"Io all'anagrafe risulto Mina Anna Mazzini, classe 1940"

 

Io non ti conosco, 
io non so chi sei,
so che hai cancellato,
con un gesto i sogni miei,
sono nata ieri
nei pensieri tuoi
eppure adesso siamo insieme.
Non ti chiedo sai,
quando resterai,
dura un giorno la mia vita ...
io saprò che l'ho vissuta
anche solo un giorno
ma l'avrò fermata insieme a te ...

 

 

LETTERA A LUCIO

Questa è una lettera che volevo scriverti da tanto, 
tanto tempo. 
Ogni volta che sentivo un tuo pezzo, 
ogni volta che qualcuno, 
per strada, fischiettava qualcosa di tuo, 
mi veniva voglia di mettermi in contatto con te, 
ma ho preferito rispettare 
(figurati se proprio io non lo dovevo fare ...) 
il tuo desiderio di essere lasciato in pace. 
E forse ho fatto male, sai? 
Perché adesso non so come fare per restituirti, 
almeno in parte, 
la gioia, la tenerezza, il senso di invincibilità, 
la coscienza di fare qualcosa di perfetto che 
mi dava il cantare i tuoi pezzi. 
Erano come il più inattaccabile meccanismo, 
come l’arma più efficace, 
come una corazza lucentissima, 
come una seconda pelle ancora più aderente della prima. 
Erano costruiti con quella apparente semplicità,
con quel naturale delizioso totale mood cosmico, 
che fa pensare alla fluidità di Puccini, 
al prezioso andamento di certi canti gospel. 
E insieme così piantati 
nella tradizione della canzonetta italiana 
da far cantare i garzoni 
mentre vanno in bicicletta a consegnare il pane, 
i bambini e tutte le madri d’Italia 
mentre preparano il pranzo per i propri cari.
Che talento straordinario, 
che dono raro quello di essere capiti da tutti 
e da tutti essere amati proprio per quello che realmente si è. 
Sei stato il più grande nel realizzare il miracolo
che ci fa sentire tutti figli della stessa materia, 
che ci fa cantare tutti insieme con le lacrime agli occhi.
In questi giorni ho dovuto assistere 
a qualche intervento sgradevole e a tanti, 
tantissimi omaggi commossi e sinceri. 
Voglio ricordarmi soltanto questi. 
Voglio ricordarmi gli occhi lucidi 
di ragazzi giovanissimi e 
di uomini e donne anche più che adulti. 
Voglio ricordarmi come i tuoi, 
che Dio li benedica, 
ti hanno difeso con la forza dell’amore 
da tutto il caravanserraglio massmediatico. 
Voglio ricordarmi quei piccoli mazzolini di fiori, 
quei bigliettini che ti hanno portato, 
anche loro, credo, per cercare di restituirti 
un pochino di quello che tu hai dato a tutti noi.
Sai, avevo un sogno. Una pazzia.
Insieme a Moreno, un giovane corista 
molto bravo che tu non hai conosciuto, 
ma che ti ama almeno quanto me, 
avevamo deciso che se tu mai avessi fatto di nuovo un concerto, 
saremmo venuti a farti il coro. 
Per il grande piacere di stare dietro di te e 
cantare insieme a te quelli che sono i nostri perfettissimi, 
storici, splendidi, adorati pezzi di vita. 
E, nella nostra follia, 
avevamo già pensato alla scaletta, 
a quali pezzi fare, 
alla formazione dell’orchestra, 
persino ai vestiti. 
Ogni volta che ci incontravamo in sala di incisione 
aggiungevamo qualche dettaglio al nostro progetto. 
Tutto era variabile tranne la presenza di due soli coristi: 
noi due, per l’appunto.
Non importa. 
Vuol dire che la cosa è soltanto rimandata.
Tua Mina

24 settembre 1998

 

Opera di Paolo Casetti (per contatti : pcasetti@tin.it)

 

Evvote nun 'a voglio sentì,
evvote nun pozzo stà
senza sentì chella voce
che me regne 'e "gghiurnate.

Ogni volta 'ca cerco
'a trovo sempe,
e me parla zittu zitto
'co suono 'e nu suspiro.

 

 

LETTERA D'AMORE A FRANK SINATRA
(28 maggio 1998)

Questa è una lettera d’amore. 
Anche se non lo conoscevo personalmente, 
anche se cerco di svincolare il talento e la voce dal corpo, 
dalla mortalità dell’uomo, 
anche se so che quello che mi ha dato fino ad oggi 
lui continuerà a darmelo per sempre, 
non riesco a controllare un vago senso di nausea, 
un piccolo dolore alla bocca dello stomaco.
Non sentirete mai più cantare così. 
Questa è una delle rarissime occasioni 
in cui sono felice di fare, 
anche se indegnamente, la cantante, 
cioè il suo stesso lavoro. 
Ne sono felice perché sono in grado di capire 
quando prende un fiato e perché, 
quando rompe la voce e perché, 
quando decide di allungare una nota sino a caricaturarla, 
perché sono in grado di capire come divide, 
godere dello swing morbido ma inesorabile 
che esprime persino quando parla. 
Perché riconosco la grandezza nel salvare canzoni mediocri. 
Per quel timbro di voce che ti fa morire di piacere, 
che ti obbliga a sorridere e che ti procura dei piccoli mancamenti, 
come quando sei davanti a un grande quadro del Caravaggio. 
Perché sono in grado di riconoscere che le note 
le mette tutte al posto giusto e solo quello, 
né un sedicesimo prima né un sedicesimo dopo.
Ascoltate i suoi dischi, 
non ascoltate quelli che parleranno dei suoi amori, 
delle sue amicizie, 
dei suoi legami con gente di malaffare;
direi addirittura di non guardare i suoi film, 
anche se qualche volta è stato grande anche come attore. 
Ascoltate i suoi dischi, tutti. 
Perché no, anche "Strangers in the night" oppure "My way" 
che secondo me lo rappresentavano meno; 
sì, insomma non erano delle gran belle canzoni, 
non erano il suo specifico, 
anche se sono quelle che hanno venduto di più. 
Ascoltate tutti quei pezzi favolosi 
con Billy May e Nelson Riddle e con Don Costa. 
Fate un piccolo investimento di denaro 
in qualcosa di irripetibilmente unico, 
comprate tutta la sua produzione e pian pianino ascoltatela. 
Ascoltate tutti gli album: "Come swing with me", 
"Come dance with me" e cento altri ma soprattutto, 
se avete come me un’indole un pochino malinconica, 
"Only the lonely", inarrivabile, perfettissima, 
drammaticamente struggente raccolta di ballad 
nelle quali lui è l’assoluto imperatore.
Non ascoltate gli inevitabili miseri chiacchiericci sulle mogli, 
sui figli o, peggio ancora, sull’eredità. 
Ascoltate lui, ascoltatelo soltanto; 
perché che cosa si chiede a un essere umano 
più che cantare come un angelo? 
Nel pezzo che conclude "Trilogy" dice: 
"E quando la morte verrà a tirarmi la manica della giacca, 
starò cantando mentre me ne andrò". 
Ed è quello che ha fatto. 
Stava cantando ancora quando il fiato, 
l’età e la salute dicevano che non era più il caso. 
Lui stava cantando, come voleva fare sempre. 
E ancora faceva dei miracoli 
con quello strumento incantatore fatto di carne, 
di sentimento, di altissimo talento, di amore insomma.
Se quella grande porta dorata 
sopra tutte le nuvole e sopra tutti i nostri pensieri 
esiste davvero, 
per aprirla per lui questa volta
ci sarà proprio Dio in persona. 
Perché così si canta solo in Paradiso.

 

Opera realizzata da Ottavio Buonomo e Paolo Driussi         

 

  LETTERA MAI SPEDITA DALLA DONNA CON LE MANI SUI FIANCHI


Mi è scappata una lacrima perché mi manchi. 
Non avere fretta, uomo, si sistema tutto, serve solo un po' di pazienza. 
Sto seduta sulle scale, meglio che rimanga sola. 
Se non ti posso avere subito, aspetterò. 
A volte mi viene l'ansia, ma non si può far fretta al tempo. 
Non avere fretta. 
Torneremo a stare bene assieme. 
Se abbiamo un po' di pazienza, mi sa che ce la faccio. 
Mi sembra tutto molto complicato. 
E questa non è sicuramente una novità. 
Non so cosa voglio, non lo so più. 
Spesso le cose che ho molto desiderato si sono poi rivelate le cose sbagliate. 
Perché, anche conoscendo i propri desideri, 
non possiamo davvero sapere se ciò che 
vogliamo con tanta intensità sia quello che ci renderà felici. 
O almeno sereni. 
Mi sembra tutto infinitamente complicato. 
Sto lentamente smettendo di pormi domande. 
E questa è senz’altro una novità. 
Non è neanche del tutto vero. 
Forse ho semplicemente smesso di cercare risposte alle mie domande. 
Perché ho realizzato quanto siano terribilmente poco definitive. 
Servono solo a rassicurarmi per un breve istante 
destinato a sciogliersi nel caos di mille altri istanti 
simili in cui prevale l’illusione di aver intuito una verità, 
che tale non è mai stata. 
Non esistono verità assolute, 
e comunque non per un tempo indefinito.
E se tu non tornerai, 
spero di ricordarmelo quando mi sorprenderò a credere 
ancora a qualcuno che dice di amarmi. 
Dio come vorrei passare la notte tra le braccia di un uomo, 
giusto per l’illusione di qualche dolce ora 
che mi faccia momentaneamente pensare di non essere sola. 
Ma ormai questa consapevolezza non mi abbandonerà più. 
Possiamo solo condividere il viaggio, 
o un tratto di strada, ma la vita è spietata. 
Ci illudiamo costruendoci un nido di parvenze, 
di rispettabilità apparente, 
ma dentro restiamo feroci, 
la paura di ferire non è mai superiore a quella di essere feriti. 
Siamo solo cani di strada, 
pronti a mordere. 
Io l’ho solo dimenticato. 
Ho scordato di affilare i miei artigli e, 
come sempre, sono rimasta colpita da qualcuno più forte. 
Più forte? No. Solo più egoista. 
La vita non mi ha ancora insegnato, 
no, non mi ha ancora convinto ad entrare nel suo gioco in cui continuo a perdere. 
O forse sta in questo la vittoria? 
E’ che prima o poi tutto torna alla superficie. 
Sentimenti compresi. 
Puoi fare finta di scordarli per un po’,
ma alla fine gridano troppo forte per continuare ad ignorarli. 
E la mia vita è sempre stata troppo basata sulle sensazioni, 
le emozioni, i maledetti sentimenti, 
perché io possa decidere di cambiare. 
Ritornano come un fiume sotterraneo che, 
a lungo, ha viaggiato sotto i miei passi, 
sotto il suolo di finta indifferenza, 
per poi scaturire, alla prima incauta distrazione, 
irruente, prepotente, quasi cattivo, 
come un segreto nel tempo forzatamente tacitato. 
E, se potessi, vivrei privandomi di quest’acqua che mi bagna, 
ma di cui non riesco a dissetarmi. 
La vita mi chiama, mi attira. 
Allora vita, se mi vuoi, prendimi in pieno, 
non limitarti a sfiorarmi con un lembo delle tue vesti smesse. 
Ho bisogno della brezza, 
della pioggia e del temporale insieme, di bagnarmi,
di inebriarmi, di lasciarmi colpire dall’acqua, 
fredda, che mi strappi da tutto questo. 
Spalanco la porta. 
Guardo fuori il paesaggio consueto, i campi, 
gli alberi quasi spogli, 
le nuvole grigie che si muovono lentamente nel cielo. 
Nel respirare mi rendo conto che tutto sommato posso ancora farcela. 
Niente può mutare il niente. 
Avrei dovuto chiudere quella porta prima che il sogno prendesse un’altra strada. 
Avrei dovuto, ma non l’ho fatto, 
ed adesso aspetto, aspetto il giorno che si muova piano, 
battuto dalle lancette che ogni tanto s’incontrano dandosi la mano. 
Scansare inermi scarpe abbandonate, 
riverse su se stesse, e ombrelli aperti, 
guardare con noncuranza piccoli oggetti soffocati da un mare di polvere. 
E sentire grida soffocate di piatti ammassati, 
unti di noia e pieni di ricordi, 
e fermarsi a raccontargli favole per calmarli un po’, 
magari canticchiando ninne nanne che forse dopo si addormenteranno. 
Le lancette si saranno date la mano infinite volte, 
forse si saranno già tolto il saluto, 
stufe di vedersi così spesso. 
La porta è ancora aperta sui campi. 
Il silenzio. 
Come fa male il silenzio. 
E’ tutto così fermo.

 

Autoritratto con i miei divi : Mina & Totò. (Opera di Pino Proto)

 

Rilievo di Mina, opera di Luigi Pedretti di Brescia (visita www.luigipedretti.com)

 

 

 

 

Mina ... sei la più grande cantante del mondo ... sei grande, sei 'na fagottata 'de robba !

(Alberto Sordi)

 

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