PAOLO DRIUSSI

 

UN ALTRO ADDIO

Passammo dieci giorni fra l’azzurro del cielo
e l’ocra della sabbia.
Non controllavamo più i piccoli incidenti,
che regolarmente si trasformavano in malintesi.
Presto fu ottobre.
Quell’ultima notte
dormimmo in un piccolissimo albergo
vicino alla stazione
in un letto stretto e duro.
Non parlavamo più.
Ancora una volta ci unimmo,
senza sapere perché,
forse per mettere un punto fermo,
forse ciascuno temendo
di non avere altro da offrire
che qualcosa di risaputo.

(Marzo 1990)

 

INCONTRO

Sopra di noi si allargava il cielo,
d’uno scialbo azzurro settembrino,
percorso solennemente da grandi nuvole bianche.
Ciò che m’imbarazzava maggiormente
Era l’arco del tuo ciglio sinistro:
l’avevo scambiato dapprima per l’accenno d’un sorriso,
ma ora sapevo che tu non sorridevi.
Non avevo mai incontrato chi ti somigliasse,
eppure sapevo l’effetto che avresti avuto su di me,
perché avevo sognato una parte di te,
quella che m’incendiava
e rompeva il ritmo del mio respiro,
la parte di te che subito, al tuo apparire,
aveva fatto del nostro incontro un colloquio intimo,
la cosa che mi rendeva certo che tu eri accessibile a me.
Steso sul dorso, lasciavo vagare lo sguardo trasognato
tra le foglie fruscianti al vento di due faggi penduli,
irretito da ricordi, che alimentavano idee singolari.
Sentivo divampare nei miei nervi
l’immagine della tua nudità,
come fiamma bianca e ardente.
Non c’era niente in quella sera
Che fosse per me definito
Altro che dall’opalescente luna
e dal riso sommesso delle prime stelle.
Infine guardasti verso me
e questo mi diede la sicurezza
di aver seguito esattamente i tuoi pensieri.

(Luglio 1995)

 

DOMENICA A CIVIDALE

Uno dietro l'altro
scendemmo i gradini
che dal ponte portavano al Natisone.

I germogli smagliavano nella luce,
muti e trionfali,
solitari come piccole stelle diurne.

Ci fermammo sul greto e restammo immobili,
imbarazzati nel silenzio radioso del sole alto.

Le case dall'intonaco sbiadito
si specchiavano nel fiume verde
ed il giorno cominciò
ad avere un aspetto pratico, concreto.

Fu solo dopo esserci spogliati,
che diventammo apertamente esitanti.

Entrambi ci accorgemmo
di come l'aria fosse ancora rigida,
di come l'acqua fosse ostile
e ci passò la voglia di tuffarci.

Le campane suonavano in lontananza.
"Che ore saranno?"
"Che importa? E' domenica!"

(Aprile 1999)

 

NON E' QUESTO CHE CONTA

Il vento soffiava leggero tra i cespi della lavanda.
Mi piaceva trovarti là al crepuscolo,
con quell’aria che arrivava da paesi, da mondi lontani.
La mano dalle dita corte e le unghie rosicchiate
aveva una grazia ritrosa e come segreta.
Era abbandonata, ma stringeva anche un poco,
e il sottile calore che emanava da essa
era un’ultima dedizione silenziosa,
Provavo une delusione anticipata,
una stanchezza rispetto alla vita.
Non era la paura di una violenza,
ma piuttosto il senso di una decadenza inarrestabile,
fatale.
E la certezza di adesso
non è nemmeno un conforto
per la mia incomprensione di allora.

(Marzo 1990)

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