IL DIARIO DI PAOLO

 

Le impressioni che può aver avuto Paolo di Napoli e dei suoi "dintorni celebri", sono sicuramente diverse dalle mie. Disse Belle Grillo che Napoli è allo stesso momento la città più bella e la città più brutta del mondo, e Roberto Murolo in una delle sue ultime incisioni dice "No, nun 'e state a sentere 'e canzone, quanta buscie 'ca diceno 'e canzone". In effetti Napoli ha pregi come difetti, cosa comune a tutte le città del mondo... ma a Napoli però tanti che si credono furbi non lo sono, perchè rendono tutte le cose plateali, soprattutto quelle negativissime, e rare volte quelle belle, quelle buone, quelle che Napoli da sempre offre! I veri Napoletani non sono quelli che sputano sopra la storia di questo Paradiso terrestre, sono quelli che al rosso del semaforo si fermano e vivono di speranze, anche di stenti ma comunque nell'onestà! I veri Napoletani sono quelli che amano Napoli come la propria famiglia... perchè una volta tutti i Napoletani erano una sola famiglia... e mò? Facciamo che Napoli brilli come il suo mare, facciamo si che le canzoni non raccontino più bugie, facciamo che anche i bambini, i giovani, gli artisti, i turisti e la gente d'amore, trovino in Napoli una città-riferimento! Lascio la penna a Paolo con il suo veritiero diario... Un saluto cordiale a tutti, ed in particolare, ai napoletani che amano e si fanno amare!

Ottavio Buonomo

Testi di PAOLO DRIUSSI

 

 

Sabato 14 aprile

 

Ero in piedi già alle quattro. Per la prima volta da quando non c’è il papà, sono andato via da casa chiudendo sia la leva generale del metano che quella dell’acqua. Come quando ci assentavamo per due settimane per andare in villeggiatura al mare. Ho portato al cassonetto un sacchetto di immondizie. E’ bella via Filzi alle cinque e mezza del mattino di un giorno primaverile. Chiusa la porta dell’appartamento con le spranghe, mi sono disposto ad attendere il tassista, che, puntualissimo, è arrivato alle sei e dieci. Ho caricato la mia valigia e la mia borsa a mano nel bagagliaio della sua auto e percorrendo una Udine deserta a bordo della sua vettura, in cinque minuti sono stato accompagnato alla stazione ferroviaria. Poi ho atteso. L’Eurostar Udine- Roma Termini era tirato a lucido, pulitissimo. Più volte gli steward e le hostess sono passati con il carrello dei quotidiani e quello delle bevande. Alle prese con la mia rinite allergica, di tanto in tanto mi soffiavo il naso con gli Scottex e mi sono anche applicato un cerotto per avere una respirazione migliore. A Bologna ho visto salire Andrea Mingardi. Credevo avesse la prenotazione nella mia stessa carrozza, mentre il suo posto era nella terza (io viaggiavo nella quarta carrozza). Sono andato a chiedergli un autografo, spronato più dagli SMS di Ottavio che da un mio desiderio. Mingardi è una persona molto gentile e alla mano. Stava lavorando sul computer portatile ad un suo nuovo romanzo. A Firenze è salito sul mio stesso treno anche Aleandro Baldi, accompagnato da un ragazzo. Giunto a Roma con un quarto d’ora di ritardo, lasciando perdere mio malgrado Andrea Mingardi, col quale mi ero ripromesso di scambiare impressioni e giudizi su “BAU”, mi sono precipitato al binario sette, dove già si trovava il treno per Reggio Calabria. Era un Eurostar anche quello, ma tutt’un’altra cosa rispetto ai treni che vengono dal nord.

Non sono i soliti luoghi comuni nord e sud. Del mio stesso parere era anche il signore che mi stava di fronte. Un uomo ultrasessantenne di Reggio Calabria, che ha parenti a Milano, e spesso si trova a dover fare quasi dodici ore di treno per i suoi spostamenti. Diceva che come arriva un treno alla stazione di Milano Centrale, subito entrano in azione le squadre dei manutentori, coloro che provvedono alla pulizia dei treni, affinché i viaggiatori  che saliranno successivamente trovino tutto in ordine e pulito. Per i treni che partono da Roma e vanno verso il sud non è altrettanto. Il nostro treno non faceva eccezione. C’erano due servizi di cui uno con il cartello “Guasto” e l’altro chiuso. Non so fino a quale carrozza l’uomo abbia dovuto risalire per soddisfare un bisogno corporale. L’altoparlante della nostra carrozza non funzionava e nemmeno tendendo l’orecchio si riusciva a percepire ciò che il capotreno stava dicendo. Meno male che fra Roma Termini e Napoli non ci sono fermate intermedie. E circolava un tale che importunava tutti i viaggiatori, cercando di smerciare dei calzetti. All’orecchio ti sussurrava che era un padre di famiglia, ex carcerato e lo dovevi aiutare. Ovviamente non aveva neanche il biglietto. Che fanno i controllori? Il personale del treno?  Se ci sono i furbi, del nord o del sud, la colpa è di chi li lascia passare. Sui treni del nord non mi sono mai capitati episodi del genere. Se un viaggiatore si accorge di aver omesso di obliterare il biglietto, entra in agitazione, corre subito a giustificarsi con il capotreno, magari si vede pure appioppare una multa  e paga immediatamente. Sugli Eurostar del sud, controllori compiacenti, circolano gli ex carcerati che   non ti danno tregua fino a che non ti hanno estorto dieci o venti euro per appiopparti tre paia di calzetti ed uno di fantasmini.
Guardando dal finestrino sono rimasto scioccato nel vedere lenzuola ed altri indumenti stesi alle finestre ed ai terrazzini di vecchi casamenti popolari che si affacciano sui binari di Napoli Campi Flegrei.

Ho raccolto i miei bagagli e mi sono avvicinato alla porta della carrozza. Mancava poco all’arrivo. In attesa di scendere c’era una giovane coppia. Li sentivo parlottare nel mio dialetto.”Ma siete friulani anche voi?” Roba da non crederci! Erano di Fagagna, un paese a una quindicina di chilometri da Udine.

Il treno è entrato in stazione,. Sul momento non mi ricordavo che la Stazione di Napoli – Piazza Garibaldi è sotterranea. Pensavo si fosse oscurato il cielo per il sopraggiungere di un minaccioso temporale. Poi ho realizzato. Ho chiamato Ottavio al cellulare per comunicargli la mia posizione, ma eccolo arrivare verso di me. Sorridente, vestito con una camicetta bianca e jeans, mi è sembrato cresciuto dopo due anni che non ci vedevamo. L’ho rivisto con piacere, ma sentendoci quasi ogni giorno, era come se non ci fossimo mai lasciati.

 

Primo giorno

 

 

Domenica 15 aprile

La domenica è stata spesa bene. Si comincia a prendere confidenza anche con l’Hotel. Annamaria, la ragazza che fa il turno di notte, è dell’Alta Irpinia, è poliglotta e la trovo molto estroversa ed amabile nelle conversazioni che intesse con me. Enzo, abruzzese di Castel di Sangro, si fa in quattro per consigliarci ristoranti e mezzi pubblici per raggiungere i punti di maggior interesse della città e i dintorni di Napoli.

Stamattina visita veloce al Duomo, l’altare dedicato a San Gennaro e la cripta con le sue reliquie. Poi con un taxi abbiamo raggiunto il Cimitero del Pianto, dove alle dieci e mezza ci sarebbe stata una cerimonia per ricordare il quarantesimo anniversario della scomparsa di Totò. Ottavio ed io, giunti al Cimitero con largo anticipo, abbiamo visitato nel frattempo le piccole cappelle di altri napoletani illustri quali Nino Taranto ed Enrico Caruso.

Ho trovato la cappella di Caruso quasi abbandonata. Dalla sua scomparsa sono passati più di ottantacinque anni, forse ci saranno degli eredi negli Stati Uniti, qualche lontano parente a Napoli, ma pare che ormai solo i “carusiani” tengano alto il suo nome. E se in America esiste un “The Enrico Caruso Museum of America”, a Napoli, sua città natale, un museo dedicato tutto al Grande Tenore ancora non c’è.

Per l’omaggio a Totò erano presenti la figlia Liliana De Curtis ed il Sindaco di Napoli Rosa Russo Jervolino. Dei ragazzi hanno recitato “’A livella” sulla porta della piccola cappella.

Servendoci di un taxi dal cimitero del Pianto ci siamo portati in Piazza del Municipio, sostando per una lemonsoda ad un tavolino all’aperto di un bar all’inizio di Via Medina.  Sullo sfondo, come un pugno in un occhio, il grattacielo del Jolly Hotel. Il Maschio Angioino è imponente. Nella mia mente si era acceso un flash: il ricordo di un mio quaderno di quand’ero alle elementari che in copertina portava una figurina rotonda del Maschio Angioino. Da qualche parte della mia cantina conservo ancora quei vecchi quaderni e chissà quanti ricordano questa cosa magnifica chiamata  “Quaderni delle Regioni d’Italia”. Fabbricati dalla Pigna, ognuno era dedicato ad una differente regione d’Italia: erano tutti di colore diverso a seconda delle regioni, c’erano riportate informazioni sul retro, tipo i capoluoghi di provincia, il numero degli abitanti, i prodotti tipici e così via. Erano proprio belli, peccato che non esistono più. Ci siamo limitati a fotografare il Maschio Angioino dall’esterno e poi ci siamo diretti verso il San Carlo. Successivamente siamo entrati in Galleria. L’ho trovata piuttosto corta. Nella mia mente me la figuravo di dimensioni maggiori. Lì abbiamo sostato per due babà con limoncello. Il cameriere, portando un conto di otto euro, mi chiedeva di dove fossi. Conosciuta la mia provenienza, mi ha detto che allora il conto andava bene per uno del nord. Quelli del sud (ed intendeva i siciliani) generalmente si lamentano dicendo che i prezzi sono troppo cari. Uscendo dalla Galleria ci si è presentata una stazione della Funicolare Centrale, la famosa “Funiculì funiculà” che a me ricordava parecchio quella che si trova a Genova per salire al Righi. Con la funicolare abbiamo raggiunto il Vomero. Le strade erano affollate per il passeggio domenicale ed il sole dava una brillantezza particolare a tutte le cose. Abbiamo visitato il parco della Floridiana, pranzato ad un buon ristorante “Il Pomodorino” e poi, servendoci della metropolitana siamo arrivati in Piazza Medaglie d’Oro. Non distante sorge la chiesa dell’Immacolata. E’la chiesa dove nel lontano settembre 1968 si sposarono i nostri amici Enzo e Piera. Alcune foto alla chiesa per mostrare loro com’è oggi, quasi quarant'anni dopo quel loro “sì” erano d’obbligo. 

 

Secondo giorno

 

 

Lunedì 16 aprile

La nostra meta odierna è stata Sorrento. Abbiamo preso la circumvesuviana e in un’ora siamo arrivati a destinazione. Percorrendo il corso principale, ci siamo fermati dapprima al Bar Primavera per una consumazione e poi abbiamo visitato il bel Duomo. L’interno, a croce latina a tre navate, è ornato da tele barocche e conserva nella navata centrale il trono arcivescovile ed un pulpito marmoreo, entrambi del sedicesimo secolo.

Chiedendo a dei passanti quale direzione dovessimo prendere per arrivare al mare, ci siamo incamminati verso Marina Piccola. Scendevamo ed io guardando in alto mi meravigliavo del forte dislivello esistente fra il mare e certe costruzioni che si trovavano alla sommità di terrazze tufacee a strapiombo sul mare stesso. Il mio desiderio era quello di raggiungere il luogo dove nel cinquantacinque fu girato il film “Pane, amore e…” con Vittorio De Sica, la Loren e Cifariello. Non direi che è rimasto esattamente tutto come allora. La casa in cui abitava Donna Sofia, la smargiassa, il personaggio interpretato da una Sophia Loren appena ventenne, è stata ristrutturata e credo sopraelevata di un piano. Una donna del posto ci ha indicato la finestra dove si affacciava l’attrice. Nel luogo in cui donna Sofia aveva il banco del pesce sorge una trattoria dove con Ottavio ho desinato. La proprietaria stava davanti al locale cercando di attirare clientela, composta per lo più da turisti stranieri. “Look at my price, look at my price…” Indicandomi un poggio, Ottavio aveva individuato il punto in cui il maresciallo Carotenuto (Vittorio De Sica) incontrava Donna Violante (Lea Padovani), ma per raggiungere quel posto bisognava disporsi a salire scale e affrontare stradine in forte salita ed ho rinunciato. Un minibus ci ha ricondotti al centro. Da Piazza Tasso, scendendo una lunga scalinata siamo arrivati a Marina Grande. L’aliscafo per Napoli non sarebbe partito che alle quattro e venti. Abbiamo passato il tempo scrivendo cartoline, registrando commenti e canzoni col mio registratore tascabile e sorbendo un ricco gelato al bar più elegante di Marina Grande. Il ritorno a Napoli in aliscafo è stato bellissimo. Avevamo preso posto sulla parte più alta dell’aliscafo e viaggiavamo controvento. Giunti a Napoli, siamo passati al Teatro Augusteo ad acquistare i biglietti per la rappresentazione di venerdì 20 di “Sola me ne vo”, lo spettacolo con Mariangela Melato e poi a piedi abbiamo raggiunto Piazza del Plebiscito, quasi dietro ad un corteo di manifestanti che sotto alcune finestre agitavano i loro cartelli reclamando posti di lavoro per i giovani.

 

Terzo giorno

 

 

 

Martedì 17 aprile

Martedì ad Acerra. Non potevo mancare di visitare questo centro, perché è lì che abita Ottavio. Mi ero fatto un’idea tutta mia di Acerra, attraverso i suoi racconti, lavorando di fantasia mi immaginavo la strada ove si trova il Teatro Italia, mi figuravo le strade che Ottavio doveva percorrere per arrivare alla sede delle Voci del Cuore, il centro commerciale e molti altri luoghi di cui mi parlava. Per arrivare ad Acerra ancora una volta ci siamo avvalsi della Circumvesuviana. Inesperto, per me la Circumvesuviana valeva la ferrovia, ma Ottavio doveva sapere che con la Circumvesuviana si arriva in una stazione, peraltro modernissima e tirata a lucido, ma piuttosto lontana dal centro. Abbiamo dovuto attendere un autobus per raggiungere il centro di Acerra. Un autobus che ha fatto un giro strano, quasi facesse dei cerchi concentrici, che mi hanno disorientato. Scesi in centro, ho chiesto ad Ottavio che mi accompagnasse da un barbiere. Necessitavo di un taglio e di una sistemata ai capelli. Seguendo Ottavio per le stradine di Acerra, avevo la sensazione di muovermi per un centro agricolo, dove vecchio e nuovo coesistevano. Avevo come l’impressione che certe case dall’intonaco cadente, con vasi di piante rinsecchite abbandonati sul bordo dei balconi, certi vicoli polverosi, certi negozietti si affacciassero su un corso quasi ricostruito in uno studio cinematografico. Un po’ come la Rimini di “Amarcord” ricostruita a Cinecittà. Contraltare al negozio di frutta e verdura che esponeva le cassette in strada, era il negozio di abbigliamento maschile “Pagliara”, dove tre elegantissimi commessi, o forse erano gli stessi proprietari, dietro il banco sulla porta attendevano clienti. Ottavio incontrava persone che conosceva, con cui si intratteneva brevemente a parlare e davvero si rafforzava in me l’impressione che fosse quasi il personaggio interpretato da Bruno Zanin in “Amarcord” che gira per strade dove tutti lo conoscono e lo salutano. Per strada abbiamo incontrato entrambi i fratelli di Ottavio. Dapprima Enzo e poi  Sergio. E’ stranissimo. Pur vedendoli per la prima volta, era come se li conoscessi da sempre. Avevo imparato a conoscerli attraverso la videocassetta con la festa per i suoi diciotto anni che Ottavio mi aveva inviato nell’ottobre del 2003, due mesi prima che noi stessi ci conoscessimo di persona. Ottavio mi ha condotto a casa sua. Ci ha aperto la porta la mamma, impegnatissima in cucina. Sono rimasto impressionato dai grandi tegami, dalle grandi pentole sui fornelli. Chiaramente questo accadeva in quanto li confrontavo con quelli molto più piccoli che a casa io utilizzo solo per me. Ma la famiglia di Ottavio è una famiglia numerosa. Ci sono i genitori, tre figli e alcune volte si aggiunge come sesto commensale uno zio di Ottavio. Ho visto lo studio di Ottavio, la sua immensa raccolta di videocassette, dvd e cd, le pareti tappezzate di foto incorniciate, talune scattate anche da me, ed era come se attraverso le fotografie e le videocassette che negli anni Ottavio mi ha inviato, quella stanza la conoscessi quasi a memoria. Un giro in centro, passando davanti al Duomo, fino al Castello Baronale e poi tutti a tavola. Era arrivato anche il signor Giovanni, il papà di Ottavio, persona amabilissima e gentile. Il pranzo preparato dalla signora Concetta è stato all’altezza d’uno dei ristoranti più rinomati che Ottavio ed io abbiamo frequentato in questa vacanza napoletana.

Nel pomeriggio ho seguito Ottavio nella sede dell’Associazione delle Voci del Cuore, in via Cilea, presso l’abitazione della signora Maria Aprile, iperattiva ed entusiasta maestra di canto e co-regista di quasi tutte le ultime produzioni di Ottavio. Ho conosciuto di persona i suoi figli Andrea, Cristina e Chiara, fino ad ora visti nei DVD delle rappresentazioni teatrali che ricevo da Ottavio. Ho conosciuto Carla, giovanissima e simpatica compagna di chat, sempre sommersa da impegni scolastici, e  gli altri ragazzi che Ottavio, inflessibile ed esigente maestro, forgia all’arte della recitazione.

Un pomeriggio gradevolissimo. A favore della cinepresa di Ottavio ho recitato con Carla una poesia dello stesso Ottavio dal titolo “Napule ‘e mò”.

Verso le otto siamo ritornati all’abitazione di Ottavio. In cucina i suoi stavano seguendo su Rai Due la trasmissione dell’estrazione dei numeri del lotto..

Sergio, che doveva andare a Napoli con un amico, ci ha dato un passaggio a bordo della sua auto e ci ha condotti fino al nostro Hotel, in via Duomo.

 

Quarto giorno

 

 

Mercoledì 18 aprile

Oggi la giornata è stata dedicata a Pompei. Ottavio insisteva perché dalle foto già scattate, circa o esattamente duecentoquaranta, fossero ricavati due CD, mentre io, basandomi su quanto m’avevano detto a Udine nel negozio di Via Poscolle in cui avevo comperato la macchina digitale, ero certissimo che un altro centinaio poteva essere ospitato senza problemi. Arduo trovare un negozio di articoli fotografici dove potesse essere eseguito quanto chiedevamo. Grazie ad un tassista lo si è trovato dalle parti di Porta Capuana e la titolare del negozietto che vendeva anche macchine Olympus, come la mia, ha fatto le due copie da me richieste. Per recarci a Pompei ci siamo serviti della Circumvesuviana. Nonostante fossero le dieci del mattino i vagoni erano molto affollati e tali sono rimasti per tutta la prima parte del tratto. Oltre alle bancarelle con i souvenir per turisti, poste in corrispondenza dei vari ingressi agli scavi, mi hanno colpito i chioschi che vendevano grossi limoni e bottiglie di limoncello. Ero rimasto un po’ a corto di denaro e per rifornirmi di contante ho dovuto dispormi (Ottavio seguiva) ad una lunga passeggiata, forzata verso il centro per prelevare allo sportello Bancomat di una filiale della Banca di Campania. So di dirla grossa, ma gli scavi di Pompei non mi hanno entusiasmato. Era difficoltoso camminare sotto il sole sui grossi pietroni levigati e scivolosi che costituiscono il selciato, improbabili e tutto sommato poco interessanti le ricostruzioni da parte di giovani maestre ad uso di scolaresche in gita che ci seguivano o ci precedevano come sciami lungo via dell’Abbondanza. I bambini ci scambiavano per americani e ripetevano “Hello! How are you?”. Sorridendo la risposta era “Great! And you? Are you enjoying your trip?” La descrizione della vita dei pompeiani di duemila anni fa che si svolgeva fra stratagemmi per custodire le bevande fresche e mantenere caldi i cibi cotti mi annoiava.

In quel susseguirsi di impianti pubblici, botteghe e residenze, o meglio di ciò che ne rimaneva, dovevamo far rivivere mentalmente l’antico fervore di attività. Un po’ come se fra due o tremila anni a Milano, per dire un nome a caso, insegnanti o ciceroni accompagnassero scolari e turisti nei cunicoli della metropolitana e sui marciapiedi della linea gialla. "Fate attenzione bambini, rimanete in gruppo e non perdetevi, chè dopo diventa problematico venirvi a recuperare!” Con la torcia i ciceroni potrebbero indicare murales sbiaditi e pallide scritte inneggianti all’Inter e qualche bambino alzerebbe la mano per chiedere che cos’era questo o questa inter. Dei giapponesi dall’aria assorta  esaminerebbero il gabbiotto dei controllori e fotograferebbero i resti dell'edicola alla fermata di Maciachini, ripresi dal loro cicerone che ricorderebbe loro che l’uso del flash non è consentito. Più in là, un marito in giacca a vento, berrettino e zainetto leggerebbe alla moglie ed alla figlia un trafiletto dalla sua guida: “C’è scritto che da qui ogni mattina passavano migliaia di pendolari, poi scendevano quelle scale e si stipavano dentro vagoncini trainati a motore su binari… Pensa, nel 2000 avevano ancora i binari..." E la moglie: "Poverini! Che condizioni di vita!”

Di ciò che veniva chiamato "duomo" nessuno avrebbe saputo con sicurezza alcunché:  molti i propensi a credere ad una leggenda e che in realtà questo misterioso duomo non fosse mai esistito. Resti di Torre Velasca invece sì, fortunati posteri! Quelli li avrebbero visti e non ci sarebbero stati problemi per fotografarli.

Ad un certo punto del nostro vagolare sotto il sole, Ottavio ha creduto di aver individuato il posto in cui mia sorella Milvia era stata fotografata cinquant’anni fa, durante il suo viaggio di nozze, e a quel punto ho ritenuto raggiunto l’obiettivo della mia gita pompeiana.

Una sosta al Foro, cuore commerciale, economico e politico della città, una foto ricordo con la copia della statua di Apollo e verso le tredici e trenta siamo usciti alla ricerca di una trattoria dove poter pranzare. Ottavio ci teneva a visitare il Santuario, che si trova nella parte nuova di Pompei, io meno, ma col minibus ci siamo arrivati in pochi minuti. Visita veloce al Santuario, acquisto da parte di Ottavio di piccoli souvenir e poi con la circumvesuviana abbiamo fatto ritorno a Napoli.

 

Quinto giorno

 

 

Giovedì 19 aprile

 

Oggi Capri. Non potevamo essere più fortunati nella nostra escursione odierna. Raggiunto il Molo Beverello con un taxi, abbiamo preso l’aliscafo delle otto e trentasette al volo. La giornata si annunciava splendida, come quelle che l’avevano preceduta. Il tragitto è stato compiuto in poco più di un'ora. Come siamo arrivati a Marina Grande, siamo saliti su un motoscafo che in un’ora e mezza ci avrebbe fatto fare l’intero periplo dell’isola. Con noi un gruppetto di studenti romani in gita scolastica, accompagnati dalla loro professoressa. Abbiamo scattato un sacco di fotografie e Ottavio aveva la cinepresa sempre in azione. Tutto era magnifico. Il momento più emozionante è stato l’ingresso su una piccola barca guidata da un aitante giovane rematore nella Grotta Azzurra. Si entra completamente sdraiati sul fondo dell’imbarcazione, tanto piccolo è il pertugio, anche in bassa marea. Non ci sono parole per descrivere l’intensità dell’azzurro dell’acqua del mare, una volta nella grotta. E’ merito del bradisismo questa colorazione che riveste interamente le pareti dell’anfratto. Lo sprofondamento di circa venti metri ha infatti portato alla totale occlusione delle fonti luminose dirette, tranne una grande apertura sotto il livello marino da cui la luce, penetrando, determina gli straordinari riflessi azzurri e dona agli oggetti immersi nell’acqua un colore argenteo. I rematori cantano per i turisti “O sole mio” o “Nel blu dipinto di blu”e indicano ai turisti i resti di un piccolo approdo di età romana. Risaliti sul motoscafo, abbiamo proseguito con la circumnavigazione dell’isola, attenti alle indicazioni della guida, che ci segnalava Tra gara, ci illustrava i faraglioni, la villa di Malaparte e la statua di Gennarino che saluta i visitatori dell’isola. Al termine del giro Ottavio ed io abbiamo desinato al Gallo d’Oro e poi abbiamo preso la funicolare che ci ha portati alla celebre Piazzetta di Capri, piena di turisti provenienti da ogni dove. Ad ogni angolo di strada le gigantografie di attori ed attrici che negli anni, almeno una volta hanno fatto visita a quest’isola incantata. Da un angolo recondito della mia memoria è spuntato il ricordo di una canzone di Gilbert Becaud di oltre quarant’anni fa, “Mourir a Capri”. La cantava anche in italiano: “Abbiamo scelto Capri per morire…” Ottavio faceva i debiti scongiuri. “Guarda che la cantava anche Peppino Di Capri…E’ una canzone molto bella. Se fai una ricerca, forse la trovi…”

 

 

Sesto giorno

 

 

Venerdì 20 aprile

A Pozzuoli si arriva in poco tempo con la metropolitana. Nell’ultimo tratto la metropolitana è all’aperto ed i binari corrono paralleli a quelli della ferrovia. Ho fatto notare ad Ottavio l’indecoroso spettacolo delle lenzuola e dei panni stesi ai terrazzi degli edifici popolari che fiancheggiano la ferrovia a Napoli Campi Flegrei. Eppure uno spazio per uno stenditoio pieghevole ce l’avrebbero tutti! Questione di mentalità, difficilissima da scalfire. Giunti a destinazione abbiamo fatto un giro di perlustrazione nei pressi dell’Anfiteatro. La zona della Solfatara e quella del porto con il Tempio di Serapide si trovano alle estremità opposte di Pozzuoli. Chiedendo indicazioni a dei passanti, ci dicevano che per la Solfatara ci voleva meno di un chilometro a piedi e, sbuffando, ci siamo incamminati per una strada in salita. Eravamo mossi pure dalla curiosità di vedere la casa in cui aveva vissuto gli anni dell’infanzia Sophia Loren. I puteoloani ci descrivevano l’abitazione come una casa dall’intonaco rosa, dopo il ponte, vicino alla scuola guida. Tornando indietro, una casa corrispondente a questa descrizione l’avevamo individuata e avevamo anche filmato e scattato foto. Sembrandoci interminabile la strada per la Solfatara, siamo ricorsi ad un taxi. In una sorta di museo didattico al naturale abbiamo osservato tutti i fenomeni tipici di un vulcano allo stato quiescente con vulcanetti di fango e fumarole. Gruppetti di studenti facevano la nostra stessa visita, guidati da professori che si sgolavano per spiegare tutto. Al termine della nostra visita alla solfatara, abbiamo richiamato lo stesso taxi dell’andata, pregando il tassista di farci fare un giro veloce al porto e al Tempio di Serapide. Incidentalmente il discorso è caduto sulla Loren, che a detta del tassista, di tanto in tanto ritorna ancora a Pozzuoli a trovare i parenti. E’ stato lui ad indicarci esattamente quale fosse la casa della Loren. L’intonaco era rosa come quello dell’altra, ma scendendo verso il porto era a sinistra e non a destra.

Si è fatta quasi ora di pranzo. Torniamo a Napoli in metropolitana. Direzione Gianturco, fermata Mergellina.

Passiamo per Piazza San Nazzaro, e ci ritroviamo poi sul lungomare. In un filmato inserito su You Tube avevo visto un tale che faceva jogging per Via Caracciolo. Con tutte le canzoni napoletane che ho ascoltato su Mergellina, chiedo ad Ottavio se il luogo cantato da musici e poeti sia proprio quello.

"Margellina, Margellina...dint'a 'sta varca famme sunná...vocame vocame nun mme scetá..... Maestro, 'o posto è chisto?"

 

Ho nelle gambe tutta la scarpinata per la solfatara di Pozzuoli e percorrere via Caracciolo sotto il sole all'una del pomeriggio è un poco faticoso. Entriamo nella Villa Comunale, enorme giardino pubblico voluto dai Borbone a fine settecento e progettato da Carlo Vanvitelli. Poi ritorniamo di nuovo in via Caracciolo. Ci fermiamo ad ammirare una coppia di freschissimi sposi, lei in abito bianco, lui in gessato che posano per il fotografo con lo sfondo del mare. Sugli scogli c'è già chi prende il sole. Castel Dell’Ovo è sempre più vicino.

"Ottavio, giusto una settimana fa a quest'ora scannerizzavo per te la copertina di un mio vecchio quarantacinque giri con una veduta notturna di Castel dell'Ovo ed in primo piano l'ingresso al ristorante Zi' Teresa. Finalmente ci siamo!"

 

Nel nostro giro turistico tutto particolare, che muove da riferimenti cinematografici o musicali, Zi' Teresa citata in "Piccola Italy", ripresa nei musicarelli degli anni sessanta ("Una lacrima sul viso" su tutti) con la fontana dell'Immacolatella, non poteva mancare.

Abbiamo pranzato (divinamente) ad un tavolo all'aperto, con Castel Dell’Ovo da una parte e l'Hotel Vesuvio dall'altra.

In serata con molto anticipo abbiamo raggiunto a mezzo taxi il Teatro Augusteo o meglio la piazzetta antistante il teatro stesso. Erano quasi le otto, ma il negozietto di un fioraio più che ottantenne, adiacente il teatro era ancora aperto. Ho chiesto se avesse delle rose. Mi sembrava un bell'omaggio da far recapitare in camerino all'Artista il cui spettacolo ci accingevamo a vedere. Velocemente con Ottavio ho scritto un bigliettino d'accompagnamento.

Sono entrato nell'atrio del teatro, ho affidato l'omaggio floreale ad un signore, con preghiera di farlo avere alla signora Melato in camerino e con Ottavio sono uscito, prendendo posto ad uno dei tavolini all'aperto di un bar. Il clima era ideale. Sarà stata la centesima volta che dicevo ad Ottavio: "Siamo in aprile e sembra di essere a fine giugno. Siamo fortunatissimi con il tempo".

Già mezz'ora prima dello spettacolo entravamo all'Augusteo, osservavamo i vari quadri esposti alle pareti, foto di personalità, locandine di vecchi spettacoli ed abbiamo preso posto nelle nostre poltrone in platea.

Ero meravigliato per il comportamento del pubblico napoletano di quella sera. Sottolineo di "quella sera", perché non avendo altre esperienze per fare confronti, ero sconcertato dal fatto che a pochissimi minuti dall'inizio della rappresentazione, metà delle persone dovessero ancora entrare in sala. Sembrava che di quelli che erano convenuti a teatro, solo una piccola parte fosse interessata alla prestazione artistica e gli altri fossero a teatro solo per fare salotto.

Capannelli di persone sostavano nei pressi delle porte di ingresso alla sala, nonostante sullo schermo fossero già andate le diapositive che annunciavano lo spettacolo di Mariangela Melato. Due signori in piedi al centro della platea chiacchieravano amabilmente aggiustandosi la cravatta e rispondendo con la massima disinvoltura ai telefoni cellulari che ci deliziavano con le loro suonerie.

Ero veramente seccato. Anche perché non me l'aspettavo. Solitamente il pubblico napoletano viene descritto  come caloroso nei confronti degli artisti, mentre la figura dei freddi e compassati, quelli che regalano ben poche soddisfazioni agli artisti in scena la facciamo noi, il pubblico del nord.

 

Fermo una della ragazze che girava con la sua cassetta di caramelle e cioccolatini e le chiedo se sia normale il comportamento del pubblico di questa sera. Gente che sta arrivando ancora, che fa alzare tutta una fila per prendere posto, gente ferma in mezzo alla sala a chiacchierare. 

Finalmente si fa buio in sala.

 

Illuminata da un fascio di luce, Mariangela Melato, sola al centro della scena inizia il suo monologo.

"Tì che te tacchet i tacch, taccom i tacch a mì che tacchi i tacch! Mì taccat i tacch a tì che te tacchet i tacch? Taccheti tì i tò tacch!"  Mariangela Melato si accinge ad affrontare da sola la scena per due ore filate. Un atto d’amore nei confronti del teatro, fatto di momenti di allegria e di malinconia., di nostalgia nel ricordo della Milano degli anni Sessanta, quando ci racconta di sé e dell’inarrestabile ascesa della ragazza figlia di un vigile urbano trozkista, dei suoi inizi nel mondo del teatro, dei suoi incontri con i grandi registi del passato. Il ricordo parte da lontano ed è punteggiato da numerose canzoni, tra le quali, appunto, “In cerca di te", “Creola” (o meglio "Creolo dal bruno aureolo"), Mack the Knife di Brecht per arrivare a "Far finta di essere sani” di Gaber, a "Vita spericolata" di Vasco Rossi e ad una deliziosa  canzone tutta nuova scritta per l’occasione da Cerami, che fa "Ieri ti ho baciato, ma tu non c'eri". Sorretta da un corpo di ballo di sei elementi Mariangela Melato cerca un  contatto ed un dialogo con il pubblico che ahimè, stasera all'Augusteo, fa molta fatica a stabilirsi. Un uomo si alza dalle prime file e lentamente attraversa tutto il teatro guadagnando l'uscita. Scherzosamente la Melato dal palco lo riprende. "Ehi, signore, dove va?" "Fatti i fatti tuoi" la gelida risposta bofonchiata fra i denti.

Una grande prova d’attrice, elegante e originale, ma in questa sera all'Augusteo, visto il comportamento del pubblico, verrebbe voglia di suggerire "Nolite dare margaritas ad porcos".

 

“Se po’ minga andà in giro inscì, l’è vestida propri come el dò de november... Avete capito, no?".

Un sonoro "NO" si alza da una signora fresca di parrucchiere seduta due file avanti a noi. Tanta maleducazione a teatro è difficile trovarne.

 

Inoltre maleducazione ulteriore! Il pubblico al primo calare del sipario si alza ed inizia ad uscire dalla sala  come inseguito da orde di cani, non fermandosi neppure per applaudire e quindi per ringraziare l'Artista, che sempre si ripresenta sul proscenio e concede anche il bis.

Tanto più che lo spettacolo non era finito e Mariangela Melato doveva cantare ancora "Chattanooga Choo Choo". 
Questo mi irrita profondamente: va bene temere la coda dell'uscita, ma quel che troppo è troppo.

Alzo la voce ed intimo di rimettersi a sedere la gente delle prime file che ha la pretesa di assistere all'ultima parte dello spettacolo restando in piedi e togliendo la visuale a chi sta dietro.

Ma devo farlo più volte. Hanno ragione loro e si incazzano pure per le mie rimostranze.

Com'è diverso il comportamento della mia cittadina di provincia al nord! Tutti gli artisti si complimentano per l'attenzione del pubblico che, prima di farli uscire definitivamente dal palcoscenico, applaude, applaude e applaude.

Benché ci dicessero che al termine degli spettacoli, la signora Melato non ricevesse nessuno, per non noi è stato così.

Ha ricevuto Ottavio e me con molta disponibilità nel suo camerino. Le ho chiesto dei ragguagli sulla versione italiana di "Chattanooga Choo Choo" che non avevamo mai sentito prima. La eseguiva forse il Trio Lescano?

Mi sono complimentato per quella bellissima canzone scritta da Vincenzo Cerami espressamente per lo spettacolo. "Ieri ti ho baciato e tu non c'eri".

Mariangela ha fatto gli auguri ad Ottavio per la sua attività di attore ed a me ha detto che passerà al Teatro Nuovo di Udine con "Sola me ne vo per la città" il prossimo autunno.

 

 

Settimo giorno

 

 

 

Sabato 21 aprile

 

Le estati della prima infanzia di Ottavio a Maiori possono equivalere a certi brevi periodi di villeggiatura intorno a Ferragosto che trascorrevo con il papà a Lignano Sabbiadoro. Ci sono certi ricordi, all’origine della nostra memoria, che si trasfigurano e diventano straordinari. Così come per me era straordinario che le finestre della nostra camera alla pensione Adriatica di via Andretta dessero su un dancing all’aperto, dove ogni sera suonavano “Io t'ho incontrata a Napoli”, per Ottavio intravedere oggi attraverso le inferriate di un cancello chiuso le piastrelle gialle d’un impiantito su cui giocava con le sue automobiline ed il suo trattore in miniatura, ha avuto lo stesso effetto. A Maiori ci siamo arrivati con la corriera. All’inizio abbiamo percorso un tratto di superstrada e poi siamo passati per piccoli centri come Nocera Inferiore e Superiore, arrivando alla strada stretta e tortuosa della Costiera. Il sole rendeva brillante ogni cosa. Dal mio finestrino osservavo il mare azzurrissimo. Scesi a Maiori, abbiamo fatto una seconda colazione con cappuccino e paste al Bar Oriente. Ottavio si è fatto riconoscere dalla proprietaria. La temperatura era quasi estiva. Abbiamo pranzato al ristorante Dedalo, un tavolino all’aperto nel corso principale. Poi ci siamo disposti ad attendere la corriera che in una decina di minuti ci ha portati ad Amalfi. Sono rimasto incantato ad ammirare la facciata del Duomo di Amalfi, anch’esso conosciuto per la prima volta attraverso le copertine dei Quaderni delle Regioni d’Italia. Data storica. Finalmente ero riuscito a mettere piede su tutte e quattro le Repubbliche Marnare. Ottavio si è comperato una maglietta ed un paio di occhiali da sole in due diversi negozi di souvenir. Scritte delle cartoline, abbiamo atteso la partenza dell’aliscafo che ci avrebbe condotti a Napoli, consumando due frappè seduti al bar Flavio Gioia che si affaccia sul porto. Lungo la traversata dal mare ho potuto ammirare i panorami di Ravello e Positano.

 

 

Ottavo giorno

 

 

 

 

 

Domenica 22 aprile

 

La vacanza sta volgendo al termine e non volevo lasciare perdere la sommità della collina del Vomero che avevo adocchiato fin dal primo giorno. Con la metropolitana siamo arrivati alla magnifica stazione di Piazza Vanvitelli e poi, salendo due rampe di scale, siamo arrivati alla massiccia fortezza dalla cui parte più alta si ha una veduta straordinaria di tutta la città. Purtroppo stamani c'era un po’ di foschia. La Certosa di San Martino sfrutta quanto della collina del Vomero non è occupato dalla fortezza. Ne avremmo voluto visitare i chiostri, ma erano chiusi per manutenzione. Con un taxi abbiamo raggiunto la stazione di Mergellina. Dopo poche decine di metri, oltre il viadotto ferroviario, si trova il Parco virgiliano. Nell’ambito di questo piccolo parco si trova la tomba di Virgilio, un colombario di età augustea, identificato dalla tradizione con il sepolcro del poeta, ed il monumento eretto per Giacomo Leopardi, che benché non corrisponda esattamente alla sepoltura del poeta recanatese si avvicina al punto in cui fu trasferita nel 1939 da Fuorigrotta, dove l’amico Antonio Ranieri la fece inumare, aggirando le severe norme igieniche che richiedevano che a causa del colera che colpiva la città, i morti fossero sepolti tutti in una fossa comune. Salvatore, un simpatico tassista, ci ha condotti da Mergellina a Marechiaro, passando per via Orazio (quella della vecchia quercia che ora non c’è più e sullo sfondo il Vesuvio con il pennacchio – mitica figurina sui Quaderni delle Regioni d’Italia) e via Petrarca, la via dove risiedono i napoletani più facoltosi. Anche Marechiaro fa parte di Posillipo. Ottavio mi ha condotto a vedere la “fenesta” immortalata da Di Giacomo in “Marechiaro”. Ho osservato che potrebbe essere tenuta in condizioni migliori. Quel garofano chiaramente di plastica che dovrebbe “addorare dint’a na testa” sembra abbandonato sul davanzale da imbianchini che molto sommariamente hanno provveduto a tinteggiare le pareti di un’abitazione, senza sprecarsi a fare un lavoro di fino. Ma chissà, forse le impalcature allo stabile stanno a significare che stanno provvedendo a dare al tutto una sistemazione migliore. Abbiamo pranzato al ristorante all’aperto “da Cicciotto”. Davanti a noi una veduta fantastica, l’azzurro di Marechiaro.

 

 

Nono giorno

 

 

 

Lunedì 23 aprile

 

La visita a Caserta rischiava di saltare. Il treno ha degli orari diversi nei giorni feriali rispetto ai festivi, ma di questo non mi preoccupavo. So che Ottavio all’interno del suo portafoglio ha un foglietto con gli orari. In quanto molti dei treni che collegano Napoli a Caserta passano e si fermano anche ad Acerra. Forse perché oggi la meta della nostra escursione era vicina, Ottavio si è cincischiato più del solito. Benché io l’avessi svegliato con la solita telefonata alle sette e venti, alle otto e mezza non era ancora  pronto. Solo allora, consultando quel suo foglietto, abbiamo scoperto che tutti i treni della prima mattinata per Caserta erano passati. Il prossimo sarebbe partito alle dieci. Enzo ha fatto una veloce ricerca in Internet. C’era ancora un treno alle nove o poco dopo. Nel suo foglietto Ottavio aveva solo l’elenco dei treni che passano per Acerra. Chiamato un taxi, ci siamo precipitati alla stazione. Fortunatamente il treno era in ritardo. Verso le dieci meno un quarto siamo arrivati a Caserta. Reggia a parte, la cittadina nel vecchio centro storico si presenta sporca e poco curata. C’erano cassonetti aperti traboccanti di immondizie in pieno centro ed altra spazzatura ammassata intorno. Molte le scolaresche in visita alla reggia. Non dubito che le numerose stanze siano bellissime per uno studioso di storia dell’arte, ma a me, ignorante in materia come sono, che potevano dire? Molto meglio puntare al bel parco. A nostro servizio c’era una bella carrozzella che abbiamo condiviso con una coppia di coniugi anziani, musoni e taciturni. A trainare il mezzo c’era una cavallina, Biancaneve, di nove anni. Parlando con uno dei vetturini, ho scoperto che era nato a Palmanova nel cinquantadue da padre salernitano e madre casertana e quando a sei anni era arrivato a Caserta, parlava in friulano e nessuno lo capiva.

Nel pomeriggio alle cinque un simpatico incontro con Ciro. Mi è sembrato ancor più giovane dei suoi quasi ventiquattro anni. Avremmo dovuto vederci sabato, ma a causa di suo contrattempo un l’appuntamento era stato riconcordato per oggi.

Con Ciro ci dirigiamo al Monastero di Santa Chiara. Sfortunatamente il chiostro è già chiuso, ma ci accontentiamo di visitare la bellissima chiesa.

Poi ci incamminiamo per Via San Gregorio Armeno. Ammiro le statue dei pastori fatti a mano, le ricorrenti statuine della Bella ‘Mbriana e del Munaciello.

Cirio mi spiega che 'o Munaciello è un piccolo folletto vestito da monaco, dispettoso e bizzarro, che ha un atteggiamento diverso in base alla simpatia che prova per gli abitanti della casa. Se gli sono simpatici è servizievole in caso contrario è dispettoso.

'A Bella 'Mbriana è l'opposto del muniacello, protegge dal muniacello stesso. Per lei in casa deve sempre esserci una sedia libera, in caso contrario se ne andrà e non donerà agli abitanti della casa la protezione contro il muniacello.

Rimango perplesso riguardo a statuine da inserire nel presepio con le fattezze di Berlusconi, Prodi, la Lecciso e addirittura i protagonisti dello scandalo di “Vallettopoli”. Ma si può? C’è qualcuno che le compera?

 

Si sono fatte quasi le otto. Ci fermiamo in una pizzeria di Via dei Tribunali, dove si recò Bill Clinton, immortalato in una foto incorniciata ed appesa alla parete. Si tratta di una pizzeria molto umile, senza fronzoli eppure Bill Clinton  lì si era fermato, insieme alle sue guardie del corpo, per assaggiare una delle più grandi meraviglie culinarie del mondo, la pizza per a bellezza di soli 4 Euro e cinquanta. Compreso di frittura napoletana mista (zeppulelle, panzarotti, palle ‘e riso, frittatine ‘e pasta). Siamo più che sazi. Risaliamo via Duomo e prendiamo un caffè nello stesso bar, dove ci eravamo incontrati tre ore prima  e successivamente accompagniamo Ciro alla fermata dell’autobus dove prende il mezzo che lo riaccompagna a casa.

 

 

Decimo giorno

 

 

 

Martedì 24 aprile

 

Pur avendo memorizzato Porta Capuana e Piazza Enrico De Nicola, non ci riusciva di individuare il negozietto di fotografo cui già ci eravamo rivolti per lo scarico delle foto dalla macchina digitale ai dischetti. La piazza è molto vasta, ed abbiamo impiegato un po’ di tempo prima di individuare il punto. Il commesso che ha riversato le foto sui dischetti è rimasto impressionato dal numero: erano quasi quattrocento. Con Ottavio ho sostato ad un tavolino all’aperto nei pressi della Porta Capuana per un cappuccino. Pochi minuti di sosta e subito abbiamo chiamato un taxi per tornare per l’ultima volta all’albergo. Abbiamo preso i nostri bagagli e salutato Annamaria, che ci ha usato la gentilezza di chiamare un taxi che ci ha condotti alla stazione. Seduti al bar abbiamo impiegato alcuni minuti a scrivere le ultime cartoline. Come tutte le cose belle che finiscono c’era un po’ di tristezza al momento del commiato. Un tizio cercava di rifilarmi dei calzetti. “E’ una costante. Il mio arrivo a Napoli e la mia partenza devono essere accompagnati sempre da questi sedicenti ex carcerati che devono affibbiare a tutta forza i loro calzetti”. Una stretta di mano, un abbraccio e sono salito con largo anticipo sul treno che mi avrebbe portato a Roma. Era un Intercity Plus diretto a Trieste con gli scompartimenti a sei posti che non vedevo da secoli. Tutto bene fino all’arrivo a Roma. Qui sono salito sull’Eurostar diretto a Udine. I minuti passavano e non partiva mai. Alla fine si è scoperto che c’era un guasto alla porta della carrozza otto che non si chiudeva. Il ritardo accumulato fin dalla partenza mi ha fatto arrivare a Udine con cinquanta minuti di ritardo.

L'esperienza napoletana è stata buona, nonostante un certo sconcerto nell'affrontare questa città piena di contraddizioni.
Il traffico è caotico, la città piena di smog, non c'è osservanza di regole, ma ci sono tesori artistici incredibili. C’è l'incanto della vita che si sviluppa nei vicoli, con i negozi, le bancarelle, i mercatini rionali. La furbizia di alcune persone che non certo fanno una buona pubblicità a questo meraviglioso sito!

Ma all'improvviso c'è il regalo di una facciata straordinaria, di una guglia o di un panorama imprevisto e lasci perdere. Però Napoli, terza città d’Italia, uno dei primi otto paesi più industrializzati del mondo e perla del Mar Mediterraneo, non sempre merita elogi e non sempre brilla per la civiltà di chi la popola. Ero inorridito nel notare che nel quartiere Santa Chiara ci sono ancora le contrabbandiere di sigarette con il loro banchetto come il personaggio di Adelina interpretato dalla Loren in “Ieri, oggi e domani”, pronte a rifugiarsi in un portone se arriva un controllo della polizia. Credevo che queste cose appartenessero ad un passato ormai remotissimo. Un certo tipo di napoletani dovrebbe cambiare e vorrei che almeno quelli perbene, e sono la stragrande maggioranza, non abbandonassero questa città così come stanno facendo. Sì, perché anche il subire in silenzio, anche il non denunciare, anche l’abituarsi alle cose negative, anche il non reagire vuol dire abbandonare questa città. Abbandonarla a se stessa.

Comunque Ottavio, sta tranquillo. Je nun me scordo ‘è Napule, ‘sta terra ca trase dint’o core a tutt’e furastiere. Magari ci ritorno. Anche presto.

 

Paolo Driussi

 

 

Paolo Driussi

 

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