Carissimi amici,

domenica mattina Paolo e io eravamo seduti al bar "Madunina" in Piazza Duomo a Milano, quando Paolo mi dice "Peccato, che neanche stavolta abbiamo avuto l'onore di incontrare Luigi Nava, ci tenevo moltissimo", al che io gli ho risposto "E' vero, magari ci fossimo visti solo per una stretta di mano". Le mie parole hanno risuonato nella mente di Paolo come uno spunto per trascorrere una domenica diversa. Infatti Paolo tra il suo caffè e la mia cioccolata calda ha esclamato "E se telefonassi a Luigi Nava ?". Dopo pochi secondi era al telefono con il professor Nava, e ha chiesto la sua disponibilità a riceverci per una mezzora, almeno il tempo di una stretta di mano da tempo attesa e di un caffè in un bar. Con un taxi (guidato dal simpatico Teodoro), abbiamo raggiunto la residenza di Luigi Nava a Carate Brianza. Il professor Nava ci ha accolti cordialmente e con grande affabilità. Insieme ci siamo presentati, visti che prima d'ora c'eravamo sentiti sia io che Paolo solo telefonicamente, tramite corrispondenza epistolare o tramite "bacheca del sito ufficiale di Mina", e poi abbiamo fatto due passi sino al bar San Bernardo, sito nella piazza ove si trova il Santuario omonimo. In questa pagina troverete le foto dell'incontro. Ringraziamo di vivo cuore il professor Luigi Nava, con l'augurio di poterci rivedere il più presto possibile.

Grazie professor Nava

 

Paolo Driussi & Luigi Nava

 

Paolo Driussi & Luigi Nava

 

Ottavio & Luigi Nava

 

Ottavio & Luigi Nava

 

Luigi Nava

 

Luigi Nava

 

Ottavio per le strade di Carate Brianza

 

Santuario di San Bernardo

Carate fu nel secolo scorso al centro del boom del comparto tessile e cotoniero in particolare fu sede di filande, tessiture, tintorie. Per molti anni l'industria principale fu la Formenti, che produceva macchine per la tessitura e utensili e che è stata chiusa definitivamente negli anni scorsi (attualmente gli edifici della Formenti sono utilizzati da decine di piccole aziende). La trasformazione del paese è legata ai movimenti di riconversione produttiva di tutta la Brianza che comportarono, all'inizio del secolo, un grande fenomeno sia industriale sia sociale. A Carate è connessa la figura, ormai quasi leggendaria, di un prete organizzatore, Don Costante Mattavelli, che, giovanissimo, durante i movimenti di protesta degli operai e dei contadini, fu promotore di numerose iniziative collettive come la fondazione di una lega tra operai e contadini, di una società di mutuo soccorso, di una cooperativa di consumo e di una cooperativa di credito che diventò in seguito l'attuale banca di Credito cooperativo.
Cittadina posta nella direttiva tra Milano e Lecco, alla destra del Lambro, Carate Brianza fu un antico borgo romano fortificato. Nel trecento fu un feudo al centro delle battaglie tra i Torriani e i Visconti, che riuscirono a prevalere sui comaschi.
Probabilmente per iniziativa dei Visconti fu edificato l'oratorio di Santa Maria Maddalena. Data la sua posizione, prossima ai confini con la bergamasca, Carate fu teatro degli scontri tra la repubblica Veneta e i Milanesi e fu obiettivo delle incursioni del capitano di ventura Gian Giacomo Medici.
Tra le residenze d'epoca sono interessanti Villa Cusani e Villa Negri, ora adibita a clinica e centro polivalente. Carate è un centro brulicante di piccole imprese e di unità artigianali.
Sono presenti industrie meccaniche , della plastica, per la fabbricazione di macchine per la lamiera, mobilifici, ebanisterie, imprese edili.
Nel settore edilizio Carate, dopo un iniziale boom durante gli anni '70-'80, negli ultimi anni ha subito un arresto soprattutto per quanto riguarda le aree destinate ad edilizia Convenzionata ed Economico Popolare.
Si stanno invece popolando le frazioni, soprattutto quella di Costa Lambro, dove negli ultimi anni sono sorte numerose abitazioni, negozi ed uffici.

 

Una casa di Carate Brianza con lo sfondo del "Resegone"

 

Mi ricordo quando vidi, pochi anni fa, per la prima volta un filmato con Mina che cantava "Un'ombra" alla TV spagnola. Già ne ho parlato dicendo che quella Mina era come la dea Visnù. Non due mani, ma dieci, venti, trenta mani che sbucavano da tutte le parti, da dietro la schiena, dal fianco, dall'alto. Un capolavoro di contorsionismo che (penso) alla tv italiana non faceva, forse per pudore o che le veniva meglio in Spagna, che lei ha sempre definito una terra molto baraccona.
Quelle sono le mani dell'immaginario collettivo. Le mani che uniscono il pollice con il dito medio e ribadiscono le note, mentre lei accenna ad un birignao. Oppure le mani che si vedono sul retro di "Mina quasi Jannacci", con quell'anello sul pollice che è diventato un altro suo marchio di fabbrica.
Le mani di Mina sono un legame. Mi viene in mente un brano di Sartre che, da perfetto esponente del nichilismo contemporaneo, parla delle mani non come possibilità di stringere, e quindi di rapporto, ma come modo per respingere la realtà lontana da sé.
Per Mina è tutto il contrario. Le sue mani sono rapporto, contatto, legame.
Le guardi e ti sembrano grandi. Tutto in lei ha dimensioni fuori dalla norma. Il seno, gli occhi, le gambe. E anche le mani. Bianchissime, con una leggera tendenza all'azzurrino. E quando il sole estivo le raggiunge, nonostante tutti i suoi tentativi di difesa, si riempiono di piccoli puntini rossi, quasi invisibili, come un inizio di un.abbronzatura che non giungerà mai a compimento. Le nocche sono come incassate dentro quel biancore azzurrino. Non per l'adipe. Ma per un misterioso fenomeno per cui le nocche sono come in direzione inversa. Ci sono, ma guardano all'interno, non all'esterno.
Ma questo è il livello fisico. Che vale per quel che vale. C'è, in realtà, di più.
Le noto, quelle mani, disegnare la sua vita e i suoi rapporti. Soprattutto quando, in silenzio, sfiora la testa di Quaini, oppure, nel bel mezzo di una cena, intreccia le sue dita con un movimento sinuoso tra quelle di Eugenio. Sono quei piccoli gesti di tenerezza che sa ancora avere dopo tantissimi anni. Gesti di un amore discreto, non ostentato, ma reale. Tutte le volte che un mio caro amico ha avuto modo di stare con Mina, mi ha sempre detto che c'è da imparare sul serio ad essere capaci di amare così. E la forma concreta con cui questo amore raggiunge coloro che assistono è proprio il modo attento di guardarsi, di parlarsi, l'antenna di tutto se stessi tesa verso l'altro. E soprattutto le mani che parlano, che dicono un amore silenzioso e sincero.
Le sue mani. Quelle che Mogol dipinse con versi che sono così realistici:
Grandi braccia grandi mani avrò per te,
stretto al mio seno freddo non avrai,
no tu non tremerai,
non tremerai.
Mani, braccia e seno. Un tutt'uno che, in definitiva, dice tutta la maternità di Mina. Sì, innanzitutto l'amore per il suo uomo. Ma mani, braccia e seno che sono segno di maternità. E' un altro livello di Mina. Non più e non solo la donna amante. Oltre questo, e secondo me la sua vera natura, la donna madre, che usa le mani, le braccia e il seno per stringere, per accogliere.
Quando mi saluta non sempre mi abbraccia. Non lo fa spesso. Se lo fa è perché si tratta di un momento particolare. Un momento di difficoltà, un ringraziamento particolarmente sentito, il termine di una vacanza in cui ci si deve ringraziare per la vicinanza reciproca particolarmente salutare ad entrambi. E allora il seno diventa il luogo dove appoggiarsi, le braccia mi racchiudono e le dita della mano, una sola mano, le sento lunghe e protettive sulla mia spalla.
Ma quelle mani sono materne nell'attenzione che ha ai particolari. Anche questo come segno d.amore. La mano che accarezza una tovaglia e la stende per bene, perché la cena sia fatta al meglio. La mano che misura la consistenza di un frutto, perché tutto ciò che si presenta in tavola sia perfetto. Soprattutto la mano che taglia con cura uno dei suoi dolci mattutini (quelli che lei chiama i „panacci“), con lentezza, per poi deporlo, con l'amore che si intravede nelle vene azzurre della mano, sul piattino bianco della colazione. La mano attenta a fare tutto per bene, in cucina. Non solo nel mescolare il risotto, ma anche nel toccare il grado di cottura della verdura. Una mano che previene sempre. Maternalmente mi mette il sale se io me ne sono dimenticato e in quel gesto di strofinamento dei polpastrelli rivedo un pallido segno della dea Visnù dell'epoca televisiva.
La mano che dona, che offre, che porge. Questa è la sua mano venata di azzurro che diventa madre. Che apre gli armadi della cucina per scovare i biscotti. Non i biscotti qualsiasi, ma quelli che sa che mi piacciono. E poi me li dà.  Le piace dare, dare, dare.
E anche quando le mani le usa su di sé, è per aprirsi, non per chiudersi. C'è un suo gesto tipico, soprattutto quando è stanca. A braccia larghe si porta le mani sulla parte esterna della fronte e con un movimento lento e ripetuto, dal centro della fronte verso l'esterno, si strofina le lunghe dita. Come a voler risvegliare l'attenzione.
Oppure, quando è davanti al computer, si raccoglie la fronte in una mano, come a voler sostare nel pensare, per scrivere. Poi si riprende, e come una dattilografa un pò. impacciata si mette a scrivere.
Forse svanirà la tua immagine,
ma non scorderò le tue mani .
E. vero questo pezzetto di canzone. Perché la mano di Mina è sempre un segno di legame. Mai di distacco. E quella manina che salutava nel finale del video non è un addio, ma un arrivederci. Mina non abbandona mai.

Luigi Nava, ottobre 2003

 

 

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