Ottavio in scena
Com’è
Ottavio ?
Ieri sera mi è stato chiesto di questo mitico personaggio (io gli voglio bene veramente), di scrivere alcuni paragrafi su di lui. Perché dopo il successo (chiamiamolo così) dei miei messaggi pubblicati nel web, ho pensato con suo consenso di raccontarlo, di com’è questa fantastica creatura.
Tra
un anno e più mi laureerò in scienze ambientali, ma il nostro sodalizio
artistico tra meno di un mese avrà un fine, io mi trasferisco in Toscana, lui
resta a Napoli. Mi sentirò un po’ solo, lo ammetto. Non ci perderemo certo di vista.
Un giorno me ne andavo gironzolando in un minimarket quando sento dal retro del
reperto macelleria, la voce di un bambino cantare (la canzone era una parodia di
una famosa di Lucio Battisti, cantata in napoletano), mi scorsi e osservai
questo ometto che imitava Totò, cantava, divertiva tutti… Alla fine del mini
spettacolo, il padrone del minimarket, il signor Salvatore Buonaiuto, se non
erro il nome, regalò al piccolo artista una grandissima scatola di cioccolatini
in confezione natalizia, mi ricordo era ai primi di dicembre, e i negozi si
stavano preparando per le festività. Il piccolo artista non esitò ad
accettarli, li prese, li mise sotto al braccio come uno studente d’altri tempi
possa portare con sé il libro di studi, fece una piccola riverenza, un inchino
quasi sfottente ma simpatico, alzò la mano, salutò tutti e se ne andò via con
il padre.
Io
rimasi stupito da questo bambino, dalla sicurezza che aveva nel cantare e
recitare, nella consapevolezza di essere bravo e l’intelligenza di capire ciò
che il pubblico desidera, erano tre spettatori oltre al padre e me in quel retro
della macelleria (il signor Salvatore, il macellaio e uno sguattero), un
pubblico piccolo, ma pur sempre un pubblico.
Non molti giorni dopo, vidi di nuovo quel bambino, vicino alla fontana della Villa Comunale di Acerra,
nei pressi della Stazione Centrale, adiacente al dopolavoro ferroviario,
frequentato tutt’ora anche dal padre.
Al piccolo piaceva recitare. Mi inserì tra la folla, e quando sfumò, chiesi al piccolo ometto di sei anni o giù di lì, il suo nome, e lui senza scomporsi “Ottavio, per servirvi”, la risposta fulminea e irriverente mi fece sorridere, e chiesi “Ma come mai reciti?”, e lui “E tu perché non lo fai?”, “Perché non lo so fare” e lui sempre un po’ scontroso (certo, a sei anni, gli dava un po’ fastidio che gli si domandassero cose sui cui magari non voleva prolungarsi): “Ecco, io lo so fare e lo faccio. Mi piace. Il mio mito è Totò”, e io “Si, ho visto che lo imitavi, io frequento il Liceo” e lui “E io dovrei frequentare la prima della scuola elementare” e io “Perché dovresti ? Non ci vai”, e lui “No, se mi lasci andare forse non faccio tardi a scuola”. Erano le otto e mezza di mattina, c’era lezione, era febbraio, ma non vorrei errare.
Questo
fu il mio primo incontro parlato, poi man mano, una parola tira l’altra, e ci
trovammo al veglione di Carnevale, lui era ingaggiato dalla scuola materna per
l’imitazione di Charlie Chaplin, io me ne accorsi subito che questo strano
bambino, un po’ scontroso, aveva un cuore d’oro, io avevo 15 anni, ma mi
dimenticai subito il mio scopo: trovare amici e fidanzata, il mio scopo era
quello di avvicinare quel bambino così simpatico, che scatenava risate a non
finire, a volte solo con l’uso della mimica o delle sue famosissime entrate a
caduta (questa strategia non l’ ha mai abbandonata).
Pian
piano, guadagnai la fiducia dei famigliari, quando io avevo 18 anni e lui 9, ero
diventato l’accompagnatore di Ottavio, alle serate (per di più si trattava di
compleanni) e così via, fino a diventare successivamente il suo... manager! Sono
diventato uno dei suoi migliori amici, il guardaspalle, l’unico che riesce a
parlargli quando per periodi più o meno lunghi non si fa vedere in giro. E’
molto riservato e quasi tutti rispettano la sua scelta, spesso rimane giorni in casa per provare un arrangiamento di una canzone, per
provare un nuovo personaggio o semplicemente per rilassarsi tra i fornelli, tra
i suoi dieci caffè al giorno, tra internet e i suoi dischi, tra il suo Totò e
la sua Mina, tra i manicaretti che gli prepara la madre, i suoi dischi di musica
classica, tra un testo di Pasolini e lunghe telefonate a qualche amico, anzi a
qualche amica più che altro. Non
rinuncia mai alle sue abitudini, non riesci a strappargli un caffè in meno, non
riesci a levargli l’abitudine di aspettare la prima rassegna stampa della
notte, non puoi non fargli leggere contemporaneamente tre quotidiani che il
padre pazientemente compra ogni mattina, non puoi distoglierlo dal suo amore per
la cura dei cimeli che ha (il suo abito d’esordio a teatro, il suo flauto e la
sua chitarra, la sua bombetta, il suo basco, la sua collezione di occhiali, i suoi copioni, i
dischi dove ha registrato poesie, canzoni e sketch, le lettere che riceve
da qualche ammiratore o premi che ha ricevuto).
La
mia ultima impresa sarà il 7 settembre, quando lo accompagno a ritirare un
premio per il suo Pamabù, che non sempre comprendo, dicono sia un capolavoro, ma
sinceramente mi sforzo a capire, ma ogni frase ha mille significati e in
questo mondo che va troppo veloce e di cui ne sono vittima anche io, le nostre
letture non bastano, ci vuole una lettura attenta.
AGOSTO 2003