Notizie nuove sul "Messaggero Veneto" ?!

 

Certi giorni si sta bene, certi altri male. E come sempre ogni volta che accetti di tagliare i ponti col passato, questo viene a bussare alla tua porta e torna a far male.
Magari sotto altre vesti, ma fa comunque male.
Fa male perché il presente sembra la copia, forse brutta, del passato. E' per questo che ripeto ad Ottavio che non si deve mai tentare di ripetere esperienze già vissute.

 

Ottavio nella casa di Paolo


E quando ami qualcuno è sempre difficile lasciarlo andar via.
Perché è come se quella persona si portasse via con sé un po’ di noi.
Sembra che si porti via le nostre qualità migliori.
Le nostre metà mancanti si portano via un po’ della nostra forza, un po’ della nostra allegria, un po’ dei nostri sorrisi.
E ci lasciano tutta la nostra debolezza e il nostro amore.
Quello ce lo lasciano.
E sta a noi saperlo trasformare in affetto e poi in ricordo.
Sta a noi riappropriarci della nostra forza, della nostra allegria e dei nostri sorrisi.

 

Crocifisso al Castello di Colloredo

 

La sera, mentre io dopo il TG mi trattengo nel soggiorno davanti al televisore per seguire "Affari tuoi", Ottavio nell'ingresso telefona alla sua ragazza. Lei conduce il gioco degli equivoci e forse, per un attimo, crede d'averla fatta franca per l'ennesima volta, certa della sudditanza passiva di lui.

"Ti amo... dimmelo anche tu.." "Ancora una volta" "Io di più" "Ti amo, ti amo, ti amo..."

Poi un bel giorno decidi che certe storie non hanno senso, cerchi di mettere una pietra sopra al passato, cerchi di non pensarci più. E cominci a sperare che ti saprai innamorare di nuovo. Fin quando non arriva l’ennesima delusione. Ed è sempre tutto da rifare…

 

Venzone

 

"Sarà andato tutto a rotoli, ma nessuno ha mai fatto l’amore come noi due. (Tony Musante a Florinda Bolkan in "Anonimo veneziano")

Questo pomeriggio Ottavio ha voluto vedere la videocassetta di "Anonimo veneziano" che ha trovato nell'armadio a muro dove tengo riposti i miei CD.
“Anonimo veneziano” ha fatto fare gli straordinari alle sue ghiandole lacrimali.
 
Il film è tutto un dialogo emozionante, che affida esclusivamente alla bravura degli interpreti e alla loro capacità di comunicare tutte le emozioni contenute nel dramma di una grande storia d'amore, forte e contemporanea. Dietro un testo scarno, totalmente privo di didascalie, si nascondono un Romeo e Giulietta un po' attempati, che si sono innamorati da giovani senza riuscire a trasformare l'amore-passione in un amore più adulto. Il protagonista aveva interrotto la storia, non riuscendo ad accettare le normali conseguenze di una convivenza: l'impossibilita' di mostrare solo la parte migliore di sé, nascondendo i propri difetti. Egli ora sa di dover morire e rivuole accanto a sé la donna della sua vita. La registrazione dei brani di Anonimo veneziano, fatta con un gruppo di giovani musicisti, e' una specie di testamento spirituale, che intende tramandare a suo figlio come ricordo di sé. Amore e morte hanno una parentela stretta con Venezia. 

 

La locandina di "Anonimo veneziano"

 

Ottaviooooooooo! Ma che fai? Piangi? Sono altre le cose nella vita per cui piangere. Tu che sei attore dovresti saperlo. Bravo Musante, brava la Bolkan, ottima la direzione di Enrico Maria Salerno, ma tu lo sai che è una finzione scenica, no? Un giorno un attore è un drogato, il giorno dopo un gigolò, quello dopo un prete e cosi via… Non lo vivono veramente... recitano...

Quando vi commuovete……oh Dio… quando vi commuovete è uno dei momenti più divertenti! Non voglio fare il cinico, anzi, questo significa che gli attori fanno bene il loro lavoro, però è sempre uno spettacolo vedere qualcuno piangere davanti a un film. Così, poco dopo, mentre cenavamo l'ho costretto ad una parodia di "Anonimo veneziano". "Scegli tu la parte che vuoi fare". Ottavio ha scelto il ruolo del musicista.

Io mi sono dovuto prendere quello di lei, che parla ormai con accento ferrarese e nell'attraversare l'atrio della Stazione di Santa Lucia si rompe il tacco della scarpa e si dichiara indisponibile a camminare per Venezia in quelle condizioni. Se proprio ha qualcosa da dirle, gli concede un'ora di tempo, seduti al bar di fronte al Ponte degli Scalzi.

 

Paolo Driussi

 

Tra le altre cose che hanno caratterizzato il mio soggiorno udinese, c'è stata la presentazione del libro "Gli ultimi cavalieri dell' Apocalisse" scritto da Stanislao Nievo, che presentava l'opera alla "Libreria Friuli". Io e Paolo ci andammo. Dopo la conferenza stampa (presieduta dal dottor Giampaolo Carbonetto) sono riuscito a parlare con il grande scrittore, e parlavamo del più e del meno, stava quasi nascendo un progetto insieme sulle "amicizie sconosciute", intanto io e il professore ci siamo scambiati i nostri biglietti da visita. Sulla mia copia del suo libro mi ha fatto gli auguri per quella che sarebbe poi stata l'ultima mia raccolta di poesie "8cento20,6", realizzata proprio nel mio soggiorno friulano. Mi fa piacere sotto ricopiarvi le due introduzioni che aprono alla lettura delle opere in versi, la prima è scritta da Isabelle Iezzi e l'altra è scritta da me, più che altro prefazione, premessa o introduzione che sia è un mini testamento letterario ...

 

Stanislao Nievo

 

Prefazione di ISABELLE IEZZI :

"Leggendo ogni componimento si ha come la sensazione di immergersi nelle emozioni, nelle sensazioni di un'anima tormentata dal dolore; quella malinconia, quella tristezza che ogni componimento cela tra le righe, emerge, se pur con estrema delicatezza, nel componimento finale che suona quasi come un testamento, come un'ultima richiesta alla vita, quella vita che tanto ha preteso e ben poco ha donato.
E' una sorta di lunga lettera d'addio, ogni poesia esprime un particolare sentimento, intenso e profondamente sentito e tutte sono legate tra loro da un unico filo invisibile; ha quasi l'aspetto di una sintesi della vita dell'autore, che pur avendo mille motivi per portarle rancore non è mai riuscito a farlo, ma al contrario l'ha sempre amata d'un amore sconfinato e l'ama ora più che mai poichè sente che tutto gli sta lentamente scivolando tra le dita.
Tra le righe lo si legge quel muto grido di dolore, il desiderio di vivere ancora una vita ricca ed intensa, di essere se stesso senza doversi nascondere all'ombra d'una falsa allegria. Ma alla fine cosa resta? Forse la consapevolezza che malgrado tutto la vita è degna di essere vissuta e che è fondamentale riuscire a cogliere quegli effimeri momenti di felicità che aiutano ad acquistare forza, coraggio, a guardare in faccia la realtà senza temerla e a costruire questa vita passo dopo passo poichè è l'unica che abbiamo e senza di essa siamo niente.
Se la grandezza di un uomo si misura dai suoi sentimenti e dalle sue emozioni questi testi traboccano a tal punto di emozioni che solo un grande uomo può averli scritti.

Isabelle Iezzi (Venezia, 12 dicembre 2004)

(dalla raccolta di poesie "8cento20,6" di Ottavio Buonomo, PAMABU')

 

Ottavio e Stanislao Nievo

 

Introduzione dell'autore alla lettura di "8cento20,6"

Carissimo lettore,

siamo giunti forse alla fine della mia produzione letteraria. Perché l’ultima mi chiederete? Un poeta non smette mai di scrivere lo ferma solo la morte.

Cominciamo col dire che io posso essere tutto (anche un ladro) ma non di certo sono un poeta. Nessuno può definirsi poeta, nessuno può costruire “poesie”, non esiste un vero ed unico significato di poesia, ce ne sono tanti.

Io sono un ragazzo di diciannove anni che da otto si è avvicinato alla scrittura in prosa ed in versi. Questo ragazzo ha imparato a recitare, a cantare, forse non ha imparato a scrivere bene o a parlare sempre con quella dizione stirata al massimo e poco espressiva, ma ha imparato a pensare ed ha capito come vivere ogni giorno, pur sentendosi “diverso” dagli altri. Non ho mai capito da che parte voglio andare, le mie mani che colore hanno e le mie opere quanti significati possono assumere. Me ne sono sempre fregato delle critiche degli altri, specialmente dei “colleghi di penna” o dei “colleghi del teatro”. Mi sono accorto da bambino di essere una persona timida, anche se alcuni non se ne avvedono, visto che per uscire dalla mia realtà e dal mio mondo tanto triste sono costretto spesso a non essere me stesso, ad improvvisare situazioni, personaggi, vicende, storie … a creare ogni giorno una persona diversa da quella che sono. Nonostante il male che da un po’ di anni si è riversato violentemente sul mio cuore, amo tanto la vita.

Ho cominciato ad amare maledettamente la vita quando mi sono accorto che stava per allontanarsi da me. Mi sono avvicinato alla religione cattolica. Mi sono contornato di persone che affermavano e affermano di volermi bene. Una volta sola nella mia vita mi sono anche innamorato, e lo sono ancora, sempre della stessa persona, e lo sarò per sempre. L’amore grande arriva una sola volta nella vita.

Ma dopo tante parole sulla mia vita, sulle mie fissazioni, sulle mie angosce e sulle brutture della mia anima, veniamo a questa nuova raccolta di opere in versi che oserei etichettare come “definitiva e chiusa”. Chiusa perché dà l’impressione di un cassone serrato con un grande catenaccio e che contiene fogli, dediche, bigliettini e fotografie, e definitiva perché è l’ultima raccolta in versi che realizzo, almeno questa è la mia idea nel dicembre 2004, è sempre valida la regola che si può sempre cambiare idea. Ma questo non dipende da me e neanche dal numero o dal tipo di persone che leggeranno questa raccolta.

Queste opere sono state scritte in poco tempo ma non frettolosamente, c’è stato uno strano e veloce susseguirsi di idee che mi hanno spinto a scrivere su un vecchio quaderno di carta riciclata che mi ha regalato il mio amico Paolo. La raccolta è nata quasi tutta in Friuli, tra Udine e provincia. Infatti il titolo indica i chilometri percorsi da Acerra (paesino della provincia di Napoli dove attualmente risiedo) ad Udine. Sono poesie legate tra di loro, non da un unico argomento però, ne sono diversi ma sono correlati tra loro.

 Ottavio Buonomo

 

 

Ristorante "Vitello d'Oro" di Udine

 

Nei 19 giorni che sono stato in Friuli, devo contare anche un 28 novembre trascorso a Venezia, una città che amo, e che mi ha dato dolori, gioie, e addirittura si è rivelata una grande psicologa. Quel 28 novembre non sono stato da solo, ma l' ho trascorso con Isabelle. E' stata "Una giornata particolare", noi due l'abbiamo vissuta come se fossimo i registi di noi stessi, sembrava tutto un film, la scenografa era una fredda Venezia di fine autunno con foglie gialle per le vie e goccioline di umidità che raccoglievano i turisti e i veneziano quando passavano tra ponti e campi. Tutto l' ho descritto in maniera personale in un componimento dal titolo "Scherzi di memoria", in effetti, la memoria allora come ora gioca brutti scherzi, potrei anche non ricordare diciotto anni della mia vita, ma non riesco a capire il perchè, ricordo tutto quello che ho detto e fatto quando sono stato a Venezia quel giorno, del resto quel giorno era il riassunto di un rapporto verace che dura ormai da due anni. Ricordo che ripetevo sempre a Isabelle "E' inutile che noi litighiamo, tanto poi facciamo sempre pace e ci vogliamo bene più di prima" ... e poi ci siamo detti tante di quelle cose ... ma proprio tante ...

 

Ottavio a Grado

 

SCHERZI DI MEMORIA
(Venezia 28 novembre 2004)
Dedicata a Isabelle Iezzi

Scesi alle Undici
alla stazione Santa Lucia,
col mio passo veloce
(mai quanto il tuo)
vidi spuntare dai binari
e dalla folla
un volto che da anni conoscevo;
tu eri li,
ti salutai alzando una mano
e tu mi facesti un sorriso,
poi il solito bacio di rito
e il freddo abbraccio di sempre …
quello del primo impatto.

Camminavamo e tu apprezzavi le mie parole,
ma di più i miei lunghi silenzi,
non conterò mai i nostri sguardi …
erano tanti come i passi che facevamo.
Un pranzo e un brindisi alla fortuna.
Un brindisi segreto,
ognuno pensò all’altro, forse.

Noi, quasi ventenni,
camminavamo a braccetto per San Marco
come vecchi amanti,
ognuno ha preso la propria strada
ma il bene, e forse qualcosa che non c’era
è nato, ed è rimasto in noi violento,
ma ormai le strade sono due e non una.
Ognuno raccontava all’altro
la propria vita con il velo di mistero
e gli intercalari silenziosi
che spezzavano una parola in più
che nessuno dei due avrebbe voluto dire.
A cosa sarebbe servito far nomi,
raccontare come sono andate le cose
come son partite e ritornate …

“Smettila di fare l’antipatico …
… sai che ti voglio bene …
… ma qui c’è un albergo in ogni buco …
… il prossimo ponte ci fermiamo,
meglio quella panchina forse …”

Noi due, seduti,
giocavamo a chi ricordava di meno.
Stavo cominciando a parlarti di noi,
quando cadde da un albero una foglia gialla,
la presi in mano
e capii che era meglio tacere su di noi,
avevamo tra le mani una foglia che stava morendo,
era più importante conservare quell’attimo dolcissimo
che stare a ricordare i nostri errori, le nostre amarezze.

Intanto ti abbandonasti sul mio petto,
e io raccontavo la genesi del mio sentimento,
quasi mi commuovevo e mi sentivo vecchio
e intanto nelle tue mani
una foglia stava morendo.

Ti abbracciai senza malizia, ma
Con una dolcezza in cuore che raramente ho provato,
intanto il silenzio regnava sulle foglie morte
e la laguna era uno specchio opaco
che tentava di riflettere le nostre immagini …
due figure stanche e malate di vita,
che da lì a poco si sarebbero dette
per l’ennesima volta in modo diverso
“ti voglio tanto bene”.

Ti stavo quasi dicendo,
ai treni,
ciò che dalle Undici volevo dirti …
ma quando mi sono accorto
che nei miei occhi maturava una lacrima
pronta a cadere,
ho preferito abbracciarti
nel nostro ultimo silenzio.

(tratta dalla raccolta "8CENTO20, 6", PAMABU', dicembre 2004, © Tutti i diritti riservati)

 

Paolo a Colloredo

 

PER SAPERNE QUALCOSA IN PIU' SU .... COLLOREDO

Si hanno pochi documenti sulla storia del luogo prima della fondazione del castello di Colloredo.
Recenti scavi hanno ipotizzato, in base ad alcuni ritrovamenti di reperti di varia natura, l'esistenza di un precedente insediamento posto sulla sommità del colle di Colloredo.
Sicure e documentate sono invece le origini dei borghi medievali di Caporiacco, Mels e Colloredo ad opera di famiglie nobili del tempo, con l'intervento del Patriarca di Aquileia.
Il terremoto del 1976 ha colpito in modo particolare Colloredo, lesionando gran parte degli edifici monumentali; con interventi di restauro tale patrimonio storico-architettonico sta tornando all'originale bellezza.
Due le ipotesi sull'origine etimologica del nome della località: la prima deriva dalle fratte di avellani (colyleti, da cui appunto Colloredo), che ricoprivano la collina scelta per la costruzione del castello; una seconda ipotesi vuole che Colloredo derivi da Corylus o nocciolo e che il nome Monte Albano sia un ricordo di Albano di Waldsee.

 

Colloredo

 

Quando sono nel caos della mia Napoli, rimpiango la tranquillità che vi era a Colloredo, un paesino con pochi abitanti ma molto simpatico, sembrava di vivere all'interno di un Presepe, persino una locanda sita a Caporiacco, una frazione di Colloredo, sembrava una scena da Presepe, sembrava un'opera vista a San Gregorio Armeno a Napoli ...

 

Colloredo

 

TERZA PARTE