Il ladro in casa

di Italo Svevo

 

II ATTO

 

SCENA PRIMA

CARLA (vestita per uscire) ed EMILIA

 

CARLA                         (gridando fuori della porta). Emilia! Emilia!… Emilia…

EMILIA.                        La mi chiama lei, signora?

CARLA.                        Mi pare! Già da mezz'ora! Cosa faceva di là?

EMILIA.                        Nulla! Se non c'era nulla da fare!

CARLA.                        Ragione di piú per venire subito alla mia prima chiamata!

EMILIA.                        Mi ero un po' addormentata.

CARLA.                        E per le sette e mezzo dev'esser pronta la cena! Qui non vedo pronto nulla!

EMILIA.                        Non mi aveva ordinato nulla però.

CARLA.                        Ma non ceniamo ogni sera a quest'ora!

EMILIA.                        Non c'era nessuno a casa ed io pensavo che avessero a cenare fuori.

CARLA.                        Ah, sciocca! Quando non dico nulla, vuol dire che facciamo come ogni sera! (Si leva con impeto mantello e cappello.) Ora, invece di star qui a guardarmi imbecillita, si affretti!

EMILIA                        (con flemma). Eh, non c'è tanta furia!

CARLA.                        Allora preparerò io questa tavola. Mi dia la tovaglia!

EMILIA.                        Se vuole l'aiuto… (Sempre calma.)

CARLA.                        Ah, vuole aiutarmi! Sgualdrina! Crede che tenga la serva in casa per servirla io! (Arrabbiata.) Prepari subito la tavola o la licenzio immediatamente! Badi che gliel'ho già detto otto giorni fa.

EMILIA.                        Io non sono una sgualdrina e Lei non ha il diritto d'insultarmi! Io non L'ho pregata di tenermi! È stata Lei che mi ha pregata di restare!

CARLA.                        Io l'ho pregata di rimanere?! Io? Io!

EMILIA.                        Precisamente. Là in cucina. Io stavo facendo il fuoco di mattina alle sei… Lei si è alzata e non ancora vestita è venuta a dirmi: Vuol rimanere, Emilia? Si ricorda?

CARLA                         (affettando per un poco la calma). Sí, me ne ricordo. E adesso Le dico di ricordarselo anche lei per bene! Fra quindici giorni è libera. Si cerchi un'altra casa, perché questa non fa per lei finché ci sono io!…

EMILIA.                        Va bene.

CARLA                         (scoppiando). Oh, andrà via! La vedremo se questa volta verrò io a pregarla di rimanere!…

EMILIA                        (sorridendo). La vedremo!

CARLA                         (gridando e piangendo). S'è impertinente la scaccio all'istante! (Si sente suonare il campanello e Carla cerca di ricomporsi.) Vada ad aprire la porta, adesso! (Emilia via.)

 

SCENA SECONDA

EMILIA, CARLA, ELENA

 

ELENA.                        Cosa ti è accaduto che ti si sente gridar fin sulle scale?

CARLA                         (si asciuga le lagrime). Nulla, nulla. Accomodati! (Emilia accenna ad Elena che Carla è pazza, Carla se ne accorge.) Ah, pazza io?! Fuori subito da questa casa! Questa sera ancora! Metti insieme i tuoi quattro cenci e vattene! (Gridando ancor piú.) Che non ti veda piú! Capito?

EMILIA.                        Oh, questa la vedremo! (Via.)

Carla cade singhiozzando sul divano nascondendosi gli occhi col fazzoletto.

ELENA.                        Carla! Carla! Ma via, Carla, non ti riconosco piú! Per una disputa con la domestica agitarsi tanto!

CARLA                         (singhiozzando) Ah, tu non sai! Non sai!

ELENA.                        Cosa non so?

CARLA                         (rimettendosi). È passata. Mettiti in libertà. (Reprimendo un singhiozzo.) Qual buon vento?

ELENA.                        Niente di nuovo. Sono passata per di qua per andare a casa. Ero dalla mamma e dovrò andarmene subito, perché Emilio mi attende a cena. Dimmi veramente cosa ti faceva pianger cosí! Era proprio l'Emilia?

CARLA                         (singhiozza).

ELENA                        (ridendo schiettamente). Ha, ha! Davvero che mi fai ridere!

CARLA.                        Non sai perché è tanto impertinente?

ELENA.                        Perché?

CARLA.                        Perché… lui…

ELENA.                        Basta! Ho capito! (Dopo una pausa.) Questi mariti!

CARLA.                        Due o tre volte l'ho veduto scherzare con lei. Io non ci davo molta importanza, ma otto giorni fa volevo licenziarla ed egli si è opposto.

ELENA.                        Cosa ti ha detto?

CARLA.                        Che sono una sciocca! Che a cambiare non si può che perdere… E tante altre cose di cui nessuna era la vera ragione per la quale egli voleva che rimanesse…

ELENA.                        E come sai tu che ciò che diceva non era la vera ragione… ecc…

CARLA.                        Lo so, benissimo. Di solito quando egli dice una cosa per me è vangelo e non ribatto. Lunedí non so perché ebbi con Emilia un'altra disputa e finii coi licenziarla. Martedí Carlo tanto fece finché dovetti io pregarla di rimanere. Capirai che gli uomini in queste cose non usano immischiarsi e se lo fanno, vuol dire che ne hanno il motivo.

ELENA.                        Eh, capisco! Fai bene, benissimo a mandarla via, ma fai malissimo ad agitarti che proprio non ne vale la pena.

CARLA.                        Non ne vale la pena! Per te che non ami tuo marito è tutt'altra cosa!

ELENA.                        Tu fai bene ad amarlo, quantunque… Via, questo non c'entra! Dico soltanto che fai male ad adirarti, perché basta mandarla via e la faccenda è terminata.

CARLA                         (agitandosi daccapo). E sarà presto terminata! Te l'assicuro! Se si opponesse non so cosa farei! Fuori di casa lei o fuori io!

ELENA.                        Vedrai che Carlo non si opporrà. Tuo marito non è ostinato. Può avere tutte le cattive qualità, ma ostinato non è. Il mio, vedi, se si mette qualche cosa in testa non si lascia piú convincere!

CARLA.                        Non occorre che tu lo convinca. È sempre ragionevole, lui! Non vuole che il tuo bene, la pace in famiglia…

ELENA.                        E non la voglio forse anch'io questa pace?

CARLA.                        Sí, ma diversa da quella ch'egli desidera. Egli ama la quiete. Fosse anche questo il desiderio di Carlo!

ELENA.                        Non augurartelo che commetti un peccato! Sapessi quanto ho sofferto da che mi sono sposata! Quell'uomo lí ha commesso un delitto sposandosi! Non ama che i suoi libri! Ed ha legato l'esistenza ad una giovinetta! Avrebbe dovuto sposare una vecchia che avesse i miei centomila franchi di dote e gli tenesse in ordine la casa!

CARLA.                        Ma Elena!

ELENA.                        Oh, lo so da molto tempo che non mi ha sposata che per la dote!

CARLA.                        Conosco tanto bene Emilio da poterlo giudicare in modo molto diverso.

ELENA.                        Ah, già tu lo conosci! Tutti lo conoscono! Uno scienziato che si degnò di sposare una ignorante… Scrive libroni grossi cosí… che nessuno legge, perché nessuno legge i suoi libri, o almeno chi li legge non li paga. Si lagna tante volte che dopo tanti studi non ha in premio che lodi. Tutti lodano e nessuno legge. Quando lo sposai, te lo confido, era in cattivissime condizioni finanziarie…

CARLA.                        Ma perché lo sposasti? Non lo ami?

ELENA.                        Era un bell'uomo quella volta. Aveva ancora tutti i suoi capelli, un occhio meno smorto e talvolta pareva spiritoso. Tutti intorno a me lo colmavano di elogi ed io perdetti la testa. Ma adesso sapessi! No. Prima promettimi che non ne farai parola ad alcuno!

CARLA.                        Di che?

ELENA.                        Ora non ero mica da mia madre. Ero da un avvocato!

CARLA.                        Perché?

ELENA.                        Io non vivo piú con quell'uomo! Assolutamente!

 

SCENA TERZA

EMILIA e DETTE, Poi MARCO

 

EMILIA.                        C'è il signor Marco. (Marco entra subito. Ha una tromba all'orecchio e gli occhiali.)

MARCO.                       Buona sera. Ignazio non è ancora venuto?

CARLA.                        No, zio, non ancora.

ELENA                        (alzandosi). Con permesso.

MARCO.                       Sono io che la faccio scappare?

ELENA.                        Diceva appunto a Carla che debbo andarmene. Vede che non ho nemmeno tolto il cappello. Buona sera. (Gli dà la mano.) Addio, Carla! Vedrai che sarai contenta domani.

SCENA QUARTA

IGNAZIO e DETTI

 

IGNAZIO                      (s'imbatte in Elena, le stringe la mano e gliela tiene durante tutta la scena). Ah, la signora Elena! In partenza?

ELENA.                        Sí, e ne sono dispiacentissima.

IGNAZIO.                      Non glielo credo, se non rimane ancora un poco a farci compagnia. Hi, hi, hi!

ELENA.                        È troppo tardi. E se anche volessi…

IGNAZIO.                      E se anche volessi vuol dire precisamente: non voglio. Hi, hi, hi! Sono appena le sette e mezzo. Rimanga a cena! Ci sarà poco, probabilmente, ma di buon cuore, gliel'assicuro. Non è vero, Carla?

CARLA                         (forzatamente). Oh, certamente. L'avrei invitata di già, se non mi avesse detto subito che deve andarsene assolutamente.

ELENA.                        Ha inteso? Assolutamente debbo andarmene!

IGNAZIO.                      In ogni caso non permetterò che lei vada sola per la strada a quest'ora. Mi permetterò di accompagnarla.

ELENA.                        Ma non si disturbi! È tanto vicino!

IGNAZIO.                      Mi offendo, se rifiuta. (Le offre il braccio.)

ELENA                        (prima di accettare). Carla, permetti?

CARLA.                        Oh, fate pure!

IGNAZIO.                      Ritorno immediatamente, zio!

ELENA.                        Buona sera. (Via. Un momento di pausa. Carla e Marco riflettono, sorpresi.)

MARCO.                       E mi manda a chiamare! Sai tu cosa voleva dirmi?

CARLA.                        Io no.

MARCO.                       Guarda! (Le mostra un biglietto.) “La prego, signor zio di favorirmi alle sette e mezzo in casa mia. Voglia essere esatto, perché ho da parlarle di cosa della massima importanza.” Che il diavolo se lo porti! Io sono puntuale, mentr'egli viene, mi vede e se ne va a fare il cascamorto a quella…

CARLA.                        Crede sul serio che le faccia il cascamorto?

MARCO.                       Io non so nulla, ma tanto peggio per lui, se non ha nemmeno quella scusa per lasciarmi qua in asso.

CARLA                         (va alla finestra). Eccoli! (In collera, tornando indietro.) Sono là, fermi sul portone di Elena.

MARCO                        (guardandola curiosamente). Sei gelosa, Carla?

CARLA.                        Io gelosa? (Dopo una piccola pausa.) Sarebbe ridicolo da parte mia di essere gelosa della mia migliore amica! È dessa che ha fatto il mio matrimonio. Invitava lui e me in pari tempo in casa sua. E spesso usciva con qualche pretesto e ci lasciava soli. È stata proprio lei che l'ha voluto, dunque… (Ritorna alla finestra.)

MARCO.                       Dunque vuol dire che adesso parleranno di te. Non c'è nulla di male!

CARLA.                        Ah, la prego, se vuol scherzare, lo faccia almeno con un po' piú di decenza!

MARCO.                       Ma dovendo andar via a me preme soltanto che ritorni Ignazio.

CARLA                         (sempre alla finestra). Adesso ritorna con passo frettoloso. (Dopo un po' si ritira dalla finestra.) Eccolo! (Lunga pausa.)

 

SCENA QUINTA

Entra IGNAZIO

 

CARLA                         (a bruciapelo, ma calma). Ignazio, sai, ho licenziato Emilia.

IGNAZIO                      (sorpreso il primo momento). Ebbene… che c'entro io?

CARLA.                        Volevo avvisartene, ecco. Credevo…

IGNAZIO.                      Che cosa?

CARLA.                        Oh, nulla, nulla. Cosí… la posso mandar via subito?

IGNAZIO                      (abbracciandola). Che tipo ah, zio, la mogliettina mia! Tu sei signora e regina qui.

CARLA                         (commossa). Allora, scusami Ignazio.

IGNAZIO                      (accarezzandola). Di che?

CARLA.                        Non te lo dico per non farti entrare la malizia in corpo…

MARCO.                       Guarda! Pare quasi non sia stato scritto da lui! O non rammenti di avermi mandato a chiamare per un affare importante?

IGNAZIO.                      Ah, bravo! Sul serio che me n'era quasi dimenticato.

MARCO.                       Ed io ad attenderti qui!

CARLA.                        Volete che vi lasci soli?

IGNAZIO.                      Ohibò! Sono, anzi, cose che interessano anche te.

MARCO.                       E adesso spicciati chi io devo andarmene.

IGNAZIO.                      È presto detto. Zio mio, è la prima volta che la disturbo. Ma a me occorrono assolutamente per domani diecimila franchi. (Marco si leva la tromba e Carla dà in un'esclamazione di sorpresa.) Perché non risponde? (Si accorge che Marco si è levata la tromba e dà in uno scoppio di risa.) Questa trovata è bellissima. Guarda, guarda, Carla. (Carla ride forzatamente.) Via, zio, l'aiuterò a rimettere a posto la tromba… (Lo forza gentilmente a mettersi a posto la tromba.) Come le dicevo a me occorrono diecimila franchi.

MARCO.                       Spero che tu scherzi, eh?

IGNAZIO.                      Purtroppo no! domani una mia accettazione viene protestata.

CARLA.                        E se viene protestata cosa accade?

IGNAZIO.                      Vengo dichiarato fallito.

CARLA.                        Dio mio! Dio mio! Me lo immaginava che cosí non avremmo potuto andare avanti!

MARCO.                       Come cosí? Cosa avete fatto?

IGNAZIO.                      Cosa possiamo aver fatto? Sciocca, non sai quello che dici, tu!

MARCO.                       Se non avete fatto niente voi, ancor meno io. Non so perché dovrei io venir multato. Non hai parenti piú stretti a cui rivolgerti?

IGNAZIO.                      Dunque lei questi diecimila franchi non me li vuol dare?

MARCO.                       Non voglio! Non voglio! Non posso. Dove avrei a pescare per domani diecimila franchi?

IGNAZIO.                      Se sono sicuro di averli posso attendere fino a dopodomani.

MARCO.                       Non attender, perché sarebbe inutile.

IGNAZIO.                      Dunque allora dovrò fallire?

MARCO.                       Se non trovi altro rimedio bisognerà fallire. Come sei capitato in questo imbroglio? Un mese fa ti vantavi che le tue condizioni non erano mai state tanto floride. Io l'ho sempre detto che era mal fatto consegnare a te l'eredità di tuo padre.

IGNAZIO.                      Aveva torto, zio. Io promisi di averne cura.

MARCO.                       Ora si vede quanta cura ne hai avuta!

IGNAZIO.                      Oh, via! Sono stato sfortunato! Sono cose che possono capitare a chiunque. Anche a lei.

MARCO.                       A me no, assolutamente. Se avessero lasciato i danari a me, io li avrei amministrati in modo che a quest'ora sarebbero ancora tuoi.

IGNAZIO.                      E finora di che cosa avrei vissuto?

MARCO.                       Del tuo lavoro.

IGNAZIO.                      Manuale? non so cosa avrei potuto fare senza capitali…

MARCO.                       Allora eri celibe. Io non ero d'accordo che ti sposassi. (A Carla.) Non dico mica per te. In massima egli non aveva carattere di prender moglie.

IGNAZIO.                      Tutto questo non entra per nulla in quanto abbiamo a trattare. Zio, a me occorrono diecimila franchi. Me li può dare?

MARCO                        (fissandolo ironico). E quando me lo potrai restituire questo denaro?

IGNAZIO.                      Le darò accettazioni ad un anno data.

MARCO.                       E queste accettazioni quando le pagherai?

IGNAZIO.                      Oh, bella! In scadenza, a meno che non sia giorno festivo.

MARCO.                       Davvero? E con quali danari?

IGNAZIO.                      Fino a quel tempo le mie condizioni saranno mutate. Ho degli affari per le mani e se mi fruttano…

MARCO                        (ironico). Hai tentato un terno al lotto?

IGNAZIO.                      Ma zio!

MARCO.                       Zio finché vuoi, ma bisognerà che cerchi questi danari altrove, perché non te li do.

IGNAZIO.                      A meno che non volesse regalarmeli non posso darle torto.

MARCO.                       Oh, bravo!

IGNAZIO.                      E non me li regala?

MARCO.                       Ah!

IGNAZIO.                      Ma non sarò io il suo erede universale?

MARCO.                       Chissà!

IGNAZIO                      (ridendo a Carla). Pare che invece dei diecimila franchi voglia regalarmi un cugino.

MARCO.                       Dunque hai deciso di fallire?

IGNAZIO.                      Farò di necessità virtú! Hi, hi!

CARLA.                        Oh, come puoi ridere, come puoi ridere parlando di fallire?

IGNAZIO.                      Penso al muso che farà quell'usuraio di Nerini quando gli dirò che legalmente non pagherò né capitale né interessi.

CARLA.                        Dio! Dio mio che vergogna!

MARCO.                       E hai fatto le cose in ordine?

IGNAZIO.                      Non troppo. Avrei potuto portare anche la bottega a nome di Carla.

MARCO.                       Vi è molto valore?

IGNAZIO.                      Cinquemila franchi, circa; metà in oggetti di valore, metà in biglietti del monte di pietà.

MARCO.                       Era un bel tradimento il tuo! Chiedermi diecimila franchi! Sarebbe stato come gettare una goccia ove occorreva un mare.

CARLA.                        Ma non mettono in prigione per fallimento?

IGNAZIO.                      Ah, che!… Zio, vuol rimanere a cena con noi?

MARCO.                       No, grazie. C’è Lena che mi aspetta. Addio. (Gli stringe la mano.)

IGNAZIO.                      Emilia! Un lume! Gli faccia chiaro! Buona notte!… Zio, ancora una parola! Dopo il fallimento… mi raccomando!

MARCO.                       Cercherò di procurarti un impiego.

IGNAZIO.                      Non è per me che parlo. Per Carla.

CARLA.                        A me non occorre nulla.

MARCO.                       La senti? Buona notte! (Poi ritorna. Emilia rimane fuori della porta.) E non ci sarebbe nessuno che potrebbe prestarteli questi denari?

IGNAZIO.                      Se mi sono rivolto a lei (ridendo) vuol dire che non c'era proprio piú nessuno.

MARCO.                       E tuo cognato?

IGNAZIO.                      Crede che gli avanzino diecimila franchi da regalarmi?

MARCO.                       Chissà! Ho inteso dire che quest'anno ha fatto ottimi affari… Insomma fa tu, perché è cosa che concerne piú te che me. Ma prova! Mi dispiace che tu abbia a fallire!

IGNAZIO.                      Troppo buono, zio! Guardi di non rovinarsi la salute per la troppa commozione…

MARCO                        (ridendo). Matto! (Via.)

IGNAZIO                      (ritorna ridendo). E adesso a cena!

CARLA                         (rasserenandosi per un istante). Non era dunque vero? Hai detto di essere in procinto di fallire soltanto perché avevi bisogno dei diecimila franchi?

IGNAZIO.                      No, carissima. Questa volta è proprio necessario fallire. Ma sta allegra. Vedi pure come io me la prendo. Figurati che metà dei commercianti, fra i piú ricchi, hanno fallito almeno una volta.

CARLA.                        Carlo non ha fallito mai.

IGNAZIO.                      Carlo non è nemmeno fra i piú ricchi. Mi pare che tu sii malcontenta.

CARLA.                        Oh, io! Già io non c'entro.

IGNAZIO                      (abbracciandola). Si sa tu non centri. Manda via l'Emilia.

CARLA.                        Chi ci pensa piú… E dove andremo dopo?

IGNAZIO.                      Dove? Resteremo qui. La casa è a tuo nome. Ho sempre pagato il fitto a tuo nome. Dopo scriverò anche la bottega a tuo nome. Pensa che tu figurerai quale ditta di piazza.

CARLA                         (già piú contenta). Se vuoi verrò giú a lavorare, a registrare, a scrivere.

IGNAZIO.                      Questo non occorrerà. Le donne devono rimanere a casa.

CARLA.                        Oh, Ignazio! Siccome purtroppo non ho da aver figliuoli, sarebbe realizzato un mio sogno, se potessi occupare tante ore che mi rimangono.

IGNAZIO.                      Se lo desideri tanto, proverai. Scommetto però che dopo uno o due mesi ne sarai annoiata.

CARLA.                        Oh. no. Io sento proprio desiderio di occuparmi in qualche cosa. È anzi la mancanza di occupazione che mi annoia.

EMILIA                        (rientrando). Sono qui i signori Almiti.

IGNAZIO.                      Dove?

EMILIA.                        Li ho veduti sulle scale.

IGNAZIO.                      Sapevi che avevano da venire?

CARLA.                        No.

IGNAZIO.                      Che noia! Andrei volentieri a letto.

SCENA SESTA

CARLO, FORTUNATA e DETTI. EMILIA passa la scena

 

CARLA.                        Che bella sorpresa! Mi fate proprio un vero piacere!

FORTUNATA.                Siamo passati per di qua e abbiamo vedute illuminate le vostre finestre. Sono io che ho consigliato Carlo di salire.

IGNAZIO.                      Ben fatto! La ringrazio. Ma si accomodi!

CARLO.                        Siamo venuti soltanto per un momento…

FORTUNATA                 (a Carla che le vuol levare il cappello). No, no, non ne vale la pena. Dopo costa mezz'ora di fatica a fare questo nodo.

CARLA.                        Ma che furia!

FORTUNATA.                C'è Ottavio che non va a letto finché non siamo di ritorno.

IGNAZIO                      (vedendo Carlo che sbadiglia). Tu hai sonno già a quest'ora?

CARLO.                        Non sonno. Sbadiglio per male di nervi. Si lavora tutto il santo giorno che non c'è meraviglia se alla sera si è un po' stanchi.

IGNAZIO.                      Ma almeno quando si è lavorato tutto il giorno, alla sera si mette la mano in tasca e… dlin dlin… si sente che è piú pesante.

CARLO.                        Guai se non si avesse almeno questa consolazione.

FORTUNATA.                E voialtri andate tardi a letto?

IGNAZIO.                      Oh, beh! Ceniamo presto e andiamo a letto col boccone in gola, quantunque si sia occupati fino a sera. È una gran schiavitú questa vita. Se tornassi a nascere farei lo spaccalegna, non il negoziante.

CARLO.                        È vero, è una schiavitú questa vita.

IGNAZIO.                      E poi le rabbie che si prendono! Si presenta un affare che renderebbe molto. Occorrono, per esempio, diecimila franchi in contanti e non ci sono.

CARLO.                        Simili affari, però, si presentano raramente.

IGNAZIO.                      E le rare volte che si presentano non si può approfittare.

CARLO.                        A quanto pare tu ne hai qualcuno per le mani.

IGNAZIO.                      Precisamente oggi. Conosci il vecchio Zulino? Quello che fallí l'anno scorso?

CARLO.                        Quel vecchio che fu tanto furbo da farsi trovare con la pistola in mano per far credere che voleva uccidersi?

IGNAZIO.                      Appunto. La settimana scorsa gli morí la moglie e lo lasciò erede di molti gioielli. Non è perfettamente appurato se lei li abbia regalati a lui. Certo è che adesso appartengono legalmente a lui, e ch'egli li vende. Ne potrebbe ricavare ventimila franchi. Da me non ne otterrà piú di quindicimila. Capirai che l'utile non sarebbe piccolo ma… (Dopo una pausa.) A meno che non li abbia tu questi diecimila franchi.

FORTUNATA.                Ah, talvolta gliene mancano per coprire perfino le sue accettazioni.

IGNAZIO.                      Eh, via queste cose si raccontano alle donne acciocché facciano economia.

CARLA.                        Carlo no, ma tu fai alle volte cosí. Se sapeste quale paura mi fece prendere poco fa! Adesso capisco. Era, dunque, per questo che ti occorrevano i diecimila franchi! Tanto meglio! Tanto meglio!

IGNAZIO.                      Eh, sí era appunto perciò che ne avevo bisogno.

CARLO.                        E che cosa ti ha raccontato?

IGNAZIO.                      Nulla. Le cantavo la solita canzone della miseria.

CARLA.                        Figuratevi che raccontava a me e allo zio Marco…

IGNAZIO.                      … che, insomma, gli affari vanno male, e che se non miglioreranno, dovrò ritirarmi dal commercio realizzando il mio avere, e vivere senza lavorare piuttosto che lavorare e perdere. (Carla rimane sorpresa.)

CARLO.                        Io diecimila franchi disponibili per qualche mese… li troverei…

FORTUNATA.                Gli affari si sa come principiano, non come finiscono.

IGNAZIO                      (riscaldandosi un poco). Ma io so come finiscono. Se faccio l’affare, sono certo di avere cinquemila in tasca di piú, già per il valore reale della merce, senza calcolare gli utili della vendita. Insomma sono tanto certo di ciò che mi obbligo con mia firma di pagarti da qui a sei mesi, non soltanto i diecimila franchi, ma anche duemila di utili.

CARLO                        (a Fortunata). Che te ne pare?

FORTUNATA.                Io lascio che tu faccia come vuoi. Io al tuo posto non rischierei… (Carlo riflette.)

IGNAZIO.                      Questo suo consiglio mi offende un poco, ma non posso dir nulla, perché lei ha il diritto di darlo.

FORTUNATA.                Carlo, mi pare che sia ora di andarsene. (Carlo si alza un poco perplesso.)

IGNAZIO.                      Peccato che causa la crisi commerciale che attraversiamo ci sia scarsezza di cassa sulla piazza, altrimenti troverei questo denaro con tutta facilità.

FORTUNATA                 (a Carla). Che ne dici tu?

CARLA.                        Non so, non me ne intendo. (Con voce esitante, procurando di sorridere.)

CARLO.                        Insomma, ascolta. Domani mattina vieni da me che ne riparleremo. Ad ogni modo dovresti firmare la cambiale di cui parlasti.

IGNAZIO.                      Te l'ho offerto io!

CARLO.                        Vorrei vedere la merce.

IGNAZIO.                      Naturalmente.

CARLO.                        Arrivederci.

IGNAZIO.                      Buona notte. (Stringendo la mano a Fortunata.) Sono piú di otto giorni che non vedo Ottavio. Come sta? Mi pare che giorni or sono si è chiuso l'anno scolastico. Avrà riportato un certificato stupendo.

FORTUNATA.                È il primo della classe.

IGNAZIO.                      Beato lui che riesce a studiare il latino! Io ho tentato. Ma… già non è mia colpa. Dipende dalla maggiore o minore svegliatezza d'ingegno. Io ne ho tanta da poter fare… il gioielliere. Gli porti i miei saluti.

FORTUNATA.                Grazie, non mancherò. Addio, Carla. (Le due donne si baciano.) Buona sera, signor Ignazio.

CARLO                        (sempre pensieroso, stringe la mano a Carla che lo guarda con compassione). Addio. (Stringe la mano ad Ignazio.)

IGNAZIO.                      Arrivederci domani!… Emilia! Lume!

 

SCENA SETTIMA

IGNAZIO e CARLA

 

CARLA                         (con voce commossa). Oh, è molto male ciò che tu fai!

IGNAZIO.                      Perché?

CARLA.                        Perché tu sai che non potrai restituire quell'importo.

IGNAZIO.                      Chissà! Come lo puoi sapere?

CARLA.                        Poco fa lo dicevi tu stesso allo zio. Oh, Ignazio! Non prendere quei denari da Carlo!

IGNAZIO.                      Sei pazza?

CARLA.                        Carlo è povero. Non ti rammenti con che fatica riuscí a darti la mia dote?

IGNAZIO.                      Ma adesso pare che gli affari gli vadano meglio.

CARLA.                        Sí, ma la perdita di diecimila franchi lo rovinerebbe.

IGNAZIO.                      Insomma io non posso farne a meno. Del resto è mia intenzione di restituirglieli anche con l'utile promesso. Non hai da temere nulla per il tuo Carlo. E la cena?

CARLA.                        La porterà subito.

IGNAZIO.                      Ti dà molto pensiero questo prestito?

CARLA                         (commossa). Oh, Sí. Molto.

IGNAZIO                      (l'attira sulle ginocchia). Oh, la mia povera Carla! Mi fa piacere. Davvero! Si vede che hai buon cuore. Ascolta, però. Tu sei giovane. Hai illusioni. Io vedo il mondo da un lato un poco piú pratico. Dimmi sinceramente: Sei certa che se avessi detto a Carlo con la solita franchezza: Ho bisogno di diecimila franchi, altrimenti non posso soddisfare ai miei impegni, credi tu che me li avrebbe dati? Allora si sarebbe ricordato che siamo parenti e che se a te vanno male le cose, a me non vanno bene? Ohibò! “Non possumus” avrebbe risposto. Non avrebbe detto cosí?

CARLA.                        Sí, ma…

IGNAZIO.                      Che ma… che ma d'Egitto! Non me li avrebbe dati! Per ottenere diecimila bisognava promettergliene dodicimila. Anima di fango! Non avrebbe arrischiato diecimila per salvare la sorella dalla fame, ma li arrischia per aumentarli.

CARLA                         (sempre commossa). Sí, sí è vero, ma è doloroso…

IGNAZIO.                      Se ci sono affetti veri, disinteressati a questo mondo vi sono fra marito e moglie. Vivono insieme, dividono il pane di farina o di segala, se c'è, e se non c'è non mangiano. Altri parenti all'infuori di me non hai o non dovresti avere. Mi pare che c'è nel codice. Ti rammenti? Il sindaco ci ha letto quei famosi paragrafi.

CARLA.                        Povero Carlo! A me ha fatto molto del bene.

IGNAZIO.                      Ti prometto che se Carlo avesse a trovarsi a mal partito, ed io fossi nel caso di aiutarlo, lo aiuterei. È anche con questo fermo proposito che accetto senza esitazione il suo aiuto. Oggi lui, domani io. E adesso la cena, perché sono sfinito.

CARLA                         (alzandosi). Emilia!

EMILIA                        (piange). La cena è pronta. Posso portare?

IGNAZIO                      (piano a Carla). Guarda, come piange!

CARLA                         (guarda un istante Emilia, poi Ignazio che, indifferente, volge lo sguardo altrove). Allora, puoi rimanere. (Emilia le bacia la mano.)

IGNAZIO.                      Brava Carla! Nella donna la bontà è per il morale quello che la bianchezza della pelle è per il fisico.

 

CALA LA TELA

 

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