Eccomi alla scuola

E’ facile accusare i giovani che vanno a scuola, è facile accusare i professori che insegnano nelle scuole. Da sempre, il gioco che riesce di più a molti, è accusare gli altri. Alunni e professori dovrebbero andare sempre d’accordo, proprio perché ognuno ha bisogno dell’altro: gli studenti hanno bisogno dei professori per imparare e i professori, naturalmente, hanno bisogno di studenti e studenti per insegnare, per professare, per tramandare. E invece, no! Gli studenti parlano male dei professori, questi ultimi, preferiscono appendere il registro al chiodo piuttosto che farsi il fegato amaro, e raramente, si trova qualcuno disposto a combattere, e a far sì che la scuola non sia solo un edificio in cui all’interno di tanto in tanto si fanno discussioni di poco interesse. La scuola è ferma, ogni passo avanti sembra un passo indietro, e per di più c’è quel maledetto conformismo, che sempre recrimino, che peggiora la situazione. Dalla serie “Non bastano i guai interni della scuola, ci si mette anche la gente”. Perché? “La gente” cosa dice di male? Quando un alunno si lamenta di un professore, sono tutti pronti a bersagliarlo “Eh, voi ce l’avete con i professori solo perché fanno il loro dovere”. Siamo sicuri che tutti i professori fanno il loro dovere? A me, è capitato di sentire che un ragazzo si sia lamentato perché il professore lo ha interrogato solo due volte, troppo poco in un anno intero (secondo lui) per poter avere un quadro generale della sua preparazione in quella materia. Mica è detto, che avercela con i professori, significa aver qualcosa contro Dante, contro il teorema di Pitagora, o contro il clima temperato dei paesi al sud dell’equatore? Anche i professori sbagliano, così come gli allievi. Però, quando molti professori parlano tra di loro, si sente dire “Gli studenti non hanno voglia più di far niente”. Ma siamo sicuri che tutti i ragazzi di oggi hanno perso l’amore per lo studio? Per la conoscenza? Per il sapere? Se ci sono tre ragazzi su dieci, che vogliono qualcosa in più oltre ai programmi abituali e stantii, bisogna rispettarli, e non “accontentarli”, ma invogliarli, premiarli, unirli a gruppi di altri studenti, di altre regioni, di altre nazionalità, di un altro mondo, che hanno lo stesso amore per la conoscenza e la stessa voglia di imparare.Di solito, in una classe, a rimetterci è colui che studia veramente, e magari, siccome ama la conoscenza vera, approfondisce gli argomenti trattati con mezzi propri. Ed oggi, non è poco. Non tutti i ragazzi sono scostumati, svogliati e se ne infischiano, ci sono alcuni che hanno tanta buona volontà, magari si laureeranno, e impiegheranno una decina di anni, per trovare un posto di lavoro fisso, che molto probabilmente non c’azzecca niente con la sua laurea. Pessimista? No, guardo in faccia alla realtà, e trovo che i disoccupati aumentano. Anzi, qualcuno ha detto che le persone impiegate negli ultimi anni sono aumentate, è normale se si considera il gioco del contratto a tempo determinato e il part-time. Lavorare otto ore a settimana, e non al giorno, per alcuni, è “lavorare”. Meglio che niente, però sono anni che ci stiamo sempre accontentando, e questo ci ha rovinato. Tutto parte proprio dalla scuola: i professori si accontentano degli alunni (anche dei peggiori elementi), e gli alunni, si accontentano dei professori. E così ogni anno si ripete la stessa storia, sempre quella… ma dico io, ci vuole un comico toscano per portare Dante Alighieri all’attualità? Bisogna aspettare Adriano Celentano che ci dica che gli idraulici non sanno fare il loro mestiere? Ci vogliono gli esami di riparazione per invogliare gli alunni a studiare di più? Ci vuole una fiction sul libro “Cuore” o su “Maria Montessori”, per vedere un po’ della scuola dei sogni? Scuola povera, ma onesta. Scuola senza lavagne gigantesche ma anche senza telefonini. Scuole senza tanti banchi verdi colorati ma anche senza scolorati filmati su youtube di ragazzi che toccano il culo alla loro insegnante o picchiano il cosiddetto “secchione” di turno. Ecco dove stanno i passi indietro della scuola: i ragazzi sono cambiati, e i professori, per farsi capire, dovrebbero usare i loro linguaggi. Alcuni già lo fanno, e solo per questo, non vorrei prevedere alcun premio, perché è il loro VERO LAVORO, cioè, usare un linguaggio capace di essere apprezzato, appreso, capito. Non un linguaggio che sconfini nella volgarità e nemmeno argomenti farciti di nomi di politici oppure divi e divette del piccolo schermo, sempre più piccolo come il cervello di molti autori inesistenti, ma un linguaggio capace di essere compreso da ogni alunno, capace di redimere anche il più disinteressato degli studenti. Di professori buoni ce ne sono in Italia, così come gli studenti. Io stesso, alle scuole medie superiori, ho incontrato dei professori straordinari… il mio professore di italiano, mi ha fatto innamorare di Leopardi, per esempio!

 

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