“Giornata di Mare”

 

Partivo presto di mattina, la spiaggia era deserta.

Percepivo che sarebbero state le ultime volte che avrei posato nudo al sole sugli scogli bagnati dalle onde nervose che deterioravano i piedi delle sdraio, il sole coceva i sassi e l’acqua marina increspava i miei capelli.

Disteso a leggere un canto del maggior drammaturgo siciliano, perso nelle novelle morali... affondando il mio sguardo.

Questa ferita, pensai, si sanerà con l’acqua di mare, con l’onda alta che mi porta con sé, mi allontana dalla riva e mi fa naufragare in cerca di un perché, di un pretesto per continuare a pensare. Mi rattrista la solitudine dei massi rocciosi, la limpidezza di questo mare è una presa in giro al mondo, agli umani, a me che offeso la sporco con i miei tentacoli abbronzati dal sole malato di mezzogiorno.

Le grandi ombre cadevano gloriose, magicamente spente dall’acqua, aiutate dall’irrequieta forza marina, ognuno aveva ingoiato sale, cadevano, sudavano il sudore di chi aveva sudato. Respiravano con i fiati degli altri, con aliti cattivi. Mordevano, si preoccupavano di sembrare ciò che non sono, oscurandosi corpo e volto. Finti giacevano su asciugamani acquerellate.

 

 

 

Il canale acquifero vi sfociava nel mare... la mondezza… le bottiglie verdastre sull’acqua parevano tanti bambini svuotati della loro purezza, del loro "malto". La schiuma di quei bambini era affondata con i loro sogni, con l'imposizione sugli altri, con le ideologie, con la voglia di essere liberi, con il desiderio carnale represso, anzi, mai avuto. Affondava la schiuma con le parole sognate di pronunciare. Alcune bottiglie, quelle rotte di collo e culo, avevano la fortuna di inghiottire ciò che il paradiso marino donava: sassi, granchi, sabbia, tappi con date di scadenza, vi finivano nella breccia… ma godevano, godevano tanto e si dondolavano sulla superficie marina.

Di notte, il mare fa paura, sembra non distinguersi col cielo, l’orizzonte è interminabile, non c’è inizio non c’è fine, misterioso.

Sul lungomare silenzioso, ammiro i monti, un orcio con rose che si getta da una finestra su un marciapiede merlato, un uomo tenta invano il volo da una panchina, schiantandosi, zigzagando tra le aiuole.

Tant’è. Ma il mare non lo fa sembrare, rimane un grande spazio d’acqua, misterioso e poetico, romantico di sera e fracassone di giorno, massacrato dai piedi che calpestano i fiori pietrificati, assalito da gente che vi si tuffa ingrata, felice, dopo il rapporto diretto, ne esce stanca, trafitta, spossata.

 

 

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