I grandi scritti della storia ...

Una sezione dedicata ai testi che hanno significato tanto per Ottavio, conosciuti e non, raccolti in questa pagina per dare la possibilità a tutti di conoscere, riscoprire o rileggere diverse opere di grandi autori. Sono testi ai quali Ottavio è molto legato, li porta nel cuore, con alcuni piange, con altri ride ...

 

Giovanni Pascoli

LAVANDARE

Nel campo mezzo grigio e mezzo nero
resta un aratro senza buoi, che pare
dimenticato, tra il vapor leggero.

E cadenzato alla gora viene
lo sciabordare delle lavandare
con tonfi spessi e lunghe cantilene :

Il vento soffia e nevica la frasca,
e tu non torni ancora al tuo paese
quando partisti, come son rimasta
come l'aratro in mezzo alla maggese.

 

Renato Carosone

Renato Carosone è stato uno dei più grandi cantautori italiani, il "comico della canzone", l'innovatore della canzone italiana, un bravo attore, un abile pittore, un grande maestro, un virtuoso del pianoforte, ma soprattutto è stato un grande poeta e un grande disegnatore di parole. Ha scritto canzoni bellissime, alcune struggenti e drammatica (T'aspetto 'e "nnove - Maruzzella) ed altre invece allegre e ballabili, ma non minori, anzi forse sono queste quelle che più ama il pubblico: il suo pubblico, e tutte le generazioni alle quali ha fatto cantare "Tu vuò fa l'americano", "Torero" e "Pigliate 'na pastiglia". Canzoni storiche, interpretate da artisti di tutto il mondo, si pensi che "Torero" è stata tradotta in 32 lingue! Questa poesia non è l'unico caso di incontro di Renato Carosone con le opere in versi, sua è anche la poesia in napoletano "'O miliardario" (che è stata anche pubblicata in due versioni in due album diversi: "Tributo a Renato" e "Live in Siena 1982" (pubblicazioni postume, editate dalla Lettera A di Sandrino Aquilani). Tra le canzoni incise da Carosone nella sua lunga e fortunata carriera è bene citare anche le famose "Giuvanne 'ca chitarra", "'O sarracino", "'O suspiro", "Baby rock", "'O pellirossa" e "Carlotta".

LETTERA DI UN PIANISTA

Musica, madre mia!
Quando mi mettesti al mondo, 
il mio primo vagito fu un LA
ti ricordi?
Un LA naturale. 
Le altre note me le hai insegnate dopo. 
E le ho imparate con fatica con rabbia; 
camminando a piccoli passi
su quel sentiero irto di difficoltà, 
quel sentiero di ebano e avario. 
Un passo bianco e un passo nero, 
uno bianco e uno nero. 
A tempo; con ritmo preciso, preciso.
E li ho incontrati tutti su quel sentiero, sai?
Pozzoli, Hanon, Clementi,
Czerny, Chopin, Bach,
Beethoven, Liszt. 
Madre mia, ti degnano appena appena di uno sguardo. 
Che severità. 
Più alla mano gli altri.
Oggi questo sentiero è splendido, luminoso.
Ci passeggio, 
ci respiro, 
ci canto, 
ci suono, 
e lo percorro su e giù con sicurezza, 
con gioia immensa. 
E non guardo più nemmeno dove metto il piede, 
tanto lo conosco.
Si, ora lo conosco, è mio! 
Ma che fatica madre mia, 
sorella mia, 
amante mia.
Tu sei la lingua più bella del mondo, 
la lingua che non si parla, 
eppure comprensibile a tutti,
proprio tutti.
E’ la lingua che parlano gli angeli in Paradiso, 
perciò ti amo.
E ti prego: 
quando sarà giunto il momento, 
di a quella signora di non cercarmi. 
L’appuntamento è lì, 
su quel sentiero bianco e nero di ebano e avorio. 
Io sarò li puntuale e sereno. 
E ritornerò nel tuo grembo così come sono venuto.
Te ne accorgerai, 
perché sentirai la mia ultima nota, 
uguale e identica alla prima che mi insegnasti, 
ti ricordi? 
Era un “LA”, un “LA” naturale!

 

 

Salvatore Di Giacomo

I napoletani lo hanno nominato "il sommo poeta", è stato citato da Totò in una sua famosa poesia, alcune sue opere fanno parte dell'antologia persona (discografica) di Vittorio Gassman, sua la celeberrima "Marechiaro"... un grande artista: Salvatore Di Giacomo.

PIANEFFORTE 'E NOTTE

Nu pianefforte ‘e notte
Sona lontanamente
E ‘a musica se sente
Pe ll’aria suspirà.

E’ ll’una: dorme ‘o vico
Ncopp’a sta nonna nonna
‘e nu mutivo antico
‘e tanto tempo fa.

Dio, quanta stelle cielo!
Che luna! E c’aria doce!
Quanto na bella voce
Vurria sentì cantà!

Ma solitario e lento
More ‘o mutivo antico;
se fa cchiù cupo o vico
dint’a all’oscurità.

Ll’anema mia surtanto
rummane a sta funesta.
Aspetta ancora. E resta,
ncantannose, a penzà.

 

Eduardo De Filippo

'O "RRAU'

'O "rraù ca me piace a me
m'o "ffaceva sulo mammà,
a che m'aggia spusato a te,
ne parlammo me ne parlà.
Io nun songo difficultuso :
ma levammele a miezo st'uso.

Si va "bbuono, comme vuò tu.
Mo c'avessema appiccecà ?
Tu che dice, chisto è "rraù
e io m'o "mmangio pe m'o mangià,
m'a faje dicere 'na parola ?
Chesta è carne c'a pummarola.

 

Antonio De Curtis

Totò, o meglio Antonio Vincenzo Stefano Clemente (così fu battezzato, prese il cognome dalla madre Anna, perchè i genitori non erano uniti in matrimonio), nacque a Napoli il 15 febbraio 1898, in una casetta al primo piano del numero 109 di Via Santa Maria Antesecula, nel Rione Sanità (Quartiere Stella). E' stato, ed è il più grande comico italiano, e con Chaplin, Buster Keaton, Stan Laurel e Oliver Hardy uno ei più grandi comici del mondo. La sua arte è stata apprezzata, anche se purtroppo dopo la sua scomparsa, in tutto il mondo, in particolare negli Stati Uniti, dove al Grande Attore sono dedicate rassegne di film, mostre itineranti e saggi.

Il cinema lo ha reso immortale, Totò ha girato per il grande schermo 97 film. La sua carriera cinematografica  cominciarebbe nel 1932, infatti Totò gira un provino per il film "Il ladro disgraziato", che poi non fu realizzato, comunque il documento viene inserito nel Cinegiornale Cines n.4. Ma cinque anni dopo, nel 1937, Totò è protagonista di un film diretto da Gero Zambuto "Fermo con le mani". Nella sua carriera è stato diretto da tantissimi registi di fama mondiale come Mario Monicelli, Vittorio De Sica, Alberto Lattuada, Roberto Rossellini e Pier Paolo Pasolini (con il quale gira anche l'episodio "Cosa sono le nuvole", che segna la sua ultima apparizione cinematografica). Ha sfornato capolavori e film di cassetta. Alcuni dei suoi film più godibili Totò li interpreta con Peppino De Filippo, Nino Taranto e Aldo Fabrizi, altri grandi del nostro spettacolo. Con Peppino ad esempio, Totò gira film indimenticabili come "Totò, Peppino e la malafemmena" (chi non ricorda l'arrivo a Milano? la dettatura della lettera? il noi volevan savoir?).

Totò per il cinema è stato anche doppiatore (La vergine di Tripoli), è stato anche protagonista in televisione di una serie di telefilm dal titolo "TuttoTotò" e memorabili sono i suoi duetti con Mario Riva (Il musichiere) e Mina (Studio Uno), è stato eroe dei fumetti. Totò è stato anche cantante, anche se di dischi incisi come cantante ne ha realizzati solo due, uno nel 1940 con "La quadriglia di famiglia" e "La mazurka dei vent'anni" (scritta dallo stesso Totò) e nel 1942 ha inciso due canzoni che lui cantava nei suoi grandi spettacoli teatrali, che sono "Marcello il bello" e "Nel paese dei balocchi", incisa con la "spalla" di sempre, con il suo grande amico Mario Castellani. Altre canzoni Totò le canta in diversi film.

Totò è stato anche un grande poeta. La sua più famosa è senza alcun dubbio "'A livella", ma tantissime sono le opere in versi che ci ha lasciato Totò, come anche tante sono le canzoni da lui composte. A lato, abbiamo proposto oltre che "'A livella", anche altre due poesia: "'A passiona mia erano 'e "rrose" (che diversi anni dopo la sua scomparsa, è divenuta una canzone interpretata tra gli altri da Mario Merola) e "Ammore perduto". Totò ha anche inciso le sue poesie per un famoso 33 giri, editato diversi anni dopo la sua scomparsa in diversi supporti (musicassetta, compat disc). Tra le altre poesie di Totò che devono essere ricordate troviamo "Si io fossi n'auciello", "Sarchiapone e Luduvico" (un grande insegnamento), "Ricunuscenza" (una amara, amarissima riflessione), "Chi è l'ommo", "Statuette", "A Franca", dedicata a Franca Faldini. Anche di canzoni Totò ne ha scritte tantissime, la più nota e la più interpretata è "Malafemmena", che fu lanciata nel 1951 da Giacomo Rondinella, uno dei cantanti preferiti da Totò.

Totò morì a Roma il 15 aprile 1967. 

'A PASSIONA MIA ERANO 'E "RROSE

'A passiona mia erano 'e "rrose,
'stu sciore m'era amico,
'stu sciore me diceva tanti "ccose,
ma nun m'ha ditto maje
"cca "mmiezze a tanta sciure,
ce steve n'ato bello comme a isso,
forse 'pe gelusia,
pensanno ca vedennete
io me scurdavo a isso
e m'annamuravo 'e te . 
E comme infatti accussì è state,
appena t'aggia visto me sono annammurato,
e mò 'pe tutta 'a vita
'nfelato dint'a l'occhiello d'a giacchetta
porte sempre 'cu "mme 'na margherita.

**************************

'A LIVELLA

Ogn'anno, il due novembre, c'è l'usanza
per i defunti andare al Cimitero.
Ognuno "ll'adda fà chesta crianza;
ognuno adda tenè chistu penziero.

Ogn'anno, puntualmente, in questo giorno,
di questa triste e mesta ricorrenza,
anch'io ci vado, e con dei fiori adorno
il loculo marmoreo 'e Zi Vicenza.

St'anno m'è capitata 'n'avventura ...
dopo di aver compiuto il triste omaggio
(Madonna), si ce penzo, che paura !
ma pò facette un'anema e curaggio.

'O fatto è chisto, statemi a sentire:
s'avvicinava "ll'ora d"a chiusura:
io, tomo tomo, stavo per uscire
buttando un occhio a qualche sepoltura.

<<QUI DORME IN PACE IL NOBILE MARCHESE
SIGNORE DI ROVIGO E DI BELLUNO
ARDIMENTOSO EROE DI MILLE IMPRESE
MORTO L'11 MAGGIO DEL '31>>

'O stemma cu 'a curona 'ncoppa a tutto ...
... sotto 'na croce fatta 'e lampadine;
tre mazze 'e rose 'cu 'na lista 'e lutto :
cannele, cannelotte e sei lumine.

Proprio azzeccata 'a tomba 'e 'stu signore
'nce steve n'ata tomba piccerella,
abbandunata, senza manco un fiore;
pe' segno, sulamente 'na crucella.

E 'ncoppo 'a croce appena se liggeva :
<<ESPOSITO GENNARO NETTURBINO>>
Guardannola, che "ppena me faceva
stu muorto senza manco 'nu lumino !

Questa è la vita ! 'Ncapo a me penzavo ...
chi ha avuto tanto e chi nun ave niente !
'Stu povero maronna s'aspettava
ca pure all'atu munno era pezzente ?

Mentre fantasticavo 'stu penziero,
s'era "ggià fatta quase mezzanotte,
e iì rummanette 'nchiuso priggiuniero,
muorto 'e paura ... "nnanzo 'e cannelotte.

Tutto a 'nu tratto, che veco 'a luntano ?
"Ddoje ombre avvicinarse 'a parta mia ...
pensaje : stu fatto a me me pare strano ...
Stongo scetato ... dormo, o è fantasia ?

Ate che fantasia, era 'o Marchese:
c"o tubbo, 'a caramella e c"o pastrano;
chill'ato appriesso a isso un brutto arnese : 
tutto fetente e cu 'na scopa "mmano.

E chillo certamente è don Gennaro ...
'o muorto puveriello ... 'o scupatore.
'Int'a 'stu fatto i' nun ce veco chiaro :
sò muorte e se ritireno a chest'ora ?

Putevano stà 'a me quase 'nu palmo,
quando 'o Marchese se fermaje 'e botto,
s'avota, e tomo tomo ... calmo calmo,
dicette a don Gennaro : <<Giovanotto !

Da voi vorrei saper, vile carogna,
con quale arfire e come avete osato
di farsi seppellir, per mia vergogna,
accanto a me che sono un blasonato !?

La casta è casta e va, sì, rispettata,
ma voi perdeste il senso e la misura;
la vostra salma andava, sì, inumata;
ma seppellita nella spazzatura !

Ancora oltre sopportar non posso
la vostra vicinanza puzzolente.
Fa d'uopo, quindi, che cerchiate un fosso
tra i vostri pari, tra la vostra gente>>.

<<Signor Marchese, nun è colpa mia,
i' nun v'avesse fatto chistu tuorto;
mia moglie è stata a "ffà 'sta fessaria,
iì' che putevo fa' si ero muorto ?

Si fosse vivo ve farrie cuntento,
pigliasse 'a casciulella cu 'e quatt'osse,
e proprio mo, obbj' ... 'nd'a stu mumento
"mme ne trasesse dinto a n'ata fossa>>.

<<E cosa aspetti, oh turpe malcreato,
che l'ira mia raggiunga l'eccedenza ?
Se io non fossi stato un titolato
avrei già dato piglio alla violenza">>

<<Famme vedè ... - piglia 'sta violenza ...
''A verità, Marchè, "mme sò scucciato
'e te sentì; e si perdo 'a pacienza,
"mme scorso ca sò muorto e sò mazzate! ...

ma chi te cride d'essere ... 'nu "ddio ?
'Ccà dinto, 'o "vvuò capì, ca simmo eguale ? ...
.... Muorto sì tu e muorto sò pur'io;
ognuno comme a 'n'ato è tale e "qquale>>.

<<Lurido porco! ... Come ti permetti
paragonarti a me ch'ebbi natali
illustri, nobilissimi e perfetti,
da fare invidia a Principi Reali ?>>.

<<Tu quà Natale ... Pasca e "Ppifania !!!
T"o "vvuò mettere 'ncapo ... int'a cervella
che staje malato ancora 'e fantasia ? ...
'A morte 'o "ssaje ched'è ? ... è una livella.

'Nu "rrè, 'nu magistrato, 'nu grand'ommo,
trasenno 'stu canciello ha fatt"o punto
c'ha perzo tutto, 'a vita e pure 'o nomme :
tu nun t'hè fatto ancora chistu cunto ?

Perciò, stamme a "ssentì ... nun fà 'o restivo,
suppuorteme vicino - che te 'mporta ?
'Sti "ppagliacciate 'e "ffanno sule 'e vive :
nuje simme serie ... appartenimmo 'a morte">>.

**********************************

AMMORE PERDUTO

Ammore perduto,
ì t'ero truvato,
nun aggio saputo
tenerte cu "mme.

Ammore perduto,
'mm'ha ditto 'stu core
'ca tarde ha saputo
tu ch'ire per "mme.

 

Raffaele Cutolo

Raffaele Cutolo, ha scritto per Napoli canzoni come "Dove sta Zazà", famosa macchietta che è entrata nel repertorio di artisti come Claudio Villa, Gabriella Ferri, Nino Taranto, Aurelio Fierro e Fausto Cigliano. Tra le altre poesie troviamo "'Nfamità", "'O pullo" e "Natale".

ACCUSSI' TUTTE 'E GHIUORNE

E accussì, tutt''e juorne: 
nun rido. 
E accussì tutt''e juorne: 
nun chiagno. 
Chi nun ride e nun chiagne, 
nun campa e nun more. 
E accussì, tutt''e juorne: 
me movo, cammino, 
me tocco, me sento... 
So' vivo o so' n'ombra? 
'Overo songh'io o chi songo? 
Songh'io o songo aria? 
Songh'io o so' nebbia? 
Chi songo? Che ssongo? 
'Overo so' vivo o so' n'ombra? 
E accussì, tutt''e juorne: 
so' n'omo... so' n'ombra 
e nun rido, nun chiagno, 
nun moro e nun campo, 
accussì, tutt''e juorne.

 

Pier Paolo Pasolini

Pier Paolo Pasolini, poeta, regista, soggettista e attore italiano, nacque a Bologna e successivamente si trasferì in Friuli (precisamente a Casarsa Della Delizia), la regione d'origine della madre per poi stabilirsi a Roma. Le sue prime poesie come "O me donzel", furono scritte in dialetto friulano.

Al cinema Pasolini ha diretto una ventina di film, tra i quali ricordiamo "Uccellacci e uccellini" (1966), "La ricotta" (1963), "Decameron" (1972), "Mamma Roma" (1962), "Salò e le 120 giornate di Sodoma" (1975), "La terra vista dalla luna" (1967), "Che cosa sono le nuvole" (1968)", "Il vangelo secondo Matteo" (1964), "Comizi d'amore" (1964), "I racconti di Chanterbury" (1974) e il cortometraggio "L'aigle" interpretato da Totò e Ninetto Davoli, che in realtà è una parte eliminata in fase si montaggio dal film "Uccellacci e uccellini". Pasolini è morto ad Ostia (Roma) nel 1975.

IO SONO UNA FORZA DEL PASSATO

Un solo rudere, sogno di un arco,
di una volta romana o romanica,
in un prato dove chiumeggia un sole
il cui calore è calmo come un mare :
il ridotto, il rudere è senza amore. Uso
e liturgia, ora profondamente estinti,
vivono nel suo stile - e nel sole - 
per chi ne comprenda presenza e poesia:
Fai pochi passi, e sei sull'Appia,
o sulla Tuscolana : lì tutto è vita,
per tutti. Anzi, meglio è complice
di quella vita, chi stile e storia
non ne sa. I suoi significati
si scambiano nella sordita pace
indifferenza e violenza. Migliaia, 
migliaia di persone, Pulcinella
d'una modernità di fuoco, nel sole
il cui significato è anch'esso in atto,
si incrociano pullulando scure
sugli accecanti marciapiedi, contro
l'Ina-case sprofondate nel cielo.
Io sono una forza del passato.
Solo nella tradizione è il mio amore.
Vengo dai ruderi, dalle chiese, 
dalle pale d'altare, dai borghi
abbandonati sugli Appennini o le Prealpi,
dove sono vissuti i fratelli.
il Giro per la Tuscolana come un pazzo,
per l'Appia come un cane senza padrone.
O guardo i crepuscoli, le mattine
su Roma, sulla Ciociaria, sul mondo,
come i primi atti della dopostoria,
cui io assisto, per privilegio d'anagrafe,
dall'orlo esterno di qualche età
sepolta : Mostruoso è chi è nato
dalle viscere di una donna morta.
E io, feto adulto, mi aggiro
più moderno di ogni moderno
a cercare fratelli che non sono più.

 

Aldo Fabrizi

Oltre che essere un grande attore e regista, Aldo Fabrizi è stato anche poeta!

ER SOGNO

Me pareva de sta su 'na montagna, 
e urlavo in un megafono spaziale: 
« Popolazione mia che campi male, 
accostate qua sotto che se magna.»

Poi come fussi er Re de la Cuccagna 
buttavo giù, pe' un'orgia generale, 
valanghe de spaghetti cor guanciale, 
ch'allagaveno tutta la campagna.

E vedevo signori e poveretti, 
in uno sterminato affollamento
a pecorone sopra li spaghetti.

Quann'ecchete, dar cielo, sbuca Dio, 
co' un forchettone in mano e fa: «Un momento... 
Si permettete ce sto pure io! ».

 

Dante Alighieri 

E' impossibile parlare "in breve" di Dante! Forse bisognerebbe solo trovargli un aggettivo che possa rappresentarlo... forse "unico", "grande", "anticipatore"...

TANTO GENTILE E TANTO ONESTA PARE

Tanto gentile e tanto onesta pare
la donna mia quand'ella altrui saluta
ch'ogne lingua deven tremando muta,
e li occhi no l'ardiscon di guardare.

Ella si va, sentendosi laudare,
benignamente d'umiltà vestuta;
e par che sia una cosa venuta
da cielo in terra a miracol mostrare.

Mostrasi sì piacente a chi la mira,
che dà per li occhi una dolcezza al core
che 'ntender no la può chi no lo prova :

e par che de la sua labbia si mova
uno spirto soave pien d'amore,
che va dicendo a l'anima : Sospira.

 

Irene De Crescenzo

Testo scritto da una cara amica di Ottavio ... anche lei è una pittrice di parole .

MI MANCA QUALCUNO

Mi manca qualcuno,
un amico col quale parlare,
un amico che mi ha dimenticato 
e qualcun altro che è andato via..
Mi manca condividere con lui una risata o soltanto un sorriso,
mi manca la sua voce,
mi mancano le sue parole ,
mi mancano i suoi pensieri,
mi mancano i suoi gesti ,
mi manca l'emblema della sua felicità:
la voglia di vivere!
Mi mancano gli incontri fugaci...
Mi manca tutto di me e di lui,
ciò significa che sono solo 
una bolla di sapone che sta per svanire lontano nell'aria!!!!

 

Giacomo Leopardi

Leopardi, conosciuto da tutti per le sue grandi opere, fu il massimo esponente del Romanticismo Italiano.

L'INFINITO

Sempre caro mi fu quest'ermo colle,
e questa siepe, che da tanta parte,
dell'ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
spazi di là da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quiete
io nel pensier mi fingo; ove per poco
il cor non si spaura.
E come il vento
odo stormir tra queste piante, io quello
infinito silenzio a questa voce
va comparando : e mi sovvien l'eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, e il suon di lei. Così tra questa
immensità s'annega il pensier mio :
e il naufragar m'è dolce in questo mare.

 

Vincenzo Giandomenico

Poeta napoletano, scomparso nel 1993, giovanissimo fu allievo del grande Viviani.

ACROSTICO

Gioia e cumpagna 'e chesta vita mia 
io senza 'e te comme putria campà,
appena nun me faie "cchiù cumpagnia 
nemmeno 'o sole chiù me fa' scarfà.

Dimane si sta penna m'abbandona 
o si me lassa chesta fantasia, 
muresso io pure 'nzieme 'a 'sta canzona
e me sperdesso pe 'na scura via.

Niente me pò sanà 'sta malatia,
io sò 'mpazzuto 'e te cu sentimento, 
comme me faie felice tu puisia 
ogn'attimo ca viene so' cuntento.

 

Gabriele D'Annunzio

Gabriele D'Annunzio nacque a Pescara nel 1863 e morì a Gardone nel 1938. Dopo aver conseguito la licenza liceale, si trasferì a Roma per frequentare la facoltà di lettere. Nella capitale iniziò a vivere all'insegna della mondanità e della raffinatezza, frequentando i salotti letterari più alla moda ed evidenziando quelli che sarebbero stati gli elementi caratteristici della sua vita. Oberato di debiti a causa della sua lussuosa esistenza, lasciò l'Italia per trasferirsi in Francia. Durante questo periodo scrisse opere teatrali in francese e le Canzoni delle festa d'oltremare per celebrare la conquista della Libia. Tornato in Italia partecipò come acceso interventista alla prima guerra mondiale, compiendo spericolate imprese (come il volo su Vienna) in cui si fondevano coraggio e spirito di avventura. In seguito si ritirò a Gardone, in una villa che trasformò in museo della sua vita e delle sue gesta.

Scrisse moltissimo : novelle, romanzi (Il piacere - Il trionfo della morte - L'innocente), e tragedie.  Le numerose poesie furono raccolte nei quattro libri delle Laudi al cielo, del mare, della terra, degli eroi, rispettivamente : Maia, Elettra, Alcyone, Merope. Per lo splendore del linguaggio e per le suggestioni che comunicano, le liriche più riuscite sono quelle di Alcyone. 

Un altro brano, da ricordare, che poi è entrato a far parte del patrimonio della canzone napoletana e nel repertorio di moltissimi artisti è "'A vucchella", un vero inno d'amore dedicato a una donna, una canzone dolcissima, che ha avuto tra i tanti interpreti uno straordinario Sergio Bruni.

L'ATTIVITA' TEATRALE DI GABRIELE D'ANNUNZIO

Dal 1898 visse a Settignano (Firenze) nella villa La Capponcina, vicina alla residenza di un'ennesima donna amata, la celebre attrice Eleonora Duse, con la quale ebbe un'intensa relazione rispecchiata senza molto pudore nel romanzo Il fuoco (1900). La vicinanza della Duse fece sì che D'Annunzio intensificasse l'attività teatrale: durante la loro relazione scrisse nel 1899 La città morta e La Gioconda, ma il meglio del suo teatro è costituito dalle tragedie Francesca da Rimini (1901), La figlia di Iorio (1904) e La fiaccola sotto il moggio (1905).

TUTTE LE OPERE :

1879) Primo vere
1882) Canto nuovo
1882) Terra vergine

1886) Isaotta Guttadàuro
1886) San Pantaleone
1889) Il piacere

1891) Giovanni Episcopo
1892) L'innocente
1892) Elegie romane

1893) Poema paradisiaco
1893) Odi navali
1894) Il trionfo della morte

1895) Le vergini delle rocce
1899) La città morta
1899) La Gioconda

1900) Il fuoco
1902) Le novelle della Pescara

1902) Francesca da Rimini
1903) Laudi del cielo del mare della terra e degli eroi
1904) La figlia di Iorio

1905) La fiaccola sotto il maggio
1906) Più che l'amore
1908) La nave

1909) Fedra
1910) Forse che sì forse che no
1913) La Leda senza cigno

1921) Notturno
1928) Le faville del maglio

1928) Il compagno dagli occhi senza cigli

1935) Cento e cento e cento e cento pagine del libro segreto di Gabriele D'Annunzio tentato di morire

1956) Taccuini (postumo)
1976) Altri taccuini (postumo)

LA PIOGGIA NEL PINETO

Taci. Su le soglie
del bosco non odo
parole che dici
umane; ma odo
parole più nuove
che parlano gocciole e foglie
lontane.
Ascolta. Piove
dalle nuvole sparse.
Piove sui americi
salmastre ed arse,
piove sui pini
scagliosi e irti,
piove su i mirti
divini,
su le ginestre fulgenti
di fiori accolti,
su i ginepri folti
di coccole aulenti,
piove su i nostri volti
silvani,
piove su le nostre mani
ignude,
su i nostri vestimenti
leggieri,
su i freschi pensieri
che l'anima schiude
novella,
su la favola bella,
che ieri,
t'alluse, che oggi m'illude
o Ermione.

Odi? La pioggia cade
su la solitaria
verdura
con un crepitìo che dura
e varia nell'aria
secondo le fronde
più rade, men rade.
Ascolta. Risponde
al pianto il canto
delle cicale
che il pianto australe
non impaura,
nè il cielo cinerino.
E il pino
ha un suono, e il mirto
altro suono, e il ginepro
altro ancora, stromenti
diversi 
sotto innumerevoli dita.
E immersi
noi siam nello spirto
silvestre,
d'arborea vita viventi;
e il tuo volto ebro
è molle di pioggia
come una foglia,
e le tue chiome
auliscono come
le chiare ginestre,
o creatura terrestre
che hai nome 
Ermione.

Ascolta, ascolta. L'accordo
delle aeree cicale
a poco a poco
più sordo
si fa sotto il pianto
che cresce;
ma un canto vi ci mEsce
più roco
che di laggiù sale,
dall'umida ombra remota.
Più sordo e più fioco
s'allenta, si spegne.
Solo una nota, 
ancor trema, si spegne,

risorge, trema, si spegne.
Non s'ode voce del mare.
Or s'ode su tutta la fronda
crosciare
l'argentea pioggia
che monda,
il croscio che varia
secondo la fronda
più folta, men folta.
Ascolta.
La figlia dell'aria
è muta; ma la figlia
del limo lontana,
la rana,
canta nell'ombra più fonda,
chi sa dove, chi sa dove!
E piove su le tue ciglia,
Ermione.

Piove su le tue ciglia nere
sì che par tu pianga
ma di piacere; non bianca
ma quasi fatta virente,
par da scorza tu esca.
E tutta la vita è in noi fresca,
aulente,
il cuor nel petto è come pèsca
intatta,
tra le pàlpebre gli occhi
son come polle tra l'erbe,
i denti negli alvèoli
son come mandorle acerbe.
E andiam di fratta in fratta,
or congiunti or disciolti
(e il verde vigor rude
ci allaccia i mallèoli
c'intrica i ginocchi)
chi sa dove, chi sa dove !
E piove su i nostri volti
silvani,
piove su le nostre mani
ignude,
su i nostri vestimenti
leggieri,
su i freschi pensieri
che l'anima schiude
novella,
su la favola bella
che ieri
m'illuse, che oggi t'illude,
o Ermione.

 

Giuseppe Ungaretti

Grande esponente dell'ermetismo. Sua è la famosa "Mattino".

SAN MARTINO DEL CARSO

Di queste case 
non è rimasto 
che qualche 
brandello di muro 

Di tanti 
che mi corrispondevano 
non è rimasto 
neppure tanto 

Ma nel cuore 
nessuna croce manca 

E' il mio cuore 
il paese più straziato.

 

Eugenio Montale

SPESSO IL MALE DI VIVERE

Spesso il male di vivere ho incontrato:
era il rivo strozzato che gorgoglia,
era l'incartocciarsi della foglia
riarsa, era il cavallo stramazzato.

Bene non seppi, fuori dal prodigio,
che schiude la divina Indifferenza : 
era la statua della sonnolenza
del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato.

 

Nino Taranto

Quella dei Taranto è una grande famiglia di teatro. Nino debutta giovanissimo con le macchiette, e poco più che ragazzo è interprete del film muto "Vedi Napoli e poi muori" interpretato con Leda Gys (che interpretava sua sorella). Taranto ha girato per il cinema 87 film, dall'età adolescenziale fino a pochi mesi prima della sua scomparsa, ha lavorato in teatro. Grande interprete del teatro di Raffaele Viviani. Magistrale la sua interpretazione di Antonio de "L'ultimo scugnizzo". Ha lavorato anche in televisione, ha inciso diversi dischi (di canzoni, di macchiette, di poesie napoletane, di scenette comiche), ed ha scritto diverse poesie. Quella proposta è dedicata al suo "grande maestro d'arte" Totò. Con Totò, il grande Taranto ha girato diversi film, il più bello e il più divertente è senza dubbio "Totò Truffa '62". Ha lavorato anche in film impegnati come "Anni facili" di Luigi Zampa, ed ha lavorato tra gli altri con Walter Pidgeon, Franchi e Ingrassia, Aldo Fabrizi, Erminio Macario, i De Filippo, Renato Carosone.

A TOTO'

Sin da tempo è risaputo 
che persino in Paradiso,
s'è smarrito, s'è perduto 
il sollievo di un sorriso,
e nel Regno del Signore
tutto sole e cielo blu
è finito il buonumore :
mò nisciuno ride "cchiù.

Un bel giorno il Padreterno,
s'è chiammato a tutti i santi,
ha riunito tutti quanti
dentro e fuori dal governo,
ed ha detto :
"Gente mia che succede a 'stu paese,
ma ched'è 'sta musciaria,
ma che sò 'sti facca appese ?
Ora basta, in Paradiso ci si deve divertì,
voglio musica e sorrisi
'sta tristezza adda furnì.

Mentre ognuno restò scosso,
venne avanti senza fretta
'nu beato c'a bombetta
e 'o calzone a zumpafuosso ...
e iniziò quasi per scherzo
una strana camminata
con la scapola snodata
e la sguessera dismerza.
Recitò, ballo, cantò,
e tra i santi e le beate
la tristezza si squagliò
e fu un mare di risate.

'O signore s'o chiammaje
e gli disse :
"Ma è poco che stai qua ?
Tu lo sai sei bravo assai !
Me vuò dicere chi si ?",
poi tra le rise e il pandemonio
il beato sussurrò :
"Padretè mi chiamo Antonio
voi chiamatemi Totò".

 

Pablo Neruda

Il vero nome è Neftalì Ricardo Reyes Basoalto, nacque a Parral nel 1904 e morì a Santiago nel 1973. 

Tra le sue opere si ricordano : La Spagna nel cuore - Canto generale - Venti poesie d'amore - Una canzone disperata - Residenza nella terra.

Altre sue poesie famose sono : L'America - Gli amanti di Capri - Nuda - Donna completa mela carnale - Se tu mi dimentichi - Nella sua fiamma mortale - Due amanti felici - La poesia - Io e la terra...

MELISANDA

Il suo corpo 
è un'ostia fine,
minuscola e lieve
ha gli occhi azzurri
e le mani di neve.

Nel pargo li alberi
sembrano congelati,
gli uccelli si fermano
su di essa
stanchi.

Le sue trecce bionde
toccano l'acqua
dolcemente,
come due braccia d'oro
sbocciate dalla fonte.

Ronza
il volo perduto
delle civette cieche,
Melisanda s'inginocchia
e prega.

Gli alberi s'inclinano
fino a toccare la sua fronte
gli uccelli si allontanano
nella sera dolente,
Melisanda 
la dolce
piange verso la fonte.

 

Bertolt Brecht

Il grande autore, nacque ad Augusta nel 1898. Quando la Germania fu invasa dai nazisti, viaggiò molto per l'Europa, stabilendosi poi negli Stati Uniti. Ha scritto molti drammi che ancora oggi vengono rappresentati con grande successo, tra questi si ricordano "L'opera da tre soldi", "I fucili di Madre Carrar" e "Vita di Galileo" (interpretato in Italia da artisti del calibro di Mariano Rigillo e Franco Branciaroli) . Morì a Berlino nel 1956. 

SUL MURO C'ERA SCRITTO

Sul muro c'era scritto col gesso:
vogliamo la guerra.
Chi l'ha scritto
è già caduto.


* * * *

LA GUERRA CHE VERRA'

La guerra che verrà
non è la prima. Prima
ci sono state altre guerre.
Alla fine dell'ultima
c'erano vincitori e vinti.
Fra i vinti la povera gente
faceva la fame. Fra i vincitori
faceva la fame la povera gente egualmente.

* * *

CHI STA IN ALTO DICE

Chi sta in alto dice:
si va verso la gloria.
Chi sta in basso dice:
si va verso la fossa.

 

Giosuè Carducci

Carducci nacque a Valdicastello, un paesino in provincia di Lucca nel 1835 e trascorse la sua infanzia in Maremma, in seguito poi si trasferì a Venezia e si laureò in lettere a Pisa. Da notare che è stato il primo italiano vincitore del premio Nobel. 

Oltre a essere poeta, era un grande critico letterario.

 Ha determinato due generazioni di italiani, dagli anni che vanno all'Unità d'Italia fino alle soglie del Novecento, suscitando l'interesse per una letteratura impegnata in senso morale e civile. 

Giosuè Carducci nel 1906, a un anno dalla sua scomparsa, ottenne il Premio Nobel a Stoccolma per la letteratura. Morì a Bologna nel 1907. 

SOGNO D'ESTATE

Tra le battaglie, Omero, nel carme tuo sempre sonati
la calda ora mi vinse : chinommisi il capo tra 'l sonno
in riva di Scamandro, ma il cor mi fuggì 'l Tirreno.
Sognai, placide cose de' miei novelli anni sognai.
Non più libri: la stenza da 'l sole di luglio affocata,
rintronata da i carri rotolanti su 'l ciottolato
de la città, slargossi: sorgeanmi intorno i miei colli,
cari selvaggi colli che il giovane april rifioria.
Scendeva per la piaggia con mormorii freschi un zampillo
pur diventando rio: su 'l rio passeggiava mia madre
florida ancor ne gli anni, traendosi un pargolo a mano
cui per le spalle bianche splendevano i riccioli d'oro.
Andava il fanciulletto con piccolo passo di gloria
superbo de l'amore materno, percosso nel core
da quella festa immensa che l'alma natura intonava.
Però che le campane sonavano su da 'l castello
annunziando Cristo tornante dimane a' suoi cieli;
e su le cime e al piano, per l'aure, pe' rame, per l'acque
correa la melodia spirituale di primavera;
ed i pèschi ed i mèli tutti eran fior' bianchi e vermigli,
e fior' gialli e turchini ridea tutta l'erba al di sotto,
ed il trifoglio rosso vestiva i declivi de' prati,
e molli d'auree ginestre si paravano i colli,
e un'aura dolce movendo quei fiori e gli odori
veniva giù da 'l mare; nel mar quattro candide vele
andavano andavano cullandosi lente nel sole,
che mare e terra e cielo sfolgorante circonfondeva.
La giovine madre guardava beata nel sole.
Io guardava la madre, guardava pensoso il fratello,
questo che or giace lungi su 'l poggio d'Armo fiorito;
quella che dorme presso ne l'erma solenne Certosa;
pensoso e dubitoso s'ancora ei spirassero l'aure
o ritornasser pii del dolor mio da una plaga
ove tra note forme rivivono gli anni felici.
Passar le care immagini, disparvero lievi co 'l sonno.
Lauretta empieva intanto di gioia canora le stanze,
Bice china al telaio seguita cheta l'opra l'ago.

 

Giorgio Gaber

Giorgio Gaber nacque a Milano nel 1939. E' stato un grande cantautore, attore e uomo di teatro, famosissimo è il  personaggio del Signor G, che ha presentato sia nei suoi dischi, sia in teatro che in televisione. Tra le sue canzoni si ricordano "Lo shampoo", "Un idiozia conquistata a fatica", "Latte 70" e "Destra sinistra". Giorgio Gaberscik (suo vero nome) è morto il 1° gennaio 2003 a 63 anni.

I MONOLOGHI DEL SIGNOR G : BAMBINI

A) Io mi chiamo G.
B) Io mi chiamo G.
A) No, non hai capito, sono io che mi chiamo G.
B) No, sei tu che non hai capito, mi chiamo G anch’io.
A) Il mio papà è molto importante.
B) Il mio papà no .
A) Il mio papà è forte, sano e intelligente.
B) Il mio papà è debole, malaticcio e un po’ scemo.
A) Il mio papà ha tre lauree e parla perfettamente cinque lingue.
B) Il mio papà ha fatto la terza elementare e parla in dialetto, ma poco perché tartaglia.
A) Io sono figlio unico e vivo in una grande casa con diciotto locali spaziosi.
B) Io vivo in una casa piccola, praticamente un locale, però c’ho diciotto fratelli.
A) Il mio papà guadagna 31 miliardi al mese che diviso 31 che sono i giorni che ci sono in un mese, fa un miliardo al giorno.
B) Il mio papà guadagna 10.000 lire al mese che diviso 31 che sono i giorni che ci sono in un mese fa 10.000 al giorno… il primo giorno, poi dopo basta.
A) Noi siamo ricchi ma democratici, quando giochiamo a tombola segniamo i numeri coi fagioli.
B) Noi invece segniamo i fagioli coi numeri… per non perderli.
A) Il mio papà è così ricco che cambia ogni anno la macchina, la villa e il motoscafo.
B) Il mio papà è così povero che non cambia nemmeno idea.
A) Il mio papà un giorno mi ha portato sulla collina e mi ha detto: "Guarda, tutto quello che vedi un giorno sarà tuo!".
B) Anche il mio papà un giorno mi ha portato sulla collina e mi ha detto: "Guarda!". Basta.

 

Peppino De Filippo

Attore di teatro e cinema, poeta, vignettista e presentatore televisivo, Peppino era l'ultimo dei fratelli De Filippo, nacque a Napoli nell'agosto 1903. Tra le sue commedie si ricordano "Metamorfosi di un suonatore ambulante" e "Il ragazzo di campagna"

LASSAMMOCE MARI'

Si capisco che 'll'ammore
passa 'o tiempo e 'o fà cagnà
e ca resta dint'o core
'nu ricordo 'e falsità.
Ma, però si se vo bene
tanto e cu sincerità
nun ce stà tiempo ca vene
co st'ammore fa scurdà.

Che t'aggia dì
fa chello che vuò tu
nun voglio "cchiù suffrì
lassame ''mpace.
Che pozzo fa,
lassammece accussì
si nun me saje "cchiù dì
parole doce.
Senza "cchiù te,
senza "cchiù te vedè
chissà che ne succede 'e me ...
ma senza ammore è inutile
nun ce se pò "cchiù 'ntennere ...
Lassammoce Marì !

 

Ugo Foscolo

Il suo nome completo era Ugo Niccolo Foscolo. Nacque a Zante nel 1778, da un padre veneziano e da Diamantina Spatis, una donna greca, e dopo aver compiuto i primi studi a Spalato si trasferì a Venezia dove si arruolò nell'esercito napoleonico combattendo contro gli austriaci. Dopo il famoso trattato di Campoformio, nella quale Napoleone Bonaparte cedette Venezia all'Austria, sentendosi tradito dal Generale andò a Vivere a Milano (all'imperatore francese, il Foscolo, aveva dedicato due poemi, il primo era A Napoleone liberatore , mentre nel secondo espresse il suo rancore il suo rancore ... Napoleone traditore). A Milano ci fu la prima stesura del carme I sepolcri. Dopo Milano, il Foscolo si trasferì a Bologna, frequentando uomini illustri di quel tempo. Continuò a militare contro i russi e gli austriaci senza rinunziare ad atteggiamenti polemici e provocatori nei confronti di Napoleone. Nel 1815, quando gli fu offerta dal governo austriaco la possibilità di una brillante carriera letteraria a Milano, preferì l'esilio, dapprima in Svizzera e poi a Londra. Di quest'ultimo periodo, vissuto tra tanti problemi economici, con una figlia da poco riconosciuta, con i ricordi di una vita passata tra donne (si contano 37 donne importanti nella vita di Foscolo), tra la nostalgia della sua terra, sono da ricordare importanti saggi sulla letteratura italiana che ne hanno fatto di lui un grande critico del diciannovesimo secolo. 

Tra le opere, oltre I sepolcri, vi sono Le grazie e il romanzo epistolare Le ultime lettere di Jacopo Ortis (straziante è nel libro, la Lettera a Teresa), in più si ricordano le liriche raccolte nei Sonetti e nelle Odi (tra i sonetti: Al sole - Alla musa - A Zacinto - In morte del fratello Giovanni - Meritatamente - Solcata ho fronte - A Venezia - Non son chi fui, perì di noi gran parte - Perchè taccia - Che stai ... ma soprattutto Alla sera considerato uno dei sonetti più belli.

Ugo Foscolo morì in un sobborgo di Londra, in misere condizioni nel 1927, appena quarantaquattrenne, la sua vita romantica, guerrigliera, si era conclusa miseramente.

Solo dopo molti anni le spoglie del poeta sono ritornate in Italia. 

A VENEZIA

O di mille tiranni, a cui rapina 
riga il soglio di sangue, imbelle terra! 
'Ve mentre civil fama ulula ed erra, 
siede negra Politica reina; 4 

Dimmi: che mai ti val se a te vicina 
compra e vil pace dorme, e se ignea guerra 
a te non mai le molli trecce afferra 
onde crollarti in nobile ruina? 8 

Già striscia il popol tuo scarno e fremente, 
e strappa bestemmiando ad altri i panni, 
mentre gli strappa i suoi man più potente. 11 

Ma verrà il giorno, e gallico lo affretta 
sublime esempio, ch'ei de' suoi tiranni 
farà col loro scettro alta vendetta. 

***

A ZACINTO

Né più mai toccherò le sacre sponde
ove il mio corpo fanciulletto giacque,
Zacinto mia, che te specchi nell'onde
del greco mar da cui vergine nacque

Venere, e fea quelle isole feconde
col suo primo sorriso, onde non tacque
le tue limpide nubi e le tue fronde
l'inclito verso di colui che l'acque

cantò fatali, ed il diverso esiglio
per cui bello di fama e di sventura
baciò la sua petrosa Itaca Ulisse.

Tu non altro che il canto avrai del figlio,
o materna mia terra; a noi prescrisse
il fato illacrimata sepoltura.

****

ALLA MUSA

Pur tu copia versavi alma di canto
su le mie labbra un tempo, Aonia Diva,
quando de' miei fiorenti anni fuggiva
la stagion prima, e dietro erale intanto

questa, che meco per la via del pianto
scende di Lete ver la muta riva:
non udito or t'invoco; ohimè! soltanto
una favilla del tuo spirto è viva.

E tu fuggisti in compagnia dell'ore,
o Dea! tu pur mi lasci alle pensose
membranze, e del futuro al timor cieco.

Però mi accorgo, e mel ridice amore,
che mal ponno sfogar rade, operose
rime il dolor che deve albergar meco.

***

IN MORTE DEL FRATELLO GIOVANNI

Un dì, s'io non andrò sempre fuggendo
di gente in gente, me vedrai seduto
su la tua pietra, o fratel mio, gemendo
il fior de' tuoi gentili anni caduto.

La Madre or sol suo dì tardo traendo
parla di me col tuo cenere muto,
ma io deluse a voi le palme tendo
e sol da lunge i miei tetti saluto.

Sento gli avversi numi, e le secrete
cure che al viver tuo furon tempesta,
e prego anch'io nel tuo porto quïete.

Questo di tanta speme oggi mi resta!
Straniere genti, almen le ossa rendete
allora al petto della madre mesta.

 

Primo Levi

Primo Levi nacque a Torino nel 1919 e qui vi morì nel 1987. La sua opera maggiore è Se questo è un uomo.

SE QUESTO E' UN UOMO

Voi che vivete sicuri
nelle vostre tiepide case,
voi che trovate tornando a casa
il cibo caldo e visi amici :

Considerate se questo è un uomo
che lavora nel fango
che non conosce pace
che lotta per mezzo pane
che muore per un sì o per un no.
Considerate se questa è una donna,
senza capelli e senza nome
senza più forza di ricordare
vuoti gli occhi e freddo il grembo
come una rana d'inverno.

Meditate che questo è stato:
Vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
stando in casa andando per via,
coricandovi alzandovi;
Ripetetele ai vostri figli.

O vi si sfaccia la casa,
la malattia vi impedisca,
i vostri nati torcano il viso da voi.

 

Signor Gaetano

A Totò sono state dedicate poesie, canzoni, libri, documentari, ma in particolari sono le lettere che gli scrive il popolo napoletano, lettere che i "fedeli" depositano sulla sua tomba ... Il popolo napoletano crede in Totò come in San Ciro e San Gennaro, sono devoti del loro principe della risata, principe di quella umanità che oggi va scomparendo. E una volta mi trovai tra le mani una lettera che portava la firma di "Gaetano", che ho voluto pubblicare: questo è amore, pensai, amore vero, nei confronti di un uomo vero, di un uomo del popolo, di un cuore nobile e non stiamo parlando solo del grande attore interprete di film, teatri e programmi televisivi, stiamo parlando del Totò fragile, umano, amico, mai aggressivo come nei suoi film, del Totò dolce. Per questo vi regalo e regalo al sito, e ai fan del Nostro questa lettera inedita. (Ottavio)

LETTERA A TOTO'

Ciao Totò, sono Gaetano, e io lo so che mi conosci, perchè io ti vedo a te e pure tu mi vedi a me, e poi le persone che non ci stanno più vedono e sentono tutto quello che vogliono loro, e io che ti ho chiammato molte volte è impossibbile che non mi hai sentuto. Tu lo sai ca io stongo da misi ormai disoccupato, e la cosa iccomincia a farsi seria, mia moglia colle sigarette non abbosca a soddisfazione per tutti noi, e ti spiego, anche perchè mia figlia si è presa la nziria di nzurarsi, e io non è che sono contrario al suo matrimonio, per carità, Retella e Giacomino si vogliono bene e l' ho costato io, però una volta assieme che fanno , aumentano la dinastria di quelli che puzzano di fame . Io ti chiedo un lavoro, e non voglio il posto nella scrivania, o sul comuno di Napoli, io voglio anche fravecare e sfravecare i palazzi, problemi non ne ho, la fatica non mi fete. La matina quando mi sceta penzo sempre ca schiara una giornata nuova e non sempre poi riesco a finire bene, a volte la notte studio per fare uscire la campata. E io mi domando e ti domando, e ti prego, si può mai andare avanti così . Tu lo sai Totò ca io ho fatto fino alla quarta elemendare e tanto istrutto non lo sono, pero non penzo ca pe pittare, pe inchiuvare e per aizzare le casce ci vuole l'arte di scienza. Mia moglia, povera crista, non puo sempre fare lei per la casa, e poi ci sta il piccirillo che mo a settembre deve fare la scuola nuova, e lo sai ca ci vogliono un cofano di soldi per comprare i libbri, le penne, le matite, i quadierni, un sacco di robba e a me se continuo di questo passo chi me li da ? Io non ho le disposizioni e poi dopo la morte della buonanima di papà, che ogni tanto arrepezzava qualche lira, si è sgravata una nuova fame. Io tre figli tengo, e lo sai, uno studia, l'altra sta a casa quando mia moglie sta con il bancariello delle sigarette, e un altro ancora tiene tre anni, e la scuola e luntana, luntana assai. Io scrivo a te, Totò, perchè ogni giorno tra un guaio e l'altro ci fai morire di risate, a Gennarino lo fai cadere dalla seggia. Perciò Totò fammela questa grazia, fammi pigliare un posto pure a me, dammi il segno che anche io posso faticare, io non posso stare fermo, l'acqua è poca e la papera non galleggia, e se la papera non galleggia affonna e sò guai, guai assai. Io spero ca queste parole ti arrivano direttamente a te, senza passare per altre mani, anche se i miei guai stanno presenti nel mio quartiere ogni giorno, e tu poi che sei do RIONE STELLA lo sai che si prova a puzzare di fame, a camparsi con le forze proprie, a priare a tutti i santi prima di addormentarti. 

Gaetano

 

Salvatore Quasimodo

Il grande poeta siciliano nacque a Modica nel 1901. La sua prima opera fu Acque e terra alla quale seguì Tutte le poesie. Nel 1959 Quasimodo fu insignito del Premio Nobel per la letteratura. Morì a Napoli nel 1968.

ALLE FRONDE DEI SALICI

E come potevamo noi cantare
con il piede straniero sopra il cuore
fra i morti abbandonati nelle piazze
sull'erba dura di ghiaccio, al lamento
d'agnello dei fanciulli, all'urlo nero
della madre che andava incontro al figlio
crocifisso sul palo del telegrafo ?
Alle fronde dei salici, per voto,
anche le nostre cetre eano appese,
oscillavano lievi al triste vento.
 

***

ED E' SUBITO SERA

Ognuno sta solo sul cuor della terra
trafitto da un raggio di sole:
ed è subito sera.

 

Pupella Maggio

Un raro documento!

'A BIONDA AVVELENATA

'A sigaretta "mme fa male 'o "ssaccio
ma c'aggia fa, si sulo 'a essa tengo !
'Ll'appiccio 'a stuto 'a jetto pò 'a scamazzo
e dico: "sarraje 'll'urdema ca fummo".
Ma pò me vene 'na malincunia
io tengo tutto e dico: " che me manca" !?
Salute, quacche sordo grazie a Dio,
ma allora che me manca, che me manca ...

E' essa 'a bionda, 'a bionda ... avvelenata
e corro e 'a cerco, e 'appiccio 'n'ata vota
e n'ata vota è essa c'ha vinciuto
è sempe 'a stessa, comme 'a gire e avuote
comme "ll'avuote e 'a gire è sempe 'a stessa
fummo che passa e cennere che resta.

 

G. Gioacchino Belli

Giuseppe Gioacchino Belli è il poeta romano per eccellenza, il padre di tutti i poeti che si sono dilettati con un tipo di poesia licenziosa se così si può definire.

Egli nacque a Roma nel 1791, fu insieme a Carlo Porta, grande protagonista della poesia dialettale italiana.

La sua vasta produzione comprende più di 2200 sonetti. 

Belli, sostanzialmente aveva una visione profondamente pessimistica e tragica della vita, e lo si nota nelle sue opere, che spaziano tra la gente del popolo, tra la Roma del Papa all'inizio dell'Ottocento ...

ER COMMERCIO LIBBERO

Be'? So' pputtana, venno la mi' pelle:
Fo la miggnotta, si, sto ar cancelletto:
Lo pijo in quello largo e in quello stretto:
C'è gnent'antro da dì? Che cose belle!

Ma ce sò stat'io puro, sor cazzetto,
Zitella com'e tutte le zitelle;
E mo nun c'è chi avanzi bajocchelle
Su la lana e la paja der mi' letto.

Sai de che me laggn'io? No der mestiere
Che ssarìa bell'e bono, e quanno butta
Nun pò ttrovasse ar monno antro piacere.

Ma de ste dame che stanno anniscoste
Me laggno, che, vedenno quanto frutta
Lo scortico, ciarrubbeno le poste. 

***

LA CREAZZIONE DER MONNO

L'anno che Gesucristo impastò er monno,
Ché pe impastallo già c'era la pasta,
Verde lo vorze fà, grosso e ritonno,
All'uso d'un cocommero de tasta.

Fece un zole, una luna e un mappamonno,
Ma de le stelle poi dì una catasta:
Su ucelli, bestie immezzo, e pesci in fonno:
Piantò le piante, e doppo disse: "Abbasta".

Me scordavo de dì che creò l'omo,
E coll'omo la donna, Adamo e Eva;
E je proibbì de nun toccaje un pomo.

Ma appena che a maggnà l'ebbe viduti,
Strillò per dio con quanta voce aveva:
"Ommini da vienì, sete futtuti".

 

Cesare Pascarella

Nato a Roma nel 1858, fu dopo Belli, uno dei massimi esponenti della poesia dialettale romana.  Pascarella morì nella sua città nel 1940, e a un anno dalla sua scomparsa fu pubblicata una raccolta di 247 sonetti.

ER TERNO

Ecco er fatto. Lo prese drent’al letto,
dove stava in campagna in un casino;
je sigillò la bocca còr cuscino,
e j’ammollò ‘na cortellata in petto.

Dunque, ferita all’undici; ce metto 
uno, er giorno; quarantatré, assassino:
vado giù da Venanzio er botteghino
ar Popolo e ce butto un pavoletto.

A l’estrazione, sabeto passato,
ce viè l’ambo; ma invece de ferita 
m’esce settantadue: morto ammazzato.

Ma guarda tante vorte er Pedreterno 
come dà la fortuna ne la vita!
Si l’ammazzava ce pijavo er terno.

 

Joyce Lussu

La scrittrice cagliaritana morta nel 1998, ha dedicata questa poesia a tutti i bambini morti sotto il nazismo, una specie di ballata con toni leggeri ma che usa termini crudi, una poesia ispirata dalla rabbia scaturita dalla visione di alcune scene, pagine orrende e indimenticabili della storia del mondo, una poesia triste, chiara di lettura ma profondamente scura, amara. E' l'anima che parla, l'anima di chi conosce la sofferenza.

C'E' UN PAIO DI SCARPETTE ROSSE

C'è un paio di scarpette rosse
numero ventiquattro
quasi nuove:
sulla suola interna si vede ancora la marca di fabbrica
<<Schulze Monaco>>

c'è un paio di scarpette rosse
in cima a un mucchio di scarpette infantili
a Buchenwald
più in là c'è un mucchio di riccioli biondi
di ciocche nere e castane
a Buchenwald

servivano a far coperte per soldati
non si sprecava nulla
e i bimbi li spogliavano e li radevano
prima di spingerli nelle camere a gas
c'è un paio di scarpette rosse per la domenica
a Buchenwald

erano di un bambino di tre anni e mezzo
chi sa di che colore erano gli occhi
bruciati nei forni
ma il suo pianto lo possiamo immaginare
si sa come piangono i bambini
anche i suoi piedini
li possiamo immaginare
scarpa numero ventiquattro
per l'eternità
perchè i piedini dei bambini morti non crescono

c'è un paio di scarpette rosse
a Buchenwald
quasi nuove
perchè i piedini dei bambini morti
non consumano le suole.

 

Massimo Troisi

Massimo Troisi, nato a San Giorgio a Cremano (Napoli) nel 1953, è uno degli attori napoletani più famosi nel mondo insieme con Totò e i fratelli De Filippo. Oltre ad essere interprete di 13 film, Troisi ha dimostrato un altro volto della sua arte, la poesia. A lato vediamo proposta una famosa composizione, che musicata da Pino Daniele divenne una canzone, e sotto una poesia "inedita", custodita negli anni dall'amico e collega di Massimo, l'attore Enzo Decaro, che come lui e con lui ha mosso i primi passi nel mondo dello spettacolo con il gruppo comico "La smorfia", presenza fissa dei programmi televisivi della Rai di fine anni settanta e inizio anni ottanta. Il primo film fu "Ricomincio da tre" (diretto dallo stesso Troisi), l'ultimo invece "Il postino", uscito dopo la scomparsa di Massimo, che vinse un premio Oscar. Troisi interpretava "il postino" e Philippe Noiret interpretava il poeta Pablo Neruda.

'O "SSAJE COMME FA 'O CORE

Tu stive 'nzieme a n'ato
je te guardaje
e primma 'e da' 'o tiempo all'uocchie
pe' s'annammura'
già s'era fatt' annanze 'o core.
"A me, a me" ...
'o "ssaje comme fa 'o core
quann' s'è 'nnamurato ...

Tu stive 'nzieme a me
je te guardavo e me dicevo ...
comme sarrà succiesso ca è fernuto
ma je nun m'arrenno
ce voglio pruva'.

Po' se facette annanze 'o core e me ricette:
tu vuo' pruvà? E pruova, 
je me ne vaco ...
'o "ssaje comme fa 'o core
quanno s'è sbagliato

***

ANCHE IL RIMPIANTO

Io sciupai il tuo candido seno di giovane madre, di donna piacente
Rubai allo specchio la tua bellezza
E nelle tue mani sempre più vecchie, fotografie. 
I discorsi di mio padre li ho imparati a memoria. 
Fosse per lui crederei ancora ai libri di storia. 
Con te devo rincontrarmi in un fiume nero
E tra fiori e marmi ritorna il rimpianto.
La guerra ti tolse dalle labbra il sorriso
Io cancellai anche quel po' di rossetto.
Ti vedevo gigante, poi un rivolo di saliva all' angolo della bocca. 
E ti vidi bambina, ti vidi morire e tra fiori e marmi
Tra un pugno e un bacio, tra la strada e il mio portone
Tra un ricordo e un giorno nero
Torna e vive anche il rimpianto.

 

Carlo Porta

Poeta milanese vissuto nella seconda metà del settecento, è stato uno dei massimi esponenti della poesia dialettale. 

QUNAND VEDESSEV ON PUBBLEGH FUNZIONARI

Qunad vedessev on pubblegh funzionari
A scialalla coj fiocch senza vergogna,
disii pur che l’è segn ch’oltra el salari
el spend lu del fatt so quell che besogna.

Quand sevessev del franch che all’incontrari
Nol gh’ha del so che i ball ch’el ne bologna,
allora senza nanch vess temerari
disii ch’el gratta, senza avegh la rogna.

Quand intrattant ch’el gratta allegrament
Vedessev che i soue capp riden e tasen,
disii pur che l’è segn che san nient.

Ma quand poeù ve sentissev quaj ribrezz
Perché a dì che san nient l’è on dagh dell’asen,
giustamela e disii che fan a mezz.

 

Paolo Driussi

Paolo Driussi, carissimo amico di Ottavio (quasi un padre), ha scritto questa poesia e l' ha regalata al mondo nel marzo 1990. 

NON E’ QUESTO CHE CONTA

Il vento soffiava leggero tra i cespi della lavanda.
Mi piaceva trovarti là al crepuscolo,
con quell’aria che arrivava da paesi, da mondi lontani.
La mano dalle dita corte e le unghie rosicchiate
aveva una grazia ritrosa e come segreta.
Era abbandonata, ma stringeva anche un poco,
e il sottile calore che emanava da essa
era un’ultima dedizione silenziosa,
Provavo une delusione anticipata,
una stanchezza rispetto alla vita.
Non era la paura di una violenza,
ma piuttosto il senso di una decadenza inarrestabile,
fatale.
E la certezza di adesso
non è nemmeno un conforto
per la mia incomprensione di allora.

 

Guido Gallozzi

Nato a Roma nel 1943, ha iniziato a scrivere, in lingua e in dialetto romanesco, in giovanissima età. 
Pur avendo pubblicato su numerosi giornali e riviste non è mai stato seriamente interessato alla pubblicazione di libri. 
La sua collaborazione più importante è stata quella con il glorioso "Rugantino", giornale satirico romano che purtroppo ha smesso la pubblicazione dopo il drammatico incidente aereo che ha decimato il gruppo di Poeti che formavano la redazione.
La sua poesia in lingua, che non si presta ad una facile lettura, esce dagli schemi più noti per proporre un modello che più che guardare al significato delle parole tende a valorizzare gli accostamenti, anche arditi, di significati apparentemente discordanti, in versi liberi o con un uso della rima assolutamente imprevedibile ed armoniosamente atipico.

IDILLIO # 1

Come a quel tavolo da poker
quando le quattro regine 
contarono meno dell'ignobile sequenza a colore 
battezzata nel sangue di Dio

quando fuori il freddo chirurgo
sezionava la notte in una moltitudine di prismi incandescenti
incastonati nei bottoni della divisa 
degli addetti alla sorveglianza

e per la prima volta
dal tempo che le pietre rubarono il fuoco alle stelle 
ho avvertito il calore delle tue braccia 
sciogliere la corazza di ghisa dei giorni incolonnati.

***

PRIMO MAGGIO

Forza Compagni!, che ddomani è Mmaggio:
damojje sotto a ffava e ppecorino!...
Riconzolàmose co' 'st'ajjettino
distesi sott'a 'n pino o sott'a 'n faggio!

E ssi 'n ciabbàsta er pane cor formaggio
potémo sempre dajje sotto a vvino:
armeno se scordàmo ‘m momentino
che oggi pe' ccampà cce vo' ccoraggio!...

Ce vo' 'n fegato come 'na pagnotta
pe' sopportasse tutti 'sti garganti,
bruttissimi fijjacci de mignotta,

che vònno rompe 'r culo a ttutti quanti!
Perciò, dàmojje ggiù: pane e ccaciotta
e trovàmo la forza p'annà avanti... 

 

Claudio Monteverdi

PIANTO DELLA MADONNA

Iam moriar, mi fili.
Iam moriar, mi fili.
Quis nam poterit
matrem consolari
in hoc fero dolore,
in hoc tam duro tormento?
Iam moriar, mi fili.
Iam moriar, mi fili.

 

Italo Svevo

Di Italo Svevo si presenta la commedia in 4 atti "Il ladro in casa". Proponiamo il testo integrale dell'opera. Clicca sotto per visualizzare tutto il testo della commedia :

IL LADRO IN CASA

L'autore nacque a Trieste nel 1861 e morì a Motta di Livenza (Treviso) nel 1928. Italo Svevo è lo pseudonimo di Ettore Shmitz. Il suo grande capolavoro è stato "La coscienza di Zeno" .

 

Ferdinando Russo

Particolare attenzione in questa sezione va al grande poeta napoletano Ferdinando Russo, autore anche di celebri canzoni di successo come "Scetate" (Si duorme o si nun duorme bella mia ... siente 'pe 'nu mumento chesta voce, chi te vò "bbene assaje stà "mmiezzo 'a via, 'pe te cantà 'na canzuncella doce, ma staje durmenno nun te sì scetata, sti fenestelle nun se vonno aprì) e "Quanno tramonta 'o sole".

Ferdinando Russo nacque a Napoli il 25 novembre 1866 (da Gennaro  Russo, ufficiale del dazioconsumo e da Cecilia De Blasio). Abbandonò a metà gli studi per la passione giornalistica, infatti entrò giovanissimo alla Gazzetta di Napoli come "correttore di bozze". Lavorò inoltre anche a "Il Mattino", al "Pungolo" e "Il mezzogiorno". Come Di Giacomo prese ispirazione dalla realtà della strada, anche se gli esiti furono sicuramente diversi: Russo non trasfigura l'elemento popolare ma lo utilizza in chiave realistica, per evocare dal profondo l'anima sonora, i sentimenti e le vicende sociali e politiche del suo popolo.

Nel 1882, Ferdinando, repubblicano convinto ed acceso, con un gruppo di studenti fu arrestato per alcune manifestazioni provocatorie in piazza contro il re. Perchè poi nell'età matura non perdesse mai l'occasione per lanciare attraverso le sue poesie un borbonico grido di rivolta contro il "Sessanta", l'anno in cui Garibaldi era entrato a Napoli, non lo si può spiegare con precisione.

Nel 1886, racimolando una piccola somma di denaro con gli amici, potè fondare IL PROMETEO, un periodico letterario che ebbe brevissima vita. La notorietà arrivò nel 1895, col poemetto 'O Cantastorie . In esso Ferdinando Russo disegnò la figura del sedicente professore che, nelle piazze o negli angoli delle strade faceva rivivere le imprese di Orlando e di Rinaldo: i popolani, sono impazienti di conoscere le nuove gesta dei paladini, incalzano di domande il narratore, lo mettono in imbarazzo con quesiti difficili e con richieste di particolari e si indignano contro i saraceni e contro il traditore Gano di Maganza. Questo poemetto portò fortuna a Russo e valse a fargli conquistare saldi posizioni nel giornalismo, posizioni che non perse nemmeno quando, anni più tardi, riuscì a procurarsi un tranquillo posto di ispettore presso il Museo Nazionale. E come giornalista Russo fu, in un certo senso, il precursore del moderno "servizio" basato sulle esperienze e sulle testimonianze dirette. Frequentò infatti gli strati più bassi della popolazione e non esitò a infiltrarsi nella "camorra napoletana" per meglio descriverne le usanze. I versi di Gente 'e malavita e di Scugnizze entrambi del 1897, e le narrazioni contenute nei volumi Le memorie di un ladro e Usi e costumi della camorra entrambi del 1907, saranno il risultato di queste pazienti indagini.

 Nel mondo della canzone, Russo, ebbe notorietà soprattutto come creatore della "macchietta", cioè della caricatura poetico - musicale di tipi caratteristici e di personaggi curiosi. La prima macchietta che lanciò fu L'elegante , musicata da Vincenzo Valente (1855 - 1921), un compositore originario di Conegliano Calabro ma perfettamente ambientatosi a Napoli di cui sapeva cogliere tutti i sentimenti e tutte le emotività. Di queste macchiette che l'attore e cantante Nicola Maldacea rese famose in tutta Italia e in mezza Europa, Ferdinando Russo ne scrisse quasi un centinaio, tra queste si ricordano: Il cicerone - Pozzo fà 'o prevete - Il madro - Il sedicente superstite - 'O cucchiere 'e cuppè - 'O malandrino. 

Tra le poesie più famose di Russo troviamo : Sant' Antonio - Manella mia - 'A partenza - 'O pallone - Cunfidenze - 'O guardaporta - 'E fattarielle - San Crispino - Luvisella - 'A Madonna d'e mandarine - 'E sfugliatelle - 'O svenimento - 'O cusetore - Ammore 'ncampagna.

Un verso dolcissimo che proponiamo tratto da "Quanno tramonta 'o sole" : Viene addu me ! Cuntèntame 'stu core ch'a tanto tiempo penza, aspetta e spera. Levame 'e pietto 'sta fattura nera pecchè te chiamme cu nu vero ammore! Te veco 'cu na rosa 'int' e capille vicino a me ! Me pare 'e darte vase a mille a mille sempre sunnanno 'e te ! Sièntelo, oi bella, 'o suono 'e sti "pparole ! Vieni addu me, quanno tramonta 'o sole!

Ferdinando Russo morì sessantunenne a Napoli il 30 gennaio 1927. Pochi sanno che Russo fu anche un assiduo frequentatore di casa Murolo (di papà Ernesto e del figlio Roberto).

'O SALUTO

'Nce ne jammo. E 'nfaccia 'a porta
veco tanto n'avuciello,
gruosso quant'a 'nu cavallo
e cu 'e scelle 'e cestariello.

- Saglie 'n'groppa, statte attiento,
e va scrive "bboni "ccose,
me dicette Santu Pietro;
e che siano rispettose !

Nun fè diebbete, va chiano,
e rispetta 'e Sacramente;
fatte sempe 'e fatte tuio,
e n'avè paura 'e niente !

Chi cammina p"o "dderitto
nun pò mai 'ntruppechià !
Chisto è frateto che parla !
che te pozzo aggevulà ?

- Santu Piè ... 'na grazia voglio ...
- Va dicenno, figlio mio ...
- 'O cerviello e 'a "bbona sciorta ...
- E va "bbuò, lassa fà a Dio !

E stennennome 'na mano
me dicette : - Aferra 'a "bbriglia !
Tiene forte, e buon viaggio !
Tanti ossequii alla famiglia !


***

PAROLA D'AMMORE

Io mo nun saccio addò v'aggia 'ncuntrata !
Me parite 'na faccia cunusciuta ...
O puramente n'aggia visto a n'ata ?
O fosse 'mpressione c'aggia avuta ?
Cierti "vvote ... n'antica "nnammurata ...
'na scasualità ca v'è venuta ...
ca, traffecanno pe' 'na stessa strada,
uno se 'ncontra sempe, e pò saluta ...

Nun è accussì ca v'aggio salutata ?
Che "ssà ? ... Nun ve vedevo 'a tantu tiempe ! ...
O fosse stato suonno int'a nuttata,
c0uno se sonnoi ca c'ha vista sempe ?
Io nun v'o "ssaccio dì ! 'Na mossa, è stata !
chest'è "ccerto ! Accussì spuntània e schietta,
ca nun vulenno 'a mana s'è truvata
a fà 'sta scappellata cu 'a paglietta ! ...

Ve cerco scusa! ... Vui nun me sapite
E' troppo "ggiusto ! ... E ve meravigliate ...
Ma il saluto è degli Angeli, vedite ...
e 'a n'angiulella vui rassumigliate ...
Penzate 'ca sò spinto ? ... V'arrussite !? ...
Ma è 'stu core 'ca parla! E ... me credite ?
Quanno parla 'cu vuje, nun penza all'ate ...

***

'DDOJE SORE

Sò "dduje sciurille nate a primmavera :
una Maria se chiamma e l'auta Rosa.
Rusella è ghionna, Mariuccia è nera,
pò comm'è Mariuccia accussì è Rosa.

Nè sul'e cuorpo sò d'una manera
ch'hanno uno gusto, Mariuccia e Rosa :
si Rosa canta, Mariuccia è allera,
si chiagne Mariuccia, chiagne Rosa.

'A casa "lloro è comm'a 'nu rilorgio,
"ll'ora assignata ogne facenna aspetta,
avarizia nun c'è, nun se fa sforgio.

E faticano sempe ... 'e "ppuverelle !
"Llà se cose, se stira, s'arricetta,
e fanno 'nculo 'pè restà zetelle ...

***

'E SFUGLIATELLE

N'ata volta 'n'Paraviso
era 'o tiempo de li "rrose
e 'nce n'erano a migliare
'ncrispatelle e addurose,

succedette 'nu revuoto
dint'a "ll'ora d'a cuntrora,
e San Pietro, che durmeva
se susette e ascette fora.

Fora 'o "ffrisco 'e nu limone,
San Francisco se sbrucava,
ca vuleva fà capace
a San Ciro c'alluccava.

- Tu che vuà ? Songo d'e "ttoje ?
Ma guardate c'ata cosa !
Mò a 'nu santo n'è permesso
"cchiù de cogliere 'na rosa !

San Francisco rispunneva :
- Ciro mio, te sto preganno !
Songo 'o santo 'e tutte 'e sciure!
e sti "ccose tutt'e "ssanno !

Posa 'a rosa, t'aggio ditto
e sarrà meglio 'pe "ttè !
- Ma sta scritto a quacche parte?
- Accussù piace a me !

- Ma guardate ! Se fa forte
pecchè è frate a Gesù Cristo !
- Mò te sono 'na carocchia !
- Tu si 'o primmo cammurristo !

Pe 'sti strille, pe st'allucche,
Santo Pietro se scetaje.
- Che "mmalora ! St'ammuina
a chest'ora ! E quanno maje !?

Pace, pace, amice mieje !
Sante se sante, nun sta bene ! ...
Site surde ? E datavelle,
"ccà nisciuno ve mantene !

Sulamente, Ciccio mio,
t'aggia dì chello ched'è !
'Sta mancanza è grossa assaje
e me meraviglio 'e te !

Tu ca 'e fatto chella vita,
mo 'nce vò, sempe tentato
da 'o diavolo curnuto
ca vulea farte dannato !

Tu c'attuorno 'pe lu munno
sì curruto predecanno
'a crianza, 'a fratellanza,
'a pacienza, e raggiunanno

"mmiezzo 'a folla "cchiù "fferoce
e "chiù pazza, sì passato,
sempe a nomme d'o Signore,
perdunanno e turmentato;

mò tu pure tiene 'e nierve!
Pure a "tte 'a nevrasteria,
guaio niro 'e tutto 'o munno ?
Cicciarièee! ... Madonna mia !

E, vutanne 'e spalle, steva
quase pe se ne turnà,
quanne Dio da copp'a loggia
s'appennete p'o chiammà.

Guardapò, dì a chisti "dduje
ca 'a cuntrora nun s'allucca !
Mo aggia avuto 'na canesta
m'ha mannata 'a Croce 'e Lucca !

Songo cierte sfugliatelle,
quann'è ogge ca 'e spartimmo,
dì 'a 'sti guappe, 'a parta mia,
'ca "ccà guappe 'un ne vulimmo !

 

Vincenzo Buonomo

VISITA LA GALLERIA CON GLI SCRITTI ORIGINALI :

Galleria

VISITA LA SEZIONE CON LO SCRITTO ORIGINALE DELLA POESIA/CANZONE QUI A LATO :

Mamma verrò

* * * * * * *

Vincenzo Buonomo nacque a Napoli il 16 novembre 1916. Giovanissimo, allo scoccare della seconda guerra mondiale, fu richiamato sotto le armi e si arruolò in marina, divenendo capocannoniere. Negli ultimi anni della sua vita, servì la patria combattendo sulle navi. Grandi battaglie ci furono nel Golfo di Napoli e nel Golfo di Taranto dove il 22 settembre 1943, alle ore 13.50 (appena ventisettenne) morì dopo lo scoppio della nave che lo avrebbe riportato al suo paese natio, Napoli per l'appunto. Sotto le armi Buonomo, scrisse poesie e trascriveva i motivi in voga in quel tempo, per farli cantare ai militari, molti furono i canti di guerra, trascritti e creati per l'occasione che andarono persi la sera del 22 settembre 1943. 

Tutte le opere, trascritte o ideate dal capocannoniere Vincenzo Buonomo sono custodite gelosamente dal nipote Ottavio, che ha proposto al sito 5 scritti originali.

MAMMA VERRO'

(musica di Bixio - versi di Vincenzo Buonomo)

Ispirandosi al celebre motivo di Bixio, l'allora mitragliere Vinzenzo Buonomo, scrisse questi versi sul motivo della canzone, cambiandone le parole.


Mamma mi scrisse verrai
scrissi a Settembre verrò
già tante cose sognai
e poi il turno saltò :
mamma mi disse verrai
servo la patria ancor.

Mamma
verrò in licenza il mese di Gennaio
mamma
non piango perchè sono un marinaio
quanto ti voglio bene
sono per me queste pene
e tutto è una catena
che m'incatena di più.
Mamma
la lontananza è brutta sai perchè
c' ho una speranza
passano i giorni come il vento per me.

Mamma stanotte ho sognato
che stavo a casa con te
la fronte tu mi hai baciato
ed è un sogno per me
mamma stanotte ho sognato
questa bugia non è.

Mamma
verrò in licenza il mese di Gennaio
mamma
non piango perchè sono un marinaio
quanto ti voglio bene
sono per me queste pene
e tutto è una catena
che m'incatena di più.
Mamma
la lontananza è brutta sai perchè
c' ho una speranza
passano i giorni come il vento per me.

Sono di guardia stasera
canto e sospiro per te
anch'io fo la preghiera
prego soltanto per te
sono di guardia stasera
sono felice perchè ...

Mamma
verrò in licenza il mese di Gennaio
mamma
non piango perchè sono un marinaio
quanto ti voglio bene
sono per me queste pene
e tutto è una catena
che m'incatena di più.
Mamma
la lontananza è brutta sai perchè
c' ho una speranza
passano i giorni come il vento per me.

MITRAGLIERE BUONOMO ENZO.
Difesa M. M. 1° Reparto - San Paolo (Taranto)

 

Gigi Proietti

Gigi Proietti nasce a Roma il 2 novembre 1940, secondogenito di Romano e Giovanna.

Giovanissimo comincia a recitare, basta pensare che il suo debutto sul grande schermo arriverà a soli quindici anni nel 1955. Nella sua carriera, Proietti, si è cimentato tra teatro, cinema, dischi e televisione, ha scritto sonetti e canzoni.

IL CINEMA DI GIGI PROIETTI  

Proietti ha girato quasi 40 film (tra questi ricordiamo "Meo patacca" - "Le piacevoli notti" - "Brancaleone alle crociate" accanto a Vittorio Gassman e Paolo Villaggio - "Febbre da cavallo" , un vero cult del cinema italiano, un film in cui ha recitato con Enrico Montesano e Mario Carotenuto - "Panni sporchi" accanto a Michele Placido, Gianni Morandi e Ornella Muti - "Di padre in figlio" ultima occasione cinematografica per lavorare con Gassman - "La Tosca" per la regia di Luigi Magni, lavorando con Monica Vitti, Alvaro Vitali e ancora con Vittorio Gassman - "La mortadella" dove interpreta il personaggio di Michele Bruni, accanto alla grande Sophia Loren- "Dropout" dove interpreta il ruolo del cieco, per la regia di Tinto Brass...

IL TEATRO E LA TELEVISIONE

Quando si ricorda il teatro di Proietti si ricordano i vari allestimenti di "A me gli occhi" ... ma Proietti ha lavorato, più in teatro che al cinema e in televisione, tra i suoi spettacoli ricordiamo in ordine cronologico : Gli uccelli - Il mercante di Venezia - Le mammelle di Tiresia - La celestina - Alleluja brava gente - La cena delle beffe - Commedia di Gaetanaccio -  Caro Petrolini - Cyrano di Bergerac - Liolà - I 7 re di Roma - Prove per un recital - Io, Toto e gli altri....

In televisione, lo ricordiamo per fortunate serie, una su tutte "Il Maresciallo Rocca", e un'altra dove si affrontava il difficile tema del razzismo "Un nero per casa".  Si ricordano inoltre "Fregoli" (legato alla figura del trasformista Leopoldo Fregoli), "La fantastica storia di Don Chisciotte della Mancia" dove interpreta il ruolo di Don Chisciotte e "Il circolo Pickwick" dove interpreta Alfred Jingle.

Inoltre, ha lavorato anche nel mondo della canzone, ha partecipato al Festival di Sanremo e ha scritto varie canzoni e sonetti. Tra le canzoni più famose si ricordano "Nun m'e rompe 'er cà", "Er tranquillante nostro", "Questo amore" e "La vita è n'osteria". 

Al lato sono stati proposti 5 sonetti, 3 dei quali dedicati a grandi artisti, che sono stati amici e compagni di lavoro dell'attore romano. Il primo è un affezionato omaggio ad Alberto Sordi: Gigi recitò questo sonetto il 27 febbraio 2003, giorno dei funerali di Sordi. Altri affettuosi omaggi sono dedicati al grande attore e caratterista romano Paolo Panelli e al suo compagno di lavoro più affezionato, l'immortale attore e regista Vittorio Gassman.

ER TEATRO

Viva er teatro, dove ètutto finto
ma gnente c'è de farzo, e questo è vero.
E ttu lo sai da prima, si ss'è ttinto Otello,
oppure è nero ...

Nessun attore vero vô ffa' ccrede,
spignenno forte su l'intonazzione,
che è ttutto vero quello che sse vede
lui vole fa' vedè ch'è 'na finzione.

Si je tocca morì sopra le scene
è vero che nun more veramente
sennò che, morirebbe così bbene?

Capiscilo da te, famme er piacere:
si morisse definitivamente
nun potrebbe morì tutte le sere!

***

AD ALBERTO

Io so' sicuro che nun sei arivato 
ancora da San Pietro in ginocchione;
a mezza strada te sarai fermato
a guardà 'sta fiumana de perzone.

Te rendi conto si cch'hai combinato?
Questo è amore sincero, è commozzione,
rimprovero perchè te ne sei annato,
rispetto vero: tutto pe' Albertone.

Starai dicenno: "Ma che state a ffà?
Ve vedo tutti tristi, ner dolore".
E ciai raggione! Tutta la città

sbrilluccica de lagrime e ricordi!
Chè tu nun sei sortanto un granne attore,
tu ssei tanto de ppiù: sei Alberto Sordi ... !

***

IN MORTE DI PAOLO PANELLI

Era stonato Paolo, me ricordo; 
e tutti ce ridevano, per cui
era difficile formà 'n'accordo
quanno ner coro c'era pure lui.

Ma nun era da coro, era 'n'solista!
E me sò sempre chiesto come fa,
e ce riesce solo chi è 'n artista
a trasformà 'n difetto in qualità.

Oggi lo benedico quer difetto,
che me consente, mentre n'addoloro,
de dedicaje l'urtimo sonetto.

Paolo nun ce sta più. Giuro su Dio
manca quarcuno che non sta ner coro,
e me sento stonato pure io.

***

GUARDANDO VITTORIO CHE DORME

Vittò, che brutto scherzo che c'hai fatto! 
Ma che se fa così? Senza di' gnente?
Te ne sei annato zitto, quatto quatto,
e m'hai fregato, insieme a tanta gente!

Ma famme un po' capì: che gnente gnente
è tutta 'na finzione? Nun fa' er matto!
Nun è che stai a dormì serenamente,
poi t'arisveji e zompi come'un gatto?

Arzate, su, la recita è finita.
Vatte a cambià, ch'annamo ar ristorante;
semo attori, lo famo da 'na vita...

Lì, cor bicchiere, strilleremo forte
- rompendo li cojoni a chi è presente -
ch'ha da morì quella bojaccia Morte !

***

'NA MANO SANTA

Me gratto dappertutto, c'ho la rogna 
e l'emicragna me se porta via.
Tossisco e sfiato come 'na zampogna:
vòi vede' che se tratta d'allergia?

A vorte, poi, me gira la capoccia
e si lo dico a te, tu nun ce credi...
perchè, si te ricordi, ero 'na roccia.
Come po' esse che nun sto più in piedi?

<<E' lo stresse che fa 'sto brutto scherzo>>,
disse un coatto co' la voce affranta,
<<e quanno stai così te senti perzo>>.

E' tutta corpa, fijo, de 'sto consumismo...
Io c'ho un rimedio ch'è na mano santa:
hai provato a curatte cor buddismo?

 

(ATTENDERE IL CARICAMENTO DELLA PAGINA PER VISUALIZZARE TUTTE LE FOTO DI QUESTA ANTOLOGIA)

 

INDIETRO