La violenza "mediatica", dall'Italia al resto del mondo che non voglio sapere quando finirà...

 

Non so più se il mio paese è fatto di tanti colori. Preso dall’alto sembra solo un insieme di quadrati, preso da vicino, sembra una campagna senza verde, con campi ancora da arare sui quali hanno costruito muri altissimi che aiutano ad ammazzare la comunicazione verbale, il senso dell’ironia. Sono spariti anche i luoghi comuni che ci venivano in soccorso quando non sapevamo che dire. Era qualunquismo, è vero, ma era comunque un approccio verso la civiltà. Si dirà borghese, si dirà semplice. Ma sicuramente, un po’ di tempo fa, la gente riusciva a parlarsi, riusciva a concepire dei capolavori perché l’idea era frutto di vari pensieri che si incrociavano. Mi accorgo che oggi la gente non ha tanto bisogno di pensare. Tutti hanno “altro a cui pensare” e non pensano a niente. Come dire: cucinare per star digiuni. Tremenda, bruttissima, squallida e povera visione.
La gente ha paura delle opere d’arte. Il trionfo della banalità ci sta coinvolgendo fino a renderci tante pedine che si muovono perchè in televisione c’è la pubblicità.
Non vorrei passare per quello che si lamenta. Mi sono lamentato già tante volte che non so più di cosa lamentarmi. Che i prezzi aumentano, lo sanno tutti. Che il paese ormai è vittima dell’ignoranza, lo sanno tutti. Mi pare però, che nelle scuole, qualcosa sta cambiando. Spero non si mettano in mezzo persone che con la scuola non hanno niente a che vedere. Queste piccole rivoluzioni ci vogliono perché ci aiutano a capire che il paese è vivo, va avanti. La prima rivoluzione però deve venire da chi subisce, non da chi fa subire. Se una legge è sbagliata, contestiamola. Se ci fa male la testa, diciamolo in giro, insieme si arriverà alla conoscenza di un medicinale che ci fa star bene. Parliamo sempre. Facciamo vedere che siamo un paese che vuole sapere, che vuole competere, che non si accontenta solo delle parole. Facciamo vedere che il Sud non è la pattumiera d’Italia. Non lo è mai stato. Ci sarebbe una storia molto lunga da raccontare, ma non è né tempo, né luogo. Facciamo vedere, popolo fratello mio, che l’inno nazionale ha una sua importanza. Non emuliamo figure volgari che fanno si che ci ridono addosso perché siamo diventati la barzelletta del mondo. Un mondo sempre più perso nello spazio, ma non finito. E sulla fine del mondo ci sarebbe una bella lezione. Direi agli scienziati ed a tutti coloro che ci ricordano che il mondo finirà e magari (ma come fanno?) ci danno anche una data, che sono loro a volere una vera fine. Se il mondo finirà, non ce lo fate sapere. Non lo vogliamo sapere. Con tutte queste notizie allarmanti non si fa altro che penetrare nella testa di molti uomini e avviare un processo di violenza psicologica. Ho letto che una ragazza di sedici anni, negli Stati Uniti, ossessionata dalle continue parole di scienziati o chi per loro, che ogni giorno davano notizie su questa fine del mondo, si è suicidata. Capite? Una ragazza, per paura di vedere la fine del mondo, ha preferito vedere la sua fine, scelta in un momento in cui la mente, non era più capace di pensare. Non prostituiamoci alla violenza di molte notizie che ci arrivano dalla televisione. I telegiornali dicono quello che arriva in redazione, e la colpa non è dei giornalisti. Le notizie arrivano perché ci sono fatti che accadono. I giornalisti, caso mai, hanno altre colpe, quelle di modificare la realtà. Non tutti. Così come non tutti si sono arresi al voler dire la propria...

 

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