Rispondo a chi mi domanda... (L'arte di comunicare - Il ritorno)
Pochi giorni fa, ho scritto un articolo
sull'arte di comunicare, su come è importante mandare e ricevere messaggi che
chiariscono il senso di quello che vogliamo dire. Vorrei, in un certo senso,
continuare quell'articolo, rispondendo ad alcune domande che mi sono state fatte
in merito a quanto ho già scritto, e procedendo con altre riflessioni, che
possono meglio approfondire il mio punto di vista su "la comunicazione".
Partiamo dalle parole pronunciate dal Papa all'Università di Ratisbona (per i
tedeschi, Regensburg). Diversi lettori, mi hanno fatto notare che ho parlato
della cronaca attuale con semplicità, come se avessi detto "finiamo tutto a
tarallucci e vino", mentre un Papa dovrebbe tener conto degli animi che vivono
in Islam, e fare attenzione a ciò che dice. Il Papa è un punto di riferimento,
che dovrebbe unire, non dividere. Benissimo. Questo mi sta bene.
Vengo alle mie riflessioni: il Papa ha scritto una sua riflessione, ed ha citato
una frase scritta da un imperatore bizantino nel 1391. Qui arriva la difficoltà
di comunicazione. Eh si, anche il Papa, qualche volta, non riesce a comunicare
bene quello che vuole dire (scusatemi, se uso questo tono, ma è parlando con
estrema chiarezza e parole semplici, che riuscirò, spero, a rendervi partecipi
del mio pensiero). Secondo me, il Papa, doveva dire, prima di pronunciare la
frase: "Sentite, cari fratelli e sorelle, io ora vi leggo una frase che non ho
scritto io. Non rispecchia il mio pensiero, o meglio, non lo rispecchia in toto.
Per me le guerre, non devono esistere, ancora di più non devono esistere, se il
motivo di un attacco, di un'offensiva, di una battaglia, è nel nome della
religione. La religione deve profondere l'amore, e non l'odio. Quindi, leggo
questa frase, che non è stata scritta da nessun esponente della religione a me
vicino. La leggo. Se non condividete ciò che ha scritto, parliamone insieme,
dialoghiamo, cerchiamo in noi la tolleranza per poter amare anche chi ha un
credo religioso diverso dal nostro.
Penso che, se il Papa, avesse detto, più o meno, queste parole, non sarebbe
insorto nessuno. Anzi, quelli che hanno difeso Sua Sanità, l'avrebbero difeso
ancora di più. Ma comunque, non sta a me, certo, dare lezioni al Papa, oppure
scrivere discorsi a figure della religione e della politica.
L'altro punto da chiarire è quello sugli artisti, infatti ho citato Mina, e ho
citato Adriano Celentano. Vicini ma diversi. Entrambi riescono a comunicare, ed
ognuno lo fa a suo modo.
Partiamo dagli editoriali che Mina scrive per un famoso quotidiano o dalle
risposte che Mina, da ai lettori di un settimanale, nato da meno di due anni (se
ben ricordo), ma premiato dalle vendite. Alcuni, fanno questa riflessione: Se
Mina, si è ritirata dalle scene nel 1978, con la "promessa" di tenere in vita il
suo mito attraverso la sua voce (e quindi i suoi dischi), perchè presta la "voce
di un mito" per pubblicità? Perchè, da ormai diversi anni, fa anche la
giornalista? E' un suo modo di comunicare?
Provo a rispondere alle diverse domande. Non so, cosa abbia spinto Mina, a
scrivere per quotidiani e settimanali. Forse, i lettori di "Vanity Fair", la
vedono come "il mago di Oz" (esisterà davvero? Oppure quella donna tanto lunga
con occhiali scuri, e sempre vestita di nero, è solo frutto della fantasia?).
Cioè, chi le scrive, pensa di scrivere ad una vicina di casa, in possibilità di
poter dare consigli a destra e a sinistra. Credo, che la gente non scrive a
Nostra Signora della Canzone, ma a Nostra Signora della Posta Del Cuore. Certo,
alcune domande che le fanno, sono a dir poco imbarazzanti. Tutto questo
"scrivere e ricevere" mi fa venire in mente il film "Piccola posta" con una
Franca Valeri in splendida forma, affiancata da un immenso e cattivissimo
Alberto Sordi. Penso che Mina si diverte a rispondere a persone di qualsiasi
età. Invece la Mina che scrive gli editoriali per "La Stampa", è diversa. A
volte sobria, a volte animata dall'ironia, dal cinismo, dal sarcasmo, e dai vari
"Chissà come andremo a finire, se andiamo avanti così". Cosa che già, Adriano
Celentano, si è chiesto nel suo "Ragazzo della Via Gluck" nei lontani anni
Sessanta, quando Frank Sinatra cantava "Strangers in the night" ed a Sanremo,
nonostante quelli che venivano definiti "urlatori", c'era ancora la melodia che
trionfava. A fianco agli urli ed alla melodia, gli scandali, gli inciuci, e le
previsioni.
Quanto a Celentano, alcuni criticano le sue "prediche". E chi mi ha criticato le
prediche di Celentano, mi ha difeso gli editoriali di Mina su "La Stampa" e le
risposte di Mina a "Vanity Fair", dicendomi che un cantante deve solo cantare!
... Scusate, ma sembra una grande contraddizione, oppure una accusa di fans
integralisti, che hanno come loro unica ragione di vita, il loro artista
preferito.
Penso che, nel terzo millennio, una predica di Celentano, è una di quelle poche
cose, che ancora fa notizia... E pensateci un pò!