGNAZIO.                      Mi faccia il piacere di dirgli che per quell'affare… quell'affare si potrà saper qualche cosa di preciso appena questa sera.

FORTUNATA.                Si può sapere di quale affare si tratta?

IGNAZIO.                      Carlo comprenderà, perché non abbiamo che un affare in corso.

FORTUNATA.                Forse quello dei quindicimila franchi?

IGNAZIO.                      No, è un affare che non ha tanta importanza.

 

SCENA QUARTA

OTTAVIO e DETTI

 

FORTUNATA.                Glielo dirò.

IGNAZIO.                      Addio, Ottavio. Siamo dunque intesi. Arrivederci, signora! (Via.)

FORTUNATA.                Su che cosa intesi?

OTTAVIO.                     Ah, su niente.

FORTUNATA.                Questa non è una risposta e sai che voglio che mi si risponda.

OTTAVIO.                     Già non è un segreto. Lo zio mi ha promesso un dono per domani ch'è il giorno del mio compleanno.

FORTUNATA.                E come sa ch'è domani?

OTTAVIO                     (alzando le spalle). Glielo avrà detto Carla.

FORTUNATA.                Farà il suo dovere. Per la prima volta però. Eri tu qui, quando è venuta la signora Elena? E perché te ne sei andato?

OTTAVIO.                     A dire il vero ho capito che desideravano restare soli.

FORTUNATA.                Da che cosa l'hai capito?

OTTAVIO.                     Era facile capirlo. Mi hanno detto di andarmene. Lo zio disse che aveva da riferirle qualche cosa da parte di Carla; io me ne andai, quantunque compresi che non ci sarebbe stato bisogno che me ne andassi, se si fosse trattato di un'ambasciata di Carla (Ridendo.) Scommetterei che fanno all'amore!

FORTUNATA.                Ottavio!

OTTAVIO.                     Ho detto per scherzo, mammina! Avranno probabilmente parlato delle declinazioni latine.

 

SCENA QUINTA

CARLO e DETTI

 

CARLO                        (porta un pacchetto che va a rinchiudere nel cassetto di destra).

FORTUNATA.                Cosa rinchiudi?

CARLO.                        Delle lettere ricevute adesso.

FORTUNATA.                Tante?

CARLO                        (amaramente). Non troppe! Sono circolari, alcuni conti correnti ed una commissione che ammonterà a cento franchi. Ho poca speranza anche oggi di guadagnare le spese.

FORTUNATA.                Muterà, muterà. (Ottavio senza farsi veder dal padre esce.)

CARLO.                        Sí, sí. Muterà. Attendo questo mutamento da un anno! (Scoppiando.) Sai cosa c'è in quel pacchetto? Non lettere, non circolari. Son cinquemilaseicento franchi che devo mandare ad un mio creditore, altrimenti procede ad un sequestro. A tanto siamo giunti. E non son tutti, sai. Mancano mille franchi. Mille, capisci, una minuzia, ma non riesco a procurarmeli. Adesso il mio stato dovrebbe esserti chiaro. Siamo proprio sulla via del fallimento.

FORTUNATA.                Cosa vuoi farci? Tu non ne hai colpa! Alla peggio fallirai! Hanno fallito tanti prima di te, e sono ricchi e rispettati piú di te, e marciano in carrozza… Briganti!

CARLO.                        Briganti! Cosí diresti anche di me.

FORTUNATA.                No, perché tu hai fatto quanto è stato nelle tue forze per risparmiarti questa vergogna. Io anche. Non ho vissuto con una economia spinta all'eccesso? In tutto l'anno non mi sono fatta un solo vestito, eccetto questa camicetta. Ma se ti obbligano, allora devi (con doppio senso) fallire… come si deve.

CARLO                        (accorato). Spero di non essere a questi estremi.

FORTUNATA.                Lo so. Son due anni che vai dicendo di essere prossimo al fallimento. (Improvvisamente.) Quanto ti deve Ignazio?

CARLO                        (tentando di apparire indifferente). Non so.

FORTUNATA.                Temo che sieno piú di ventimila franchi.

CARLO.                        Ma… circa.

FORTUNATA.                Era qui poco fa e mi pregò di avvisarti che per quell’affare… - quell'affare - non mi disse altro, potrete sapere qualche cosa di positivo appena dopopranzo.

CARLO                        (nervosamente). E, dimmi, come appariva? Allegro?

FORTUNATA.                Ah, poveri noi! Tu hai qualche altra faccenda importante in corso con Ignazio!

CARLO.                        Ma no! Te l'ho già detto! Ma perché avrei da tacertelo, se fosse? Ho forse l'abitudine di nasconderti le cose mie?… Era allegro?

FORTUNATA.                Come al solito. Da matto qual è. Ma perché t'interessa tanto di sapere di quale umore fosse?

CARLO.                        Oh, bella! Non ho da interessarmi come vadano gli affari a mio cognato! e per di piú un cognato che mi deve ancora ventimila franchi!

SCENA SESTA

EMILIO e DETTI

 

EMILIO                        (con un libro in mano). Buon giorno…

CARLO                        (seccato). Buon giorno. Scommetto di indovinare cosa la conduce! Lei mi porta la sua opera nuova!

EMILIO.                       Bravo! (Allegramente, porgendo il libro.) Eccolo. Ne faccia l'uso che crede.

CARLO                        (aprendo il volume e pesandolo). È straordinariamente grosso. Le mie congratulazioni! (Leggendo.) "All'amico Carlo Almiti. L'autore." Mille grazie.

EMILIO.                       Non c'è di che.

CARLO                        (leggendo). "Angelo Poliziano ed il Rinascimento". Naturalmente un giudizio non glielo potrò dare, poiché non me ne intendo molto di belle lettere, ma lo leggerò attentamente e poi lo serberò per Ottavio. Ci vorrà del tempo, ma spero sarà un lettore degno dell'autore.

EMILIO.                       Grazie. Senta, non sono venuto soltanto per il libro (imbarazzandosi) cioè, sarei… venuto anche per quello, ma ho da parlarle anche di altre cose. Quindici giorni or sono, o giú di lí, è venuto da me suo cognato, Lonelli, e mi pregò di prestargli fino a circa due ore dopo, cinquemila franchi. Promise di portarmeli egli stesso. Io non l'ho piú visto.

CARLO.                        E le deve ancor sempre quella somma?

EMILIO.                       Si capisce. Se parlassi con lui glieli chiederci senza riguardo, ma è strano! Da quel giorno non lo vedo piú. Forse anche perché il mio libro è già stampato da quindici giorni. (Carlo fa un gesto interrogativo.) Sí, suo cognato s'interessava molto alla stampa del lavoro e veniva ogni due o tre giorni a veder come procedesse.

CARLO.                        Non comprendo come Ignazio possa aver avuto bisogno di cinquemila franchi. Ad ogni modo glielo chiederò. Dev'essere una delle sue solite dimenticanze.

EMILIO.                       Non ne dubito. Non ne ho mai dubitato.

 

SCENA SETTIMA

MARCO LONELLI e DETTI

 

MARCO.                       Buon dí.

FORTUNATA.                Buon giorno.

CARLO.                        Signor Lonelli!

MARCO.                       Non c'è qui mio nipote?

CARLO.                        No, c'era però un quarto d'ora fa.

MARCO.                       Meno male.

CARLO.                        Perché meno male?

MARCO                        (ridendo). Ah, niente, niente… per una mia idea particolare. Ma non sapeva ch'era in procinto di cambiare di abitazione.

CARLO.                        Ignazio cambia di casa? Chi l'ha detto?

MARCO.                       Nessuno. Nella loro casa abita altra gente. Si capisce che loro non vi stanno piú.

FORTUNATA.                Impossibile! Ce ne avrebbero pur detto qualche cosa!…

MARCO.                       Allora sono fuggiti. Loro non sanno davvero dove abitino ora?

CARLO.                        Se non sapevamo neppure che volesse cambiar casa…

MARCO.                       Ah, il brigante! Me l'ha fatta o me la vuol fare!

CARLO.                        Che cosa intende?

MARCO.                       Mi risponda prima lei! Ho scontato ieri ad Ignazio un suo "Pagherò". Eccolo. È suo? (Gli mostra una cambiale.)

CARLO.                        Ma sí; è la mia firma. (Guarda con piú attenzione.) Ma questa cambiale è falsa!

MARCO                        (correndo verso l'uscita). Allora so cosa mi rimane a fare!…

CARLO                        (trattenendolo). Un momento, signor Lonelli! Se questa cambiale fu falsificata da Ignazio, con l'intenzione di danneggiare lei, suo zio…

FORTUNATA                 (interrompendolo).… A te deve sempre ancora ventimila franchi?

CARLO                        (agitatissimo). Che c'entra questo? Egli mi deve questo ed anche di piú. Ma pagherà, pagherà di certo!

MARCO.                       Ma possibile che non abbiate ancora compreso di che si tratta?

CARLO                        (risoluto). No, non l'ho compreso, e sono anzi certo che voi v'ingannate! Vi dico che non può essere…

EMILIO                        (scoraggiato). Ma non sarebbe neanche impossibile.

MARCO.                       Ho capito che voi ci perdete piú di me e toccherebbe a voi sporgere denunzia. Se volete farlo, vi do la cambiale con la firma falsificata.

CARLO.                        No. Non ancora! Da qui ad un'ora Ignazio sarà qui.

MARCO.                       Un'ora? Volete attendere un'ora? Datemi la cambiale. (La prende e la intasca.) Attendetelo con calma. Vi garantisco che ve lo conduco. (Via.)

EMILIO.                       Capisco che i miei cinquemila franchi se ne sono iti. Voi perdete molto di piú.

CARLO                        (cade seduto piangendo e nascondendosi la faccia). Oh, s'è vero, povera la mia famiglia!

FORTUNATA                 (vicina a lui). Senz'avvisarmene avevi dato dell'altro denaro ad Ignazio.

CARLO                        (prendendole la mano e tenendosi ancora la faccia coperta). Sí, Fortunata, perdonami! Ho fatto male. Ho fatto male, perché nel mio stato attuale non avevo diritto di affidare tanto ad un sol uomo. Ma egli mi diceva sempre che per salvare i primi danari datigli, gliene occorrevano degli altri, e mi sono lasciato abbindolare.

FORTUNATA.                E quanto in tutto?

EMILIO                        (imbarazzato è andato verso la porta). Dato che lei non crede ancora che il signor Ignazio sia fuggito, c'è sempre tempo a disperarsi. Per i miei cinquemila franchi io non farò alcun passo. Attenderò ciò che lei vorrà comunicarmi in proposito. Coraggio! Si ricordi, ad ogni modo che lei ha dei buoni amici!

CARLO.                        Mille grazie, signor Emilio! (Emilio via.)

FORTUNATA.                Tu non esci? Non vai ad accertarti del fatto? Eventualmente a provvedere.

CARLO.                        Sí, andrò subito, ma non farti vane lusinghe, povera moglie mia! Provvedere? e a che? Se il marito di mia sorella è fuggito, vuol dire che non poteva provvedere ai suoi impegni, neppure a quelli contratti con me. Ma forse non è fuggito. Chissà!!

 

SCENA OTTAVA

CARLA e DETTI

CARLO.                        Carla! E tuo marito? (Veemente.)

CARLA                         (vestita a nero, pallida addolorata è rimasta in fondo della scena). Mio marito?

CARLO.                        Non è dunque fuggito? È sempre con te?

CARLA                         (piangendo cade seduta sulla sedia presso la porta di fondo). Dio mio!

CARLO                        (si copre il volto con le mani). Dunque era vero! Era vero! Oh, l'infame!

CARLA                         (sempre singhiozzando). No, Carlo! È stata la forza delle circostanze che lo ha spinto! Egli poveretto lottava, faceva di tutto per sortirne con onore, ma alla fine è stato vinto.

CARLO.                        Ma perché nei suoi sforzi per salvarsi ha rovinato me? Oh, il traditore! (Furibondo.) Tu sai, Fortunata, se io sia stato leggero, se abbia mai confidato alla cieca in altri! Quelle furono lotte! Tutta la mia vita ci misi! Tutte le mie forze, tutta la mia intelligenza! Ero attivo fino alla esagerazione ed economo. E costringevo anche te ad essere tale. Tanta perfidia, tanta dissimulazione mi vinsero che non mi vergogno di essermi confidato come un bambino! Io credeva di conoscere il mondo, gli uomini e adesso che sono stato ingannato lo credo ancora! Perché… chi poteva attendersi di scoprire un ladro in un congiunto?

CARLA.                        Oh, Carlo!

CARLO.                        Benedette le lagrime che t'impediscono di parlare per difenderlo! Io ti perdono. Sono stato ingannato io, sei stata ingannata anche tu sua moglie. Tu, probabilmente non sai nulla, o almeno non sai tutto.

CARLA.                        Oh, egli mi raccontava tutto!

CARLO.                        No, ti dico. Non può essere! Non piangeresti o almeno non piangeresti che per me. Ti ricordi che davanti a te, un anno fa, mi chiese di partecipare ad un suo affare prestandogli diecimila lire? Già allora egli sapeva che non sarebbe stato in condizione di restituirmeli.

CARLA                         (debolmente). No!

CARLO.                        Ti dico di sí Carla, ti dico di sí. Tu non sapevi nulla, ma io ben presto mi accorsi, no, non mi accorsi, sentii, ch'era cosí. Era un istinto, ma io lo soffocai per vari motivi, di cui non ti dirò che uno: era tuo marito. Tutto ad un tratto, all'epoca precisa in cui doveva pagarmi una parte del debito, mi chiese invece altri denari. Mi mostrò delle merci preziose che pel momento gli era difficile di realizzare, dei libri di un valore considerevole. Se quei libri fossero stati veridici, se quelle merci fossero state sue, a quest'ora il suo stato non avrebbe potuto mutarsi talmente da un istante all'altro.

CARLA.                        Perdette poi tutto in fallimenti…

CARLO.                        Non è vero! Giuocava a carte e può aver perduto al circolo i denari rubatimi; ma mi meraviglierebbe, perché non gli sarà stato facile trovare un uomo piú ladro di lui.

CARLA.                        Io non posso rettificare queste orribili accuse, ma t'inganni. Non è giusto attaccare in tal modo un assente. Io non mi lagno per me, ma vorrei essere morta piuttosto che essere qui in questo stato. (Piange.)

CARLO                        (la guarda un istante intenerito). Siamo due disgraziati, è vero!

FORTUNATA                 (abbracciando Carla). Povera donna!

CARLO.                        Io non intendevo farti del male. Chissà! Forse anche questa volta riuscirò a cavarmela col lavoro, con l'aiuto di amici che conoscono la mia onestà. Ma il colpo è stato forte, molto forte! Perché continuai a dargli denari; si trattava di salvare una grossa somma con sacrifici, relativamente piccoli, ed io lo feci. (Rialzandosi con energia.) Insomma, meglio l'agonia che la morte. Sono piú avanti con gli anni, ma non mi trovo in uno stato peggiore di quello in cui mi trovavo sei anni or sono (con leggero rimprovero) allorché tu ti sposasti. Ricordi? Io ti scongiurava di non sposarti o almeno di aspettare.

CARLA.                        Io non potevo.

CARLO.                        O meglio non volevi. Anche adesso hai avuto dei torti. Tu sapevi che il colpo si preparava e hai taciuto.

CARLA                         (esitante). Non sapevo.

CARLO.                        Non mentire, Carla!

CARLA                         (ad un tratto agitata). Chi ti dice ch'io menta?

CARLO.                        Se lo sappiamo che da parecchi giorni avete abbandonato la vostra casa. Non so dove avete passato tutto questo tempo, ma dal vostro contegno, dal tuo contegno è facile comprendere che non volevi si sappia questo cambiamento.

CARLA.                        Ebbene, è vero. Io sapevo che Ignazio doveva fuggire e non dissi nulla. Dovevo tradire mio marito?

FORTUNATA                 (si allontana da lei). Tradire tuo fratello?

CARLA.                        E che cosa avrebbe servito a Carlo sapere di questa fuga? Avrebbe danneggiato Ignazio senza alcun suo utile.

CARLO.                        E tu, disgraziata, che cosa speri, ora, da tuo marito?

CARLA.                        Che cosa io spero da lui? Intanto che egli giunga in salvo. Poi mi ama, mi ama sempre come il primo giorno del nostro matrimonio. Appena potrà mi chiamerà presso di sé.

CARLO.                        E tu andrai? Ti affiderai di nuovo a quell'individuo?

CARLA.                        Ma con gioia! S'è l'unica felicità che mi rimanga vivergli accanto!

CARLO.                        Tu sei perduta per noi, capisco. È anche naturale. (Riscaldandosi.) Ma però al vederti cosí tranquilla, cosí indifferente alla mia disgrazia, preoccupata soltanto di te, della tua sorte, provo un intimo senso di disgusto.

CARLA.                        Di me chi ci pensa?

CARLO.                        È vero, ho sbagliato, di lui ch'è causa di tutto. Eppure io ti amai, ti protessi, ti feci da padre per molti e molti anni. Non ho mai chiesto un compenso, ma non mi aspettavo di venir pagato con tanta tanta ingratitudine.

CARLA.                        Non saprei in qual modo avrei da dimostrarti la mia gratitudine in queste circostanze. La gratitudine possono dimostrarla le persone felici, io non lo potrei mai! Capisco che la mia vista deve riescirti incresciosa. Io non ne ho colpa. Non voglio fartela perciò sopportare piú a lungo. Addio. (Si avvia risolutamente verso l'uscita.)

FORTUNATA.                Eh, via, Carla!

CARLA.                        No, mi lasci, mi lasci! Io me ne vado.

FORTUNATA.                E dove?

CARLA.                        Via di qua, intanto.

CARLO.                        Non sono io che ti scaccio! Sei tu che fai di tutto per accrescere il mio dolore con scenate! Insomma, finiamola! Tu rimani qui. Manderemo Maria a invigilare la tua casa.

CARLA.                        Non ho casa. In quest'ultime settimane abbiamo vissuto all'albergo.

 

SCENA NONA

MARIA e DETTI

 

MARIA.                        Il signor Emilio manda a veder se la signora Elena è qui.

FORTUNATA.                No, sarà probabilmente da sua madre.

MARIA.                        La madre della signora Elena mandò a dire che non la vede da questa mane.

FORTUNATA.                Ma qui non c'è.

MARIA.                        Perdonino il disturbo. Buona sera!

 

CALA LA TELA

 

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