Comincia lo spettacolo ...

Sere fa, come ovunque e con piacere, quel metro e settanta di ragazzone, folti capelli, vestito di nero, con grandi occhiali scuri, scarpe strette, sempre in mia compagnia, scende da un auto o viene a piedi da lontano per entrare in scena: quasi sempre un trionfo, raramente un tonfo!
Mi è stato chiesto dallo stesso Ottavio di raccontarVi le serate che facciamo, non c’è molto da dire, le parole sarebbero inutili per narrarvi della folla in delirio, il trenino che ricorda Totò per tutto un locale con la marcia dei bersaglieri, o è ancora più difficile parlare di come Ottavio, anche se ripete l’alfabeto o dice una frase insensata possa intrattenere il pubblico, e vi garantisco, che non sempre riusciamo a trovare un pubblico facile, come stesso Ottavio mi dice sempre ricordando una canzone della sua amata Mina “Pasqualì, il pubblico è bestia, il pubblico è poeta”, spesso noi incontriamo il pubblico bestia e per poetizzarli ce ne vuole, Ottavio stranamente ci riesce, forse perché riesce a capire l’animo dei presenti, o magari riesce a far apprezzare cosa piace a lui, come dire “Chi va col zoppo impara a zoppicare”, lentamente il pubblico si immedesima nei personaggi di Ottavio.
Io lo ringrazio, perché anche se ho un minimo di cultura, è Ottavio che mi ha insegnato come scrivere, lui mi ha insegnato il significato e il valore dei puntini sospensivi per rendere la prosa più vera, per rendere quanto scritto più immaginabile e reale, quasi dettato, parlato. E’ grazie ad Ottavio, che ho potuto conoscere alcune regole della buona recitazione.

Non sempre lo capisco. Come il secondo libro che ha scritto e come altri monologhi che va a cercare chissà dove, è un vero artista e questo è vero, non c’è una cosa che non sa fare. Una volta giocando chiesi “Se tu diventi famosissimo, cosa porterai in giro, magari nei teatri di Roma e così via?” e lui “L’80 % di quello che già faccio.
Nelle Sue serate, sembra che Ottavio diventi una tira e molla di 20 chili, salta, canta, balla, fa la marionetta, non smette mai di cantare, suona la chitarra, imita tutto e tutti, il suo bersaglio preferito per la sua arguta satira sono: neomelodici napoletani e la tv, non per questo scrisse la canzone “Figli di una tv minore”, e quando sto giù me la faccio cantare sempre, lui non si perde d’animo, a volte mi invita sulla sua terrazza, e cantiamo fino a notte fonda, la Napoli nostra ci serve tutti i suoi frutti migliori, Ottavio dice “A volte su questi frutti ci sputiamo sopra, ma non è colpa nostra…”.
Nell’ultima serata Ottavio ha cantato anche novità che prima non ha mai fatto: Fifì Rino (macchietta di Raffaele Viviani), Donna Isabella (che ha scritto qualche settimana fa), ‘O “rragù (poesia di Eduardo De Filippo musicata da Roberto Murolo) e altre cosucce tanto spiritose e godibili.
Non vi dico quando rende omaggio a Nino Taranto con i suoi magnifici 7 (come li chiama lui, perché ovunque scatenano risate a go-go): M’aggia curà – Il barone Carlo Mazza – La pansè – Dove sta Zazà – Arrabbiati canaglia – Ciccio formaggio – Arcangelo Bottiglia.

AGOISTO 2003

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