Il ladro in casa

di Italo Svevo

 

I ATTO

 

CARLO

FORTUNATA, moglie di Carlo

OTTAVIO (decenne) loro figlio

ELENA

CARLA

IGNAZIO

MARCO, zio di Ignazio

EMILIO

EMILIA, serva di Carla

CATINA, serva di Carlo

 

SCENA PRIMA

ELENA, CARLA e OTTAVIO

 

CARLA                         (che sta abbigliando Ottavio). Cosí oggi farai delle conquiste…

OTTAVIO                     (durante una lunga pausa si guarda i pantaloni). Delle conquiste… giusto… giusto… non me ne importa…

ELENA.                        La risposta si è fatta attendere…

OTTAVIO                     (a Carla). Guarda, se ho fuori la camicia di dietro…

CARLA.                        Bello! Bello! Io direi di prenderti una cameriera. (Lo aiuta.)

ELENA.                        Io, per esempio non gli avrei mai permesso di prendersi tanta libertà da darmi degli ordini…

OTTAVIO.                     Lei… taccia, lei!

ELENA.                        E perché ho da tacere, mio bel bimbo?

OTTAVIO.                     … perché lei non c'entra…

ELENA                        (alza le spalle; poi a Carla). E tu non sei ancora abbigliata? Davvero, non sembrerebbe che oggi tu abbia a ricevere per la prima volta lo sposo.

CARLA.                        E dove ho da trovare il tempo per vestirmi? Mi son levata alle nove, un po' per servire Fortunata… un po' per vestire questo "mulo"…

OTTAVIO.                     Chi è "mulo"?

CARLA.                        Non parlavo con te.

ELENA.                        E adesso non sei capace di ribellarti? Fra pochi giorni non avrai piú bisogno di loro…

CARLA.                        Appunto perciò non merita fare baruffa…

ELENA.                        Intanto una persona che ha un po' di sangue nelle vene, si vendica.

CARLA                         (ad Ottavio). Cosí… Adesso puoi andartene!

OTTAVIO.                     No, resterò ancora un poco qui.

CARLA.                        Non parlare davanti a lui che riporta tutto alla sua mamma…

ELENA.                        Principierai, per esempio, prima di abbandonare la casa col dare una buona lezione a questo malcreato.

OTTAVIO.                     Cosa farebbe lei?

ELENA.                        Nulla! (Con gesto espressivo.) Un movimento di mano su e giú Piff! Paff!

OTTAVIO.                     Io le permetto di provare, se vuole!

ELENA.                        Ah, vuoi lottare con me? Vediamo! (Gli prende le braccia e gliele tiene ferme.)

OTTAVIO.                     Io… (Lottando e sbuffando.) Io le rompo il muso!…

ELENA.                        Ah, mi rompi il muso, manigoldo! (Lascia andare il braccio e gli dà uno schiaffo, poi lo riprende.)

OTTAVIO                     (c.s.) Stia attenta!

ELENA                        (ripete diverse volte il giuoco, c.s.). A che cosa devo stare attenta?

OTTAVIO                     (piangendo e gridando). Mi lasci! Mi lasci! Ma mi lasci! (Si svincola piangendo.) Villanaccia!

CARLA.                        Ah, perché bastonarlo?

ELENA.                        Digli che stia zitto o che ripeta il giuoco. Ma faccio processo corto! Vieni un po' giú, vieni! che almeno ci lascieranno quiete!

CARLA.                        Ma ho da vestirmi!

ELENA.                        Ti vestirai dopo. Anche cosí egli non ti troverà brutta. (Via con Carla.)

 

SCENA SECONDA

FORTUNATA ed OTTAVIO

 

OTTAVIO                     (piange. Quando vede Fortunata, si mette a piangere piú forte.)

FORTUNATA                 (spaventata). Che hai, Ottavio? Sei caduto? (Chiamando.) Carla! Carla! Dove ti sei fatto male? (Scotendolo.) Ottavio! Ottavio!

OTTAVIO.                     Non sono caduto… Mi hanno bastonato! (Piangendo forte.)

FORTUNATA.                Chi ti ha bastonato? Su, dimmi, chi? Carla, forse?

OTTAVIO.                     No, non Carla.

FORTUNATA.                Papà?

OTTAVIO.                     No, la signora Elena.

FORTUNATA.                La signora Elena?!

OTTAVIO.                     Sí, mi ha schiaffeggiato.

FORTUNATA.                Ma perché, perché?…

OTTAVIO.                     Per nulla.

FORTUNATA.                Tu le avrai detto qualche insolenza…

OTTAVIO.                     No, loro me ne hanno dette a me.

FORTUNATA.                Chi, loro?

OTTAVIO.                     Carla mi ha detto… "mulo".

 

SCENA TERZA

CARLO e DETTI

 

CARLO.                        Mulo, perché?

FORTUNATA.                Non è una cattiveria? L'ultimo giorno che appartiene ancora alla nostra famiglia!

CARLO.                        Ma tu per primo le avrai detto qualche insolenza.

OTTAVIO.                     No, io, nulla. La signora Elena diceva che prima di uscire da questa casa si sarebbe vendicata…

FORTUNATA.                Vendicata di che cosa?

OTTAVIO.                     Di te, mamma, di me…

FORTUNATA.                Che cosa abbiamo fatto noi alla signora Elena?

OTTAVIO                     (impazientito). No, non la signora Elena! Diceva che se lei fosse stata Carla si sarebbe vendicata.

CARLO.                        Dov'è Carla?

OTTAVIO.                     È andata al primo piano.

FORTUNATA.                Guarda, ha marcato sul viso tutte le cinque dita!

CARLO                        (chiamando). Catina!

FORTUNATA.                Che cosa vuoi da Catina?

CARLO.                        Che vada a chiamare Carla.

FORTUNATA.                Catina si sta vestendo. E poi che cosa vuoi dire a Carla?

 

SCENA QUARTA

CARLA e DETTI

 

CARLA.                        Ho inteso fino in primo piano le grida di Ottavio. Che cosa è accaduto?

FORTUNATA.                Fa lo gnorri, carina, che ti sta tanto bene! Eri presente e non hai saputo impedire che la signora Elena lo bastonasse.

CARLA.                        Eh, bastonasse! L'ha appena toccato! Sapete ch'è smorfioso.

OTTAVIO.                     Eh, già smorfioso! Vorrei che le avessi pigliate tu! (Piange.)

CARLA.                        Ma io non l'ho bastonato! Che c'entro io! Rivolgetevi ad Elena.

CARLO                        (mite). Potevi però impedire ch'Elena lo bastonasse…

CARLA.                        Credevo che scherzassero da principio. Lottavano ed egli non piangeva.

OTTAVIO                     (singhiozzando). Causa tua! Hai detto che dinanzi a me non si può parlare di nulla, perché lo riporto alla mammina…

CARLA                         (arrossendo). L'ho detto cosí… non mica perché mi sarebbe dispiaciuto che riportasse qualche cosa!… Sapete che tra amiche si hanno tante cose da raccontarsi!

FORTUNATA.                Immagino quello che queste amiche si raccontano!

CARLA.                        Non puoi immaginarlo.

FORTUNATA.                Non credevo di doverti rimproverare ancora oggi la tua ingratitudine. Vieni, Ottavio! (Lo trascina via.)

CARLA.                        Tu, poi, quando tua moglie ha parlato, non c'è piú verso di convincerti…

CARLO.                        Tu sei cattiva! È inutile che perdiamo parole su questo argomento! Va ad aiutare Fortunata a finir di preparare la stanzetta qui accanto. Qui firmeremo il contratto. (Carlo via.)

 

SCENA QUINTA

EMILIO e DETTO

 

EMILIO                        (entrando). Buon giorno. Ha veduto mia moglie?

CARLO                        (ridendo). Era qui poco fa, ma credo che adesso sia discesa.

EMILIO.                       Perché ride?

CARLO.                        Perché la signora ha lasciato tracce del suo passaggio.

EMILIO.                       Quali tracce?

CARLO.                        Ha bastonato il mio figliuolo.

EMILIO.                       Ah! E cosa dirà la signora Fortunata?

CARLO.                        Ha già detto, e speriamo che non dirà piú nulla.

EMILIO.                       Io le chiedo scusa.

CARLO.                        Oh, non ne vale la pena! Obbligherò io Ottavio a chiedere scusa alla signora Elena.

EMILIO.                       Questo poi no. Senza nulla sapere della questione fra suo figlio e mia moglie, penso che mia moglie abbia avuto torto.

CARLO.                        Badi che riporterò questo suo giudizio alla signora Elena!

EMILIO                        (indifferente). Faccia pure. (Guarda l'orologio.) A che ora firmano il contratto?

CARLO.                        Appena dopopranzo, sa. Questa mane voglio trattare io con lo zio dello sposo avendo da porre alcune condizioni.

EMILIO.                       Allora per questa mane non ha bisogno di me?

CARLO.                        Bisogno no. Ma avrei piacere che rimanesse a farmi un po' di compagnia.

EMILIO.                       Mi dispiace, ma non posso! Questa mattina andrò a lavorare e dopopranzo verrò qui.

CARLO.                        So già quale sacrificio lei fa dedicandoci un po' del suo tempo prezioso!

EMILIO.                       Oh, col sommo piacere! La saluto!

 

SCENA SESTA

ELENA e DETTI

 

ELENA.                        Dove vai, adesso?

EMILIO.                       Giú nel mio stanzino.

ELENA.                        Va pure.

EMILIO                        (piano ad Elena, imperativo). Dopo vieni nel mio studio. Ho da parlarti.

ELENA                        (fingendo indifferenza). Va bene.

EMILIO.                       A rivederci. (Via.)

ELENA                        (a Carlo). La prego, senta. Prima il suo figliuolo mi ha detto qualche insolenza e mi sono lasciata trascinare. Mi scusi, la prego, e dica a sua moglie ch'è stato un momento di dimenticanza che non avrei dovuto avere. Lo ha raccontato a mio marito?

 

SCENA SETTIMA

FORTUNATA e DETTI

 

ELENA.                        Buon giorno, signora.

FORTUNATA.                Signora, perdoni la libertà, ma non permetto che altri tocchino i miei figliuoli…

ELENA.                        Ne parlavo appunto al signor Carlo.

FORTUNATA.                Se io voglio castigarlo son padrona; lei sa che non ha questo diritto e non so come spiegarmi il fatto che lo abbia dimenticato…

ELENA.                        Le chiedo scusa. Mi sono lasciata trascinare e le chiedo scusa. Se vuole vendicarsi, bastoni me!…

FORTUNATA                 (rabbonita). Sa, signora, Ottavio è un ragazzo cosí debole che fino a un anno fa lo credevamo malaticcio. Ora è un po' rimesso, ma gli usiamo ogni cura. È per questo… (Si stringono la mano.)

CARLO.                        Non credevo che finisse tanto presto. (Si sente il campanello. A Fortunata.) Va a chiamare Carla!

ELENA.                        Permetta che vada io! È nella sua stanza, nevvero?

FORTUNATA.                Sissignora. Chissà se sono loro! (Elena via. Fortunata e Carlo vanno alla porta.)

 

SCENA OTTAVA

MARCO, IGNAZIO LONELLI e DETTI

 

CARLO.                        Si accomodino, signori!

IGNAZIO                      (ridendo). Hi, hi! Piuttosto, non si scomodino loro! La signora, poi!… (Entrano. Carlo porge delle sedie; Ignazio guarda attorno.)

CARLO.                        Carla verrà subito. (Presentando.) Mia moglie Fortunata, il signor Marco Lonelli, il signor Ignazio lo conosci già… (Tutti s'inchinano.)

MARCO                        (non avendo inteso, in atto di domanda). La signora?

IGNAZIO                      (gridando). La signora Fortunata. Mio zio è un po' duro. (Mostrando l'orecchio.)

MARCO.                       Avevo inteso, però, un nome piú lungo…

IGNAZIO.                      Hi, hi… Erano i nostri nomi… Il signore ci presentava…

CARLO.                        Una bella giornata, oggi.

IGNAZIO.                      Sí, però un po' caldo…

FORTUNATA.                Strano! Invece io ho un po' freddo…

IGNAZIO.                      Ognuno sente diversamente. (Gridando.) Mio zio poi ha sempre freddo.

MARCO.                       Ohibò! Anzi, ho sempre caldo. Qui per esempio fa molto caldo. Questa stanza è posta a mezzodí?

CARLO.                        No, signore. (Poi piú forte.) No, signore.

 

SCENA NONA

CARLA, ELENA e DETTI

 

CARLO                        (andando loro incontro). Oh, finalmente! (Presentando.) Mia sorella Carla, la signora Elena Morfi. Il signor Marco Lonelli (Complimenti.)

CARLA                         (a Ignazio) Perché grida tanto Carlo?

IGNAZIO.                      Lo zio è un poco sordo.

CARLA.                        Poveretto!

MARCO                        (andando da Ignazio). Quale delle due è la tua sposa?

IGNAZIO.                      Hi, hi! (Fa un piccolo segno verso Carla.)

MARCO.                       Signorina, finora io ho fatto da padre ad Ignazio. Spero che d'ora innanzi, anziché uno avrò due figliuoli.

CARLA                         (imbarazzata). Grazie! (Lunga pausa.)

ELENA                        (tossendo). Una bella giornata quest'oggi.

IGNAZIO.                      Hi, hi, hi! Tanto è vero che anche il signor Carlo lo aveva osservato.

CARLO.                        Oggi, signori, mi favoriranno a pranzo e dopo firmeremo il contratto.

IGNAZIO.                      Senza chiedere il permesso a mio zio, accetto per me e per lui. Hi, hi, hi! Zio, il signor Carlo c'invita a pranzo…

MARCO                        (inchinandosi). La ringrazio, molto. Ma ho già un precedente impegno.

IGNAZIO.                      Ma è che appena dopopranzo firmeremo il contratto.

MARCO.                       Lo so. Allora ritorneremo dopopranzo.

CARLO.                        Mi dispiace di non averli avvertiti prima. Lei, almeno, rimarrà.

IGNAZIO                      (accettando). Mille grazie.

ELENA                        (ridendo). Badi che qui al venerdí si mangia di magro.

IGNAZIO.                      Hi, hi, hi! Cosa fa? Mangerò di magro. (Guardando Carla.) Già mi è indifferente, perché ho paura che non mangerò nulla.

CARLO.                        Non è mica causa mia che mangiamo di magro il venerdí. È un'abitudine importata in famiglia da mia moglie. Io non credo affatto.

FORTUNATA.                Come, causa mia? A me non importerebbe affatto. Son tutte fiabe.

IGNAZIO.                      Allora causa sua, signorina.

CARLA                         (ridendo). Ha!

IGNAZIO.                      Ma di chi allora? Hi, hi, hi!

CARLO.                        È l'abitudine. Mio padre, poveretto, mangiava di magro il venerdí. Io mi sono abituato da bambino. Dopo, quasi per pregiudizio, ho mantenuto l'uso.

IGNAZIO.                      Dunque, lei crede.

CARLO.                        Ah, niente affatto.

IGNAZIO.                      Allora lei non crede, ma mangia di magro, il venerdí. In casa di mio zio si mangia di magro, perché cosí vuole la cuoca.

TUTTI.                        La cuoca?!

MARCO.                       La cuoca?

IGNAZIO.                      Dicevo che lei, zio, ha un magnifico cavallo.

MARCO.                       Ah, sí. Bellissimo! Mi è costato un occhio della testa.

CARLO.                        Ma perché il signor zio non usa una tromba?

IGNAZIO                      (gridando). Il signor Carlo domanda, perché lei non usa una tromba.

MARCO                        (violento). Neanche per idea! Sarebbe bello veder penzolare dall'orecchio quel coso lungo!

IGNAZIO.                      Nemmeno la sua cuoca ha potuto ancora convincerlo di portarla. Hi, hi, hi! (Nessuno ride. Imbarazzo generale per alcuni secondi. Egli se ne accorge.) Mica che ci sia da pensar male! Solamente scommetto che da qui ad un mese mio zio porterà la tromba. Hi, hi!

CARLO                        (traendo in disparte Ignazio). Potremmo noi parlare un poco seriamente a quattr'occhi? Vuole?

IGNAZIO.                      Ha da dirmi qualcosa, signor cognato… futuro?

CARLO.                        Sí, con mio dispiacere.

IGNAZIO.                      Del matrimonio?

CARLO.                        Mah!… Circa.

IGNAZIO.                      Allora, parli con mio zio.

CARLO.                        Credendo di poterlo fare, finora non mi rivolsi a lei. Ma ora mi pare che sia difficile… (Imbarazzato guarda Marco.)

MARCO.                       Comandi?

FORTUNATA                 (gridando). Vuol vedere la nostra casa?

MARCO                        (alzandosi). Sí, signora.

CARLO.                        Dopo puoi rimanere coi signori qui, nella stanzetta qui accanto.

FORTUNATA.                Io la precedo. (Via con Marco.)

ELENA.                        E loro, signori, non vengono?

CARLO.                        Verremo subito.

IGNAZIO                      (piano a Carla conducendola alla porta). Procurerò di sbrigarmi al piú presto da questa seccatura. Seccatura… non mica, perché ho da stare con suo fratello, ma perché starei piú volentieri con lei. (Carla via.)

ELENA                        (a Carlo). È stato sprecato poco spirito in questo primo incontro. Non ha ragione di offendersi, per questa osservazione, perché c'ero anch'io.

CARLO.                        Da questa riunione attendevamo non spirito, ma felicità.

ELENA.                        Ben venga la felicità, ma che non sia una felicità troppo noiosa. (Via.)

CARLO.                        Pettegola!

 

SCENA DECIMA

IGNAZIO e CARLO

 

IGNAZIO.                      Gridando un poco si poteva però parlare anche con lo zio.

CARLO.                        Vado soggetto a mali di gola.

IGNAZIO.                      Peccato che siano morti tutti gli altri miei zii. Ne avevo tre da parte materna. Adesso, carissimo cognato, ché credo poterti già chiamare cosí, ti faccio una proposta: Diamoci del tu. Si può parlare meglio ed è piú affettuoso. (Gli offre la mano.)

CARLO                        (stringendogliela). Grazie, era anche mio desiderio.

IGNAZIO.                      E veniamo al fatto che di là ci aspettano.

CARLO.                        Si tratta di una piccola questioncella d'interesse.

IGNAZIO                      (con una smorfia). S'è piccola, non fa nulla.

CARLO.                        Oh, piccolissima! Almeno credo. Come forse saprai ho da dare in dote a mia sorella ventimila franchi.

IGNAZIO                      (s'inchina).

CARLO.                        Di questi ventimila franchi, diecimila ci devono venir pagati sopra una polizza di assicurazione fatta dal nostro povero padre. Gli altri diecimila li ho io, e, finora, come ne ho diritto, fino al dí dopo il matrimonio di Carla, li ho adoperati nel mio commercio di legnami. Dei miei affari non mi ho da lagnare; mantengo benino la mia famiglia, non le faccio mancar nulla e posso portar alta la testa, perché non feci giammai cattiva figura.

IGNAZIO.                      Lo so. Ognuno lo sa.

CARLO.                        Io posso pagare i diecimila franchi. Quando vuoi, magari subito. Ma vediamo un poco. A che cosa ti servirebbero? Tu hai la bottega ben avviata, a quanto mi hai detto tu stesso, e capitali sufficienti. Hai anche un ramo in cui piú del necessario non occorre, poiché non hai da fare contratti come me, che talvolta ascendono a somme che eguagliano tutto il mio avere, né da fidare. Ho da farti una proposta. Lasciali a me quei fondi, e io ti pagherò un interesse del sei per cento all'anno. Dimmi un chiaro sí o no, senza titubanze. Mi pare che nemmeno tu non ne ricaveresti tanto. Vuoi? A me non importa tanto, perché capirai che per diecimila franchi non mi rovino. Faccio la proposta per vostro bene, perché cosí investite un capitale in modo sicuro e conveniente.

IGNAZIO.                      Se non te ne importa tanto, non ho allora nessun ritegno di confessartelo. Anche a me quei diecimila franchi starebbero bene.

CARLO.                        E perché farne?

IGNAZIO.                      Eh, lo sai tu pure che ti è toccato metter su casa tua propria. Sono cose che costano.

CARLO.                        Ma i diecimila franchi…

IGNAZIO                      (con segno di sprezzo). Pf!…

CARLO                        (turbato). Ne aggiungerò quattromila.

IGNAZIO.                      No, perché? Dammeli tutti.

CARLO                        (piú sostenuto). Bene, come vuole. Ho solamente da aggiungere una cosa. Il matrimonio non si farà che da qui a sei mesi.

IGNAZIO.                      Non avevamo già stabilito che doveva aver luogo fra un mese?

CARLO.                        Ora lo dilazioniamo.

IGNAZIO.                      Ma io desidererei di sposarmi fra un mese, e anche Carla.

CARLO.                        Lei sa che sono il tutore di Carla. Ho almeno il diritto di fissare l'epoca del matrimonio.

IGNAZIO.                      Ma perché, perché?

CARLO.                        Carla è giovanissima e può attendere.

IGNAZIO.                      Sei mesi non contano mica tanto nella vita di una ragazza.

CARLO.                        Allora le dirò semplicemente e francamente il perché di questo mio desiderio. Io le ho detto che il mio negozio va bene, ed è vero, ma prima di sei mesi io non posso pagare i diecimila franchi.

IGNAZIO.                      E non può farseli prestare? Un uomo come lei troverà sempre credito per diecimila franchi.

CARLO.                        Non è facile come a lei sembra, e poi… non so perché lei avrebbe ad essere tanto dispiacente per una dilazione di sei mesi.

IGNAZIO.                      Oh, è noioso. Molto piú noioso di quello che crede. Mi permette di parlare un momento con Carla?

CARLO.                        Sí. Però a Carla devo dire prima io qualche cosa. Oh, appena un minuto! (Via con Ignazio. Dopo un istante ritorna con Carla.)

 

SCENA UNDICESIMA

CARLA e CARLO

 

CARLA.                        Siete d'accordo?

CARLO.                        Ah, che d'accordo! Senti, credi, nevvero, che il signor Ignazio ti voglia sposare per amore? Ebbene, t'inganni. È per interesse.

CARLA.                        Perché mi dici questo?

CARLO.                        Tu sapessi con quale impudenza… come parlava francamente quasi si trattasse di un semplice affare! Se tu fossi stata dietro quella porta, non lo sposeresti piú.

CARLA.                        Ma cosa ha detto?

CARLO                        (abbracciandola). Tu mi vuoi bene, nevvero? Devi ora salvarmi la vita. Tu sai che non sono ricco. Mi vedi talvolta addirittura affranto dai pensieri e mi hai udito raccontare a Fortunata quanto mi costi mantenere con decoro la mia famiglia e far fronte a tutti i miei impegni. Ho ventimila franchi tuoi, ma almeno pel momento non li posso dare tutti.

CARLA.                        E come farai?

CARLO.                        Io ho fatto tanto per te che ti domando questo favore senza timore che me lo neghi, perché alla fin dei conti è tuo dovere il farlo. Carla, tu sei giovane. Quei piccoli litigi che hai avuto con noi perché sono recenti, ti fanno piú impressione dei benefici che hai da noi ricevuto. Quand'eri ancora ragazzina, orfana ti presi con me e ti fui padre. Io non fui mai giovanotto causa tua, perché a diciotto anni io dovevo già pensare ad una famiglia. Eri tu. Poi, naturalmente, ebbi anch'io un'altra famiglia, ma non per questo diminuí l'affetto che sempre ti portai. Ti vidi talvolta vendicativa, astiosa. Dal primo momento in cui Fortunata entrò in questa casa, tu non avesti per essa un segno di affetto. Pensai, naturalmente, che tu non mi volessi piú bene…

CARLA.                        Oh, a te ho sempre voluto bene.

CARLO.                        Ma non me lo hai dimostrato. Un giorno ti trovai là sulle scale con Lonelli. Invece di dirgli come una ragazza per bene: Va, rivolgiti al mio tutore, tu facevi all'amore come usa la gente bassa. Era come un segno di diffidenza verso di me; era come se tu avessi detto: La felicità mia devo cercarla io.

CARLA.                        Oh!

CARLO.                        Non protestare! Un giorno me lo dicesti che io non avevo tempo di pensare a te.

CARLA.                        Non mi rivolgevi da un mese la parola.

CARLO.                        Perché avevi litigato con Fortunata. Ma vedi come ti eri ingannata sul mio conto. Io chiesi informazioni su questo giovane e non l'ebbi cattive. Dicevano ch'era di famiglia onesta, che lavorava tutto il giorno e che solo alla sera faceva un po' il discolo. Ma tutti a quell'età lo fanno, meno io per tuo riguardo. Lo invitai in casa. Invitai poi anche lo zio per giungere presto alla conclusione. Ebbene, a mio credere questa conclusione è impossibile.

CARLA.                        Ma perché?

CARLO.                        Io ho sposato Fortunata povera senza ricevere un centesimo dai suoi parenti. Il signor Lonelli non vuole soltanto la dote, ma la vuole subito.

CARLA.                        Ah!

CARLO.                        In buona fede gli proposi di lasciare da me il capitale, e gli avrei pagato un grosso interesse. Non volle.

CARLA.                        Ma ti disse la ragione?

CARLO.                        No, semplicemente non vuole. A te, Carla, non mancheranno buoni partiti, migliori di questo. In nome dei nostri genitori lascia ch'io rompa questa relazione. Non può apportarti che del male. Io potrei comandare in nome dei nostri genitori, ma voglio lasciarti libera la volontà. Guarda, è presto fatto. Tu ti ritiri ed io vado a congedare quei signori. (Si avvia e si ferma presso la porta.) Sí?

CARLA.                        No no, te ne prego! Cosa disse, quando gli proponesti di trattenere il denaro per qualche mese?

CARLO.                        … che non può.

CARLA.                        E null'altro?

CARLO                        (asciugandosi la fronte). È difficile convincere una ragazza incapricciata! Te, poi, che sei stata sempre tanto ostinata, impossibile! (Voltandosi in fondo, freddamente.) Fa quello che vuoi.

CARLA.                        Invece di arrabbiarsi pensiamo assieme come si potrebbe fare…

CARLO.                        Cosa fare?

CARLA.                        Ho un'idea. Lascia ch'io parli con Lonelli.

CARLO                        (irritato). Cosí sei fermamente decisa di sposare quest'individuo!…

CARLA.                        Lascia ch'io parli con Ignazio! Vedrai ch'io farò in modo che sarai contento.

CARLO.                        Io sarei contento, se tu non parlassi piú affatto col signor Lonelli.

CARLA.                        A questo non pensare…

CARLO.                        Eh, tu lo sai, che fra pochi mesi, diventando maggiorenne, ti potrai togliere a questa mia insopportabile tirannia…

CARLA.                        Vedrai che Ignazio non è cattivo quanto a te sembra.

CARLO.                        Vedremo. E tu vuoi indurlo a rinunciare a parte della dote per sei mesi?

CARLA.                        Sí, e credo basti una mia sola parola.

CARLO.                        Allora, vedremo. (Via. Poco dopo entra Ignazio.)

 

SCENA DODICESIMA

IGNAZIO e DETTA

 

IGNAZIO.                      Sai, che per quanto non sembri, tuo fratello è un buon diavolo? Mi manda di qua. Io vengo a malincuore credendo di trovare il notaio, ed invece trovo il mio bocconcino. (Le prende le mani e la fa sedere.)

CARLA.                        Mio fratello è molto adirato con te.

IGNAZIO.                      Oh, via! Non parliamo noi due di affari d'interesse! Non ci mancherebbe altro! È già molto che lo sposo vi sia costretto.

CARLA.                        Tu non mi vuoi tanto bene quanto dici. (Egli la bacia.) No, perché se me ne volessi tanto lascieresti correre e non ti ostineresti tanto su di una questione d'interesse.

IGNAZIO.                      Ah, carissima la mia sposina! Grandiosi possono essere quelli che hanno il padre che li costringa, poveretti, a tutelare il loro interesse. Ma io, anzi noi due, perché non è solo per me che parlo, dobbiamo vederci dentro da noi. Non possiamo assumere l'aria di eroi da romanzo, che a voi ragazze piace tanto. Non vi è nessuno che pensi per noi al futuro. Mio zio per non essere seccato non vede l'ora di firmare il contratto.

CARLA.                        Ma a me non importa nulla!

IGNAZIO.                      Vedi, dunque, che sono il solo che ancora si occupi di queste bazzecole. Adesso non te ne importa; ma vorrei vedere il tuo viso nel giorno in cui a casa non ci fosse da mangiare!

CARLA                         (offesa). Oh, ma come parli! Io non ti riconosco piú. Qui non c'è nessuno che ti voglia derubare! Mio fratello per pagare la dote vuole una dilazione di sei mesi. Mi pare che gliela puoi accordare.

IGNAZIO.                      Se avessi a rimanere celibe, per far piacere ad un cognato, gli abbandonerei, non diecimila, ma il doppio, per sempre… Ma adesso si tratta di te, si tratta di una famiglia a cui ho da pensare.

CARLA.                        Temi che Carlo non te li restituisca?

IGNAZIO.                      Questo precisamente no. Ma bisogna che tu consideri che, se tuo fratello, una delle prime ditte della città, si trova in difficoltà per sborsare diecimila franchi, a me, piccolo mercantuzzo è impossibile sborsare quella somma.

CARLA.                        E come facevi prima?

IGNAZIO.                      M'ingegnavo come potevo, ma avevo sempre sul capo la spada di Damocle. Allora potevo arrischiarmi di starci sotto, ma ora una disgrazia sarebbe la morte, perché prima di veder te in miseria mi ucciderei.

CARLA.                        Ti uccideresti per me?

IGNAZIO                      (abbracciandola). Che domanda!

 

SCENA TREDICESIMA

CARLO e DETTI

 

CARLO.                        Di là sono meravigliati della vostra lunga assenza. Avete finito?

IGNAZIO.                      Mi pare di sí. Io vado intanto a tranquillizzare le signore. (Via.)

CARLA.                        Pare che gli occorra, proprio, quella somma. Mi disse che non può farne a meno.

CARLO.                        Cosí tu trovi ch'egli ha ragione, ed io torto. Capisco.

CARLA.                        Dice che ad una delle prime ditte della città sarebbe facile trovare un tale importo.

CARLO.                        Vi sposerete il giorno preciso in cui tu sarai maggiorenne. Giacché debbo sborsarli, questi denari, non preoccuparti, se mi riuscirà facile o difficile di trovarli. A te importa di avere la tua dote in tempo utile. Ora guarda di là se il pranzo è pronto e finiamola. (Carlo via.)

 

SCENA QUATTORDICESIMA

ELENA e DETTO. Poi FORTUNATA

 

ELENA.                        Dov'è Carla, per piacere?

CARLO.                        In cucina, credo.

ELENA.                        La saluti per me. Devo andare giú, perché è tardi. Come le piace lo sposo? Che fortuna per Carla! Le mie sincere congratulazioni! (A Fortunata che entra.) Buon giorno, signora! (Via.)

FORTUNATA.                Hai parlato per quell'affare, nevvero?

CARLO.                        Sí, e inutilmente. Da qui a due mesi dovrò pagare tutto l'importo.

FORTUNATA.                E non hai il diritto di pagarla quando vuoi?

CARLO.                        Te ne prego, non dire sciocchezze, ché non sono in grado di stare a sentirle.

FORTUNATA.                Che so io! Tu di solito tanto agitato anche per pagamenti minori, eri cosí tranquillo!

CARLO.                        Non pensavo di trovare opposizione al mio piano. Ma se avessi avuto diritto di non pagare non avrei chiesto, certamente, permesso a loro.

 

SCENA QUINDICESIMA

IGNAZIO, CARLA, MARCO, OTTAVIO e CATINA

 

CARLA.                        Il signore vuole andarsene.

FORTUNATA.                Catina, il cappello del signore.

CATINA.                       Non è di là.

FORTUNATA.                Dove ha messo il cappello? (Gridando rozzamente.) La prego di dirmi dove ha messo il suo cappello!…

MARCO.                       Qui, qui, scusi. Io li saluto, signori.

IGNAZIO.                      Non dimentichi di venire alle tre. (Marco s'inchina.) Hi, hi! Non avrà udito.

CARLO                        (sforzandosi di apparire allegro). E andiamo a pranzo… (Con sommo sforzo)… straordinario.

IGNAZIO.                      Oh, bravo! Quantunque di magro, procurerò di far onore alla cucina ch'è certo buona. (Offrendo il braccio a Fortunata.) Signora!

FORTUNATA.                Mi scusi! Ho da dare prima alcune disposizioni.

IGNAZIO.                      Mio bocc… Signorina! (Carla ed Ignazio via. Carlo si mette a sedere col volto fra le mani.)

FORTUNATA                 (dolcemente). Carlo che hai?

CARLO.                        Penso quanti dolori mi causerà questo esborso di danaro! Quanti anni di lavoro, quante notti insonni! (Rassegnato.) Dio mi aiuterà!

OTTAVIO.                     Qual Dio? Tu credi in Dio? (Ridendo.) Mostramelo!

CARLO.                        Se ancora una volta ti sento parlare cosí ti do uno schiaffo! (Glielo dà. Ottavio rimane dapprima stupito, poi si mette a piangere.) Un ragazzo di dieci anni! Non farti piú sentire a dir queste eresie o vedrai cosa ti tocca! (Vuol di nuovo colpirlo, ma Fortunata si frammette.)

FORTUNATA.                Ma via! Basta! Le ha sentite tante volte da te queste eresie!

 

 

CALA LA TELA

 

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