I capitoli di questa sezione:

22 OTTOBRE 1985
IL DEBUTTO
CARO ALBERTO SORDI, TI SCRIVO...

 

 

22 OTTOBRE 1985

Ottavio Buonomo nasce alle ore 12.35 del 22 ottobre 1985 ad Acerra, paese della provincia di Napoli da Giovanni e Maria Concetta Scialò, ultimo di quattro figli. Nasce di martedì, sotto il segno della Bilancia.

E' un bambino bellissimo dallo sguardo dolce. Pesa 2,800 chilogrammi. Ad attendere la sua venuta al mondo ci sono le nonne Maria e Ottavia, il padre (che nell'attesa però non fuma nemmeno una sigaretta), i suoi tre fratelli (che saputa la notizia, affollano uno dopo l'altro, e con seguito di amici e altri parenti, la stanza numero 119A della clinica Villa dei Fiori), una zia che segue la gravidanza e Maria Rosa Vitiello, amica del cuore di sua madre.

Ottavio deve il suo nome alla nonna paterna. Infatti, nonna Ottavia desiderava che una nipotina portasse il suo nome. Dopo tre maschi ne arriva un quarto. Si decide comunque di chiamarlo Ottavio. Un nome che all'artista è sempre piaciuto molto. Infatti in una intervista poi racconterà:

"Il mio nome è già un nome d'arte. Una volta, ospite in una emittente televisiva napoletana, il presentatore mi chiese perché non avevo scelto nessun nome d'arte. Io gli risposi quasi seccato che OTTAVIO BUONOMO stava bene così. Ottavio non è un nome comune. Poi è romano ed io amo Roma e i nomi romani. Buonomo è un cognome tipicamente napoletano. E poi, perché mettersi un nome d'arte a tutti i costi? Lo pensai solo un giorno, ragazzino. Potrei chiamarmi CLAUDIO. Si ... CLAUDIO BUONOMO per esempio. E poi? In famiglia come mi chiameranno? Ottavio o Claudio? Mi chiameranno Ottavio e per strada poi, se diventassi famoso mi chiameranno Claudio? E i miei figli, se avrò la fortuna di averli, come mi chiameranno? Ottavio o Claudio? Forse, per non confondersi, mi chiameranno sempre e solo "papà". E gli amici? Mi chiameranno Ottavio? E se mi conoscono come Claudio? ... Meglio restare OTTAVIO BUONOMO, mi piace. Sono stati gli unici secondi della mia vita che ho pensato, più per scherzo, a come poteva essere OTTAVIO senza OTTAVIO. Ottavio mi sta bene! Punto e basta... quando mi è capitato di firmare autografi l'ho fatto con il mio nome. Ottavio, Ottavio, Ottavio!"

Sin da piccolissimo mostra un interesse particolare per il mondo dello spettacolo. A tre anni ascolta musicassette di Renato Carosone e Claudio Villa, guarda i film di Charlie Chaplin, Stan Laurel & Oliver Hardy, Buster Keaton e Totò, e segue su Rai Uno tutte le puntate del "Fantastico" di Enrico Montesano (che nel 2011 sarà suo maestro in uno stage di educazione teatrale a Roma e che poi chiamerà Ottavio per affiancarlo in due spettacoli teatrali di successi), imparando a memoria la sigla di apertura (Buon appetito all'Italia che va) e quella di chiusura (Caro pigiama). Nel 1989, segue tutte le serate del Festival di Sanremo e chiede al padre di comprargli il disco con tutte le canzoni. E' la "prima materia di studio". In brevissimo tempo, impara molti brani portati in gara, e li canticchia ai suoi compagni di scuola materna. I gusti del bambino sorprendono anche le sue maestre.

 

L'ESORDIO

Ottavio debutta a soli cinque anni imitando Charlot, con una larga bombetta, una giacca nera con i bottoni rossi di due taglie più larga, un vistoso papillon su di una camicia bianca con i bottoni neri, un pantalone a "zompafosso" grigio con le righe bianche (che ancora conserva). Il suo primo personaggio è una imitazione del personaggio creato dall’immenso Charlie Chaplin. Spinto dalle insegnanti della scuola materna, si esibisce per la prima volta su un palchetto nello spettacolino "Il piccolo Charlot", della durata di dieci minuti ed è spesso l’attenzione principale delle "periodiche", spettacoli destinati ad un piccolo pubblico, realizzati in villette, giardini ed abitazioni private. La sua prima canzone, "Io cerco la Titina" o meglio la "Nonsense song" del film "Tempi moderni". Dopo Charlot arriva anche l’imitazione di Totò, anche se a differenza del primo, il Principe ricorrerà in altre produzioni (spettacoli teatrali, dischi, poesie).

L'amore per il Principe Antonio De Curtis, porta il piccolo Ottavio ad improvvisare per le strade scenette comiche con i suoi compagni. Quasi tutti i pomeriggi delle estati dei primi anni Novanta, sono trascorsi nelle piazzette del suo paese imitando Totò nel celebre sketch del "burattino senza fili", portato sul grande schermo dall'intramontabile comico napoletano anche in "Totò a colori" del 1952, di Steno, il primo film italiano a colori.

Ottavio è un bambino vivace, i suoi occhioni vispi si notano da lontano sotto quei tanti capelli sempre spettinati, nonostante le continue raccomandazioni di sua madre, che lo preferisce ordinato.

E' con l'imitazione di Totò e Charlot che Ottavio comincia a "cercare" il pubblico... nelle piazze, nei piccoli palcoscenici delle scuole, nei negozietti ed in qualche teatrino. Prima "ricompensa" in assoluto della sua carriera,  una scatola di cioccolatini ricevuta dopo aver cantato alcune macchiette napoletane in un supermercato di Acerra. Ottavio diventa subito un appassionato interprete di quelli che furono i cavalli di battaglia di Nino Taranto. Anche se bambino riesce a caratterizzare i suoi personaggi con una vocina a volte stridula, a volte nasale.

E’ un bambino prodigio o cosa? … Questo sembra non interessare più di tanto al piccolo Ottavio, che continua il suo percorso frequentando di mattina la scuola, e dedicandosi nel tempo libero alla sua passione, che diverrà poi sempre più impegnativa.

Nel 1990 interpreta il ruolo di un fiore in un’opera ispirata alle musiche di Antonio Vivaldi, in una recita organizzata dalle maestre della scuola materna. Seguono poi spettacolini di varietà che interpreta con altri bambini della sua età e ragazzi del suo quartiere ('A ferrovia). Tra questi "spettacolini" ricordiamo "Cafè chantant" (1991, dove canta e recita) e "Malavita" (1992), proposti in impensabili luoghi.

Ottavio ricorda così quel periodo: "Il Teatro, il Grande Teatro, non lo conoscevo, non lo capivo. Ero un bambino al quale piaceva divertirsi, imitare i suoi miti. Giocare a pallone non mi entusiasmava più di tanto. Due tiri ma non di più. Mio padre mi iscrisse anche ad una scuola calcio tenuta da un noto giocatore del quale non ricordo nemmeno il nome, ma con scarsissimi risultati. Preferivo stare in porta. Tante volte però mi distraevo nel campo seguendo le formiche che camminavano sulla linea della porta. Era più interessante per me seguire il percorso di quelle formiche, piccole e grandi, che stare ad aspettare una folla inferocita che correva dietro ad un pallone che avrebbe potuto colpirmi allo stomaco oppure in faccia (come capitò una volta). Il calcio l'ho apprezzato da tifoso, ma a casa, in televisione. La mia squadra è il Napoli. Ho gioito per tutte le vittorie del Napoli. Da bambino non mi interessava fare la "guerra" con i soldatini. Li prendevo per far recitare loro i film di Totò. Nel senso che imparavo le battute dei film di Totò a memoria e poi le ripetevo con i miei "personaggi". Delle volte scrivevo anche io qualcosa con le poche parole che conoscevo a sette, otto, nove anni. Avevo un caratterino che oserei definire di "merda". Ero già folle ed irascibile da bambino. Ero insopportabile e spesso mi chiudevo nella solitudine. Una solitudine però apparente perché in realtà mi tenevo compagnia con i film di Totò, di Sordi, di Tognazzi, di Banfi, di Celentano, di Franchi e Ingrassia, di Chaplin... Avevo degli amici, si! Alle scuole elementari ci stavo abbastanza bene, le maestre erano brave e i miei compagni di classe pure. Però non tutti i miei coetanei potevano condividere la mia stessa passione, questo è il punto. C'è chi dopo i compiti scappava al campetto per una partita di calcio. Io, dopo i compiti, studiavo il Teatro ed il Cinema. Col tempo ho amato sempre di più il primo ed il contatto diretto con la gente, forse perché un "vero contatto" con il mondo "vero" (per così dire) mi era, mi è sempre mancato. I miei genitori si lamentavano. Dicevano: "Esci, Va!". Spesso uscivo con mio padre o con qualche amichetto... Quando uscivo con mio padre, ne approfittavo, per farmi comprare una videocassetta!Che voi fà? Ce se nasce!".

Nel 1997-1998, neanche tredicenne, comincia ad entusiasmarsi anche alla "scrittura". Su un quadernetto scrive due "soggetti", che rappresentano per il giovanissimo artista un'esperienza importante: "Io con voi" (il cui copione sembra sia andato perduto) e l’atto unico "L’arte napoletana". A queste due "idee di commedia" si aggiunge la sua prima raccolta di opere in versi, "Poesie di Ottavio", anche se le raccolte "studiate" si avranno dal 2002.

Nelle prime raccolte di poesie, prevalgono temi come la famiglia, Napoli, l’amore e il teatro (un sonetto tra gli altri è dedicato a Vittorio Gassman). Le raccolte di opere in versi, svolgono un ruolo importante nella carriera di Ottavio, ma soprattutto nella sua vita. Scrivere è un bisogno, una evasione, un momento unico. Nessuna raccolta mai sarà sfruttata per scopi di lucro. Ottavio scrive poesie per un "puro sfogo", come poi dichiarerà.

Negli anni Novanta Ottavio bazzica in teatro accontentandosi di piccoli ruoli, di fare l'assistente di scena. Vuole imparare il mestiere. Fa da spalla all'anziano comico di turno in feste private e pubbliche. Impara i tempi comici (dote comunque naturale), studia i movimenti e fa intravedere i primi segni di quella che poi sarebbe stata la sua forza scenica. Vera gavetta! ... Conosce e segue il teatro di Leopoldo Mastelloni, Sandra Milo, Peppe Barra e Mario Scarpetta. Da questi grandi Maestri, Ottavio impara tantissimo.

 

CARO ALBERTO SORDI, TI SCRIVO...

Nel 1998 Ottavio comincia a mettere insieme alcuni "pezzi", e scrive un copione di tanti piccoli atti unici senza titolo. Verso la fine dello stesso anno spedisce una parte di quel copione ad Alberto Sordi. Il copione è formato da vari fogli manoscritti con una lettera di accompagnamento e due fotografie.

Il grande attore è il "protagonista" del copione, infatti Ottavio ha scritto alcune storielle ispirate ai personaggi che Sordi lanciò in radio negli anni Quaranta. La risposta dell'attore romano non si fa attendere. L’Albertone nazionale legge quella parte di copione e apprezza tantissimo il "giovane" che racconta alla generazione anni Novanta, alla società d’oggi, l’ingenuità "cattiva" di Mario Pio e la furbizia malcelata di tantissimi suoi personaggi, quindi ringrazia Ottavio che inorgoglito conserva tuttora, la lettera dell'attore e regista, con fotografia e dedica. Un "ringraziamento" da parte di Sordi è quello che ci vuole per maturare l' idea di portare in teatro i primi personaggi dell' attore e per spingere il giovane artista verso la realizzazione dell'importante quanto difficile progetto. Ottavio mostra di fare sul serio e senza l'aiuto di nessuno, debutterà con lo spettacolo, ma solo nel 2003.

Nel 2000 il quindicenne Ottavio scrive "Il comico innamorato" (tuttora inedito), il diario di un giovane attore comico, che fa delle strade della sua città un palcoscenico, della casa un camerino e una sala prove, e della sua vita stessa una commedia (da chiarire, nessun riferimento a Carlo Goldoni), e le raccolte di opere in versi "Poesie di ragazzo" e "Poesie di ragazzo vol.2".

Alle tante iniziative che si propone di realizzare con la collaborazione di amici appassionati dell'arte, si unisce una vita privata abbastanza difficile. Tra la fine degli anni Novanta e i primi due anni del Duemila, Ottavio vive dei momenti bui, molto tristi. A scuola media non si sente a suo agio. Non lega, in modo particolare, con nessuno dei compagni. Trova un amico (e poi un collaboratore attivo per quanto riguarda la professione) in Andrea Di Nardo. E poi Carmela Esposito, che ritroverà dopo molti anni come allieva ad un laboratorio teatrale.

Ci sono diversi episodi che portano Ottavio a distaccarsi sempre di più da quella che dovrebbe essere la seconda casa di ogni ragazzo. Ottavio ama la scuola, intesa come fonte di cultura. Si accorge però che non sempre le cose sono come si sperano, o meglio, come si immaginano.

Ottavio passa intere giornate a casa, senza uscire. E' travolto da una forte crisi depressiva (dovuta a problemi abbastanza seri, non indicati in questa biografia per rispetto, delicatezza e discrezione), che lo ferisce profondamente, e che lo farà allontanare dalla società e da qualsiasi tipo di rapporto. Trascorre il suo tempo leggendo, scrivendo, pensando, guardando la televisione (la scelta cade quasi sempre su film in bianco e nero, spettacoli teatrali, programmi musicali). E' difficile incontrarlo per strada. Esce solo per andare a scuola, e qualche volta (di solito la domenica mattina) fa un breve giro in auto con il padre ed il fratello maggiore Vincenzo Carmine. Ottavio si sente davvero molto solo. Si ritrova la famiglia. Molti che gli stanno vicino non riescono sempre a capire i continui stati di ansia, di nervosismo di quel giovane ragazzo che spesso si chiude nella sua stanza per piangere sentendosi ancora più solo.

In una sorta di gioco perverso, è egli stesso che cerca il male, la solitudine assoluta, il silenzio. Lo fa per vivere in pieno la sua sofferenza, sperando poi di voltare una pagina che un inchiostro nero come la notte appesantisce sempre di più. Ottavio comincia a crescere e comincia a non avere più pensieri da bambini e da ragazzo. Cresce troppo in fretta per godersi la prima adolescenza.

Nel giro di pochissimo tempo ingrassa smisuratamente. Per molti il suo peso diventa un pretesto per prenderlo in giro. Ed Ottavio sentendosi chiamare con aggettivi quasi sempre sgradevoli, soffre. Ma non esplode mai  mostrando la sua rabbia e non fa percepire la sua sofferenza. E' diverso rispetto ai suoi coetanei. Non frequenta nessuno di loro. Sta veramente male. Il male di vivere è anche un male fisico, e questo Ottavio lo scopre molto presto.

Finite le scuole medie, sceglie di iscriversi ad un istituto professionale per i servizi addetti al turismo e alla ristorazione. Alcune cose sembrano cambiare. Infatti, riprende "il copione senza titolo", con l'intento di portare in teatro i primi personaggi di Alberto Sordi (da Mario Pio al conte Claro, con annesse "canzoncine"), e continua a scrivere poesie. Registra dei provini di diversi brani che ha composto accompagnandosi con la chitarra, che suona ad orecchio. Torna a lavorare, sempre in ruoli marginali in teatro. Tutto gli serve per riprendere il contatto con il pubblico. Pesa oltre cento chili, si nasconde in larghissimi maglioni e sotto occhiali scuri, ma quando va in scena, sembra di vedere quel bambino che imitava Charlie Chaplin e Totò, anche se tante volte, arriva a fine spettacolo respirando a fatica. Un problema alle tonsille complica la situazione. Continue infiammazioni gli provocano lunghi periodi di febbre. Grazie alle buone cure di uno specialista, nel giro di un anno riesce a guarire del tutto.

Nel 2002 si annovera la raccolta di opere in versi "Agosto", edita l’anno successivo in internet. Nello stesso anno registra (con pochi mezzi) il cd "Riflessioni di un comico" con poesie e monologhi da lui composti e testi di altri artisti, tra cui una poesia dedicata a Totò. Seguirà poi "E tu vulisse ‘a maschera" l’anno successivo, disco in cui interpreta a suo modo sedici poesie, due delle quali da lui firmate. Una è "’O teatro", un verso di questo testo in napoletano dà il titolo all’opera. Due cd introvabili incisi da un giovane ragazzo ancora sconosciuto.

Il 2003 è un anno molto intenso e ricco di soddisfazioni, all’attività teatrale prolifica, si aggiungono raccolte di opere in versi e registrazioni di brani inediti. Inoltre, prende una decisione importantissima: seguire una scrupolosissima dieta (perderà ben 40 chili).

Tra il gennaio e il febbraio, realizza un cortometraggio "amatoriale" dedicato a Totò, girato in gran parte nel Rione Sanità a Napoli (Quartiere Stella, dove nacque il Principe), successivamente partecipa a diversi spettacoli come attore non protagonista (a volte nemmeno accreditato), e scrive "Eventuale lettera di un aspirante suicida".

Dei suoi primi spettacoli da protagonista dice: "Non mi piacevano. Li ho fatti perché volevo conoscere, imparare. Avevo poca esperienza e non potevo certo scegliere. I primi spettacoli non li ho neanche segnati nel curriculum, in alcuni non sono nemmeno accreditato. All'inizio ancora non avevo capito bene cosa fare di quel talento che molti mi riconoscevano. Quando l'ho capito non ho più scherzato, ho fatto sul serio ed allora anche il pubblico e chi mi dava lavoro mi ha preso sul serio. Tutto fa esperienza però, anche quelle prime opere che mi hanno visto protagonista assoluto senza capire niente di quello che facevo perché registi improvvisati non mi davano modo di farlo. Bisognerebbe fare una lista che divida gli ATTORI/REGISTI CHE SANNO FARE IL PROPRIO LAVORO e gli ATTORI/REGISTI CHE NON SANNO FARE IL PROPRIO LAVORO. All'inizio ho beccato quelli che non sapevano fare niente e che nemmeno mi valutavano per quello che sapevo fare e che avrei potuto fare se solo me l'avessero insegnato... Meno male che poi ho capito la differenza dal "teatro fatto male" e ne ho preso le distanze per amore e rispetto della professione!".

Nella primavera del 2003, si cimenta con la regia. Ottavio lo giudicherà un "errore":

"Regista ancora minorenne! Ma che pretendevo? Una follia bella e buona, ma è servita molto. Più che altro stavo lanciando una provocazione e non me ne accorgevo. Non capivo né capo e né coda. Muovevo i primi passi. Avevo alle spalle una decina di anni di gavetta, questo si, ma non potevo passare da un estremo all'altro. Il desiderio però di fare uno spettacolo dedicato ai miei miti era fortissimo e siccome nessuno me lo voleva dirigere, nessuno me lo voleva produrre, nessuno voleva partecipare senza prendere un centesimo, decisi di fare tutto da solo! Ma del resto. Chi è questo ragazzo che vuole un teatro per fare uno spettacolo tutto suo? Io. Ma queste cose o lei fai da giovanissimo, figlio dell'incoscienza, oppure le fai quando non hai niente da perdere. Io ero giovane, incosciente e non avevo niente da perdere. Soldi non ne avevo. Avevo solo la gioventù e me stesso, che dato il mio peso, potevo valere per due. Mi son messo a dirigere me stesso e le cose si sono complicate. Qualcuno avrà pensato "già rompe le palle come attore, adesso le romperà anche da regista". Molti volevano ostacolarmi. Ad alcuni piaceva la mia regia "giovane" ed apprezzavano le mie idee... anche alcuni addetti ai lavori si complimentarono... riuscì a mischiare Shakespeare e Alberto Sordi, passando per Giorgio Gaber e Totò! Una cosa del genere l'ha fatta poi Mariangela Melato nel 2007 con SOLA ME NE VO'... in cui passa da Shakespeare e Tennessee Williams a Gaber e Vasco Rossi! Grande la Melato... la conobbi al TEATRO AUGUSTEO di Napoli proprio dopo una replica di SOLA ME NE VO'. Mi disse una frase che mi è rimasta impressa "Ragazzo, tu hai gli occhi dell'attore". Gongolai per un mese! Comunque tornando alla mia regia posso dire che sono diventato regista per necessità, per provocazione, per tutto quello che volete. Mi fece uno strano effetto leggere sulla bozza della locandina "Regia di OTTAVIO BUONOMO", tanto che non l'ho scritto sul manifesto. Spettacolo con OTTAVIO BUONOMO. E chi lo dirige? ... Boh... Non volevo che qualcuno potesse pensare... regia di OTTAVIO BUONOMO? E che è? Mo pure i bambini dirigono gli spettacoli? ... In effetti, la cosa era alquanto strana. Ma che volete fà? Era la verità... Però poi la mia prima regia l'ho portata anche fuori e spesso, di quella prima regia, conservo alcune cose che ancora mi servono. La passione mi aiutò molto. Poi la mia seconda regia fu un fiasco enorme. Debuttai, per così dire, a Casalnuovo di Napoli, in un palchetto piccolo. L'anno dopo. C'erano tredici persone che dopo un quarto d'ora cominciarono ad annoiarsi ... e con ragione! E pensare che poi a Casalnuovo di Napoli (ma in un altro teatro, o meglio, in un vero teatro) ho festeggiato i miei venti anni d'amore con il Teatro con una delle mie commedie più belle e più apprezzate... La terza regia poi è andata meglio e da lì, ho continuato da regista, privilegiando però l'attore."

"Mariopio, gli altri ed io" (quel copione senza titolo ispirato ai personaggi di Alberto Sordi): Ottavio, regista di se stesso e come assoluto protagonista, canta, balla, racconta e recita. Dello stesso copione fa parte il monologo "Lo spogliarellista", con protagonista un attore in crisi; ed inoltre canzoni come "Il complesso" (storia di un ragazzo alle prese con il suo primo rapporto sessuale) e "Matrimonio grasso" (mai dichiarata dall'autore). Ottavio dà il meglio di se e mette a frutto molti insegnamenti "rubati" a grandi maestri. Ha diciassette anni, ma nessuno lo sa tranne lui, che comunque non si sottovaluta ma nemmeno si compiace di quanto realizza! Dello spettacolo purtroppo, esistono poche testimonianze: brevi filmati, una decina di fotografie e l'audio di alcuni monologhi.

 

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